Economia
Libia: il Contrabbando di petrolio Regna sovrano. Flotte Ombra sotto casa nostra
Miliardi di dollari in contrabbando sono alimentati dallo schema di “Baratto” petrolio contro carburante della Libia. Un flusso di denaro che alimenta tutte le fazioni armate e rallenta il processo di pace

Anche il Financial Times inizia a rendersi conto del caos che regna ai confini dell’Italia e di cui nessuno parla, ma che viene, finalmente, svelato.
Vediamo un esempio: la petroliera “Mardi”, battente bandiera camerunense, è misteriosamente scomparsa dai sistemi di tracciamento navale a fine marzo 2024, mentre navigava nel Mediterraneo a est di Malta. È ricomparsa un mese dopo, a nord della Libia, svelando il suo coinvolgimento in attività illecite.
Un rapporto di esperti delle Nazioni Unite la identifica come una delle 48 navi utilizzate per contrabbandare oltre 13.000 tonnellate di carburante diesel dal vecchio porto di Benghazi tra marzo 2022 e ottobre 2024, in palese violazione delle sanzioni ONU imposte alla Libia. L’Organizzazione Marittima Internazionale non ha informazioni sul proprietario della “Mardi”.
la quantità di petrolio contrabbandato è enorme: secondo il servizio di Audit del Paese africano nel 2023 i carburanti scambiati avevano un valore di 8,5 miliardi di dollari nel 2023, con più di 8 miliardi di dollari di greggio esportato per pagarlo
Il baratto che genera centinaia di milioni in nero
Il contrabbando è reso possibile da un controverso schema di baratto. La Libia, priva della capacità di raffinare il petrolio su vasta scala, scambia il proprio greggio con carburante raffinato, evitando pagamenti in contanti. Il petrolio greggio viene inviato all’estero e al suo posto arriva carburante, senza flussi finanziari. Questi prodotti venivano comprati dalla società di Stato NOC e quindi rivenduti a prezzi sovvenzionati e ribassiati, molto al di sotto del valore di mercato.
Quindi sorge il problema: questo carburante, venduto a prezzi fortemente sovvenzionati sul mercato interno, non finisce solo nelle auto e nei generatori dei cittadini libici, ma viene poi dirottato all’estero e venduto a prezzi di mercato nero o con documenti falsi, Generando flussi di denaro che armano le milizie e aiutano a mantenere il caos.
Per dare una comparazione, attraverso questo schema un cittadini libico viene ad avere a disposizione, in teoria, 2000 litri di carburante all’anno. Si tratta di tre volte il consumo medio di un paese occidentale e del doppio di quanto consuma un cittadino saudita.
Appare ovvio che questo carburante a costo quasi zero non resta in Libia, ma parte per altri lidi, dall’Egitto alla Tunisia a altri paesi. Questo traffico illecito genera un “flusso costante di entrate” per i gruppi armati collegati alle fazioni rivali che si contendono il controllo del paese, ma anche alimenta una classe di trafficanti e mediatori.
Questo traffico coinvolge entrambe le fazioni che affermanio di govenare il paese, sia il governo di Tripoli del Primo Ministro Abdul Hamid Dbeibeh, riconosciuto dalle Nazioni Unite, sia l’amministrazione rivale nell’est, guidata dall’autoproclamato feldmaresciallo Khalifa Haftar e dalla sua milizia, l’Esercito Nazionale Libico (LNA).
Questo flusso di denaro sporco ha contribuito a bloccare gli sforzi delle Nazioni Unite volti a promuovere elezioni, ridurre la corruzione e unificare il paese sotto un unico governo, un obiettivo perseguito sin dalla caduta del dittatore Muammar Gheddafi nel 2011. Il denaro ha invece rafforzato le amministrazioni rivali e i gruppi armati su cui fanno affidamento, consolidando la divisione nel cuore del quarto paese africano per estensione e settimo membro dell’OPEC per riserve petrolifere.
Questa incresciosa situazione è una diretta conseguenza della politica miope e interventista adottata da Francia e Stati Uniti nel 2011. L’appoggio fornito alle “Rivoluzioni Arabe”, senza una chiara strategia per il dopo, ha destabilizzato la Libia, creando un vuoto di potere che ha favorito l’ascesa di milizie e il proliferare di traffici illeciti.
Emergono nuovi giochi
Nonostante le crescenti pressioni internazionali e interne, il procuratore generale libico, Sideeg al-Sour, ha recentemente ordinato l’interruzione del sistema di baratto, a seguito di un’indagine dell’Ufficio di Revisione libico. Il CEO della NOC, Bengara, scandalizzato dall’entità della corruzione legato al sistema degli Swap, ne ha ordinato la chiusura, anche per le pressioni provenienti dall’estero: nessuno vuole miliardi in nero che girano incontrollati alimentando ogni genere di traffico.
Tuttavia, l’emergere di una nuova società, Arkenu, legata a gruppi armati dell’est e autorizzata a esportare greggio (la prima compagnia privata libica a farlo, quando questo compito era finora riservato alla National Oil Corporation), solleva seri interrogativi sulla reale volontà di porre fine allo sfruttamento illecito delle risorse petrolifere libiche.
Il contrabbando, le importazioni eccessive e le sovvenzioni hanno alimentato un sistema corrotto che prosciuga l’economia libica.
Le indagini hanno rivelato la partecipazione di società di recente costituzione, con poca o nessuna esperienza nel settore petrolifero globale, sollevando dubbi sulla trasparenza e sull’efficacia del sistema di baratto. La maggior parte di queste aziende ha sede negli Emirati Arabi Uniti, dove è difficile ottenere informazioni sulla proprietà effettiva.
Tutto questo deruba il popolo libico delle risorse finanziarie che potrebbero essere utilizzate nella crescita del paese, ma si arricchiscono piccoli gruppi di potere che governano il Paese e le milizie a loro collegate. La vera soluzione sarebbe raffinare il petrolio in Libia, ma questo richiede stabilità, strutture e investimenti. perché, senza una forte pressione esterna, i gruppi di potere locali dovrebbero investire per tagliare le proprie risorse?
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