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L’Europa non regala denaro: i prestiti del PNRR si rimborsano direttamente, mentre le sovvenzioni cosiddette “a fondo perduto” verranno restituite attraverso nuove imposte europee. (di Antonio Maria Rinaldi)
L’Europa non regala nulla: Rinaldi svela il meccanismo contabile dietro il PNRR. I prestiti aumentano il debito, le sovvenzioni portano nuove tasse UE. Ecco il conto per i cittadini.

L’architettura finanziaria del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si fonda su un presupposto raramente esplicitato nel dibattito pubblico: i fondi del Next Generation EU non sono risorse gratuite. La distinzione tra la quota di prestiti e quella di sovvenzioni – impropriamente definite “grants” – non muta la natura ultima del meccanismo. In entrambi i casi, le risorse dovranno essere restituite, direttamente o indirettamente, dai cittadini europei.
Per la parte dei prestiti la questione è lineare: si tratta di debito contratto dagli Stati membri nei confronti dell’Unione, con precisi termini di rimborso. L’operazione comporta un incremento del debito complessivo, sebbene contabilmente distinto da quello nazionale. È un indebitamento mutualizzato, ma pur sempre un debito che graverà sui bilanci futuri. Ciò che non è stato sufficientemente valutato, tuttavia, è la convenienza alternativa di reperire autonomamente le stesse risorse sui mercati attraverso l’emissione di titoli di Stato, che – specie nei periodi di tassi favorevoli – avrebbero potuto comportare un costo complessivo anche inferiore rispetto al finanziamento europeo. Tale via avrebbe inoltre consentito di mantenere la piena flessibilità nella gestione degli investimenti, evitando di sottostare alle rigide regole, ai vincoli e alle tempistiche imposte da Bruxelles.
Più sottile – e meno compreso – è il funzionamento dei fondi “a fondo perduto”, percepiti come una generosa elargizione europea. In realtà, tali risorse provengono dalle cosiddette “risorse proprie” dell’Unione Europea, vale a dire nuove o rafforzate forme di imposizione fiscale introdotte per garantire il rimborso del debito comune emesso sui mercati.
In questa categoria rientrano il contributo basato sulla quantità di plastica non riciclata, la quota dei proventi del sistema ETS, la tassa alle frontiere sulle emissioni di carbonio e, in prospettiva, prelievi digitali e tributi rivolti ai giganti multinazionali.
Strumenti che, al di là della complessità tecnica, hanno una caratteristica comune: ricadono sempre, direttamente o indirettamente, sui contribuenti europei.
Il risultato è che anche la parte “gratuita” del PNRR verrà, nel tempo, compensata attraverso l’aumento delle entrate fiscali dell’Unione o, in caso di insufficienza, tramite un maggior contributo dei singoli Stati al bilancio europeo. È dunque improprio parlare di “risorse regalate”: l’Europa non dispone di una fonte autonoma di ricchezza, ma di un sistema di prelievi che grava sulle economie reali dei Paesi membri.
La percezione diffusa di un’Europa che “finanzia” i piani nazionali è il frutto di una rappresentazione comunicativa che ha sostituito l’informazione economica con la suggestione politica. Eppure, la verità contabile è semplice: i grants non sono donazioni, ma anticipazioni coperte da nuove forme di tassazione. Ciò che oggi arriva come trasferimento, domani sarà recuperato attraverso le “risorse proprie”, con l’effetto di ridurre lo spazio fiscale nazionale e aumentare la pressione complessiva.
Questa impostazione, se non accompagnata da un rigoroso controllo dell’efficacia della spesa, rischia di produrre un duplice danno: un indebitamento collettivo europeo e un aggravio fiscale diffuso. La sostenibilità del sistema dipenderà dalla capacità degli Stati di tradurre gli investimenti del PNRR in crescita reale e duratura. Senza un incremento di produttività, occupazione e reddito, il debito comune si trasformerà in un fardello condiviso, anziché in un volano di sviluppo.
Va inoltre considerato l’aspetto politico-istituzionale. Il ricorso a risorse proprie segna un passo ulteriore verso una fiscalità sovranazionale, nella quale l’Unione acquisisce strumenti di prelievo indipendenti dai Parlamenti nazionali. È un’evoluzione di grande portata, che ridisegna i rapporti tra sovranità economica e integrazione europea, e che meriterebbe un dibattito trasparente, non una semplificazione mediatica.
Il rischio, se non si affronta con chiarezza questo nodo, è di perpetuare l’illusione di una solidarietà europea senza costi. Ma ogni sistema di redistribuzione implica una fonte di finanziamento: non esistono trasferimenti privi di controparte.
Domande e risposte
Perché si parla di soldi “a fondo perduto” se vanno restituiti? L’espressione “a fondo perduto” si riferisce al fatto che lo Stato membro non deve rimborsare direttamente la somma capitale nel suo bilancio nazionale come farebbe con un BTP. Tuttavia, essendo l’UE un ente che si finanzia tramite i contributi degli Stati e risorse proprie, il rimborso avviene comunque a carico dei cittadini europei. È una mutualizzazione del debito, non una cancellazione. Il termine è tecnicamente corretto per il bilancio statale, ma ingannevole per il contribuente finale.
Quali sono le nuove tasse europee citate nel testo? L’Unione Europea sta implementando un pacchetto di “risorse proprie” per ripagare il debito del Next Generation EU. Tra queste figurano la Plastic Tax (già in vigore), il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) che tassa le importazioni inquinanti, e la revisione del sistema ETS per le emissioni di CO2. Si discute anche di una prelievo sulle transazioni finanziarie o sugli utili delle grandi multinazionali. Tutte queste voci finiranno per pesare sui costi di produzione e, a cascata, sui consumatori.
Il PNRR conviene all’Italia nonostante i rimborsi? Questa è la vera domanda politica ed economica. Se i fondi vengono spesi per investimenti ad alto moltiplicatore (infrastrutture vere, ricerca, efficienza energetica) che fanno crescere il PIL più del costo del debito e delle nuove tasse, allora l’operazione è positiva. Se invece i fondi si disperdono in bonus a pioggia, burocrazia o progetti improduttivi, ci ritroveremo con una crescita asfittica e un carico fiscale (nazionale ed europeo) più pesante. La convenienza dipende dalla qualità della spesa, non dalla provenienza dei fondi.
La storia economica insegna che nessuna risorsa è gratuita e che la sostenibilità delle finanze pubbliche si misura sulla capacità di generare ricchezza reale, non sulla promessa di fondi comuni.
Il PNRR rappresenta sicuramente un’occasione, ma solo se utilizzato con consapevolezza e trasparenza. In caso contrario, rischia di trasformarsi in un gigantesco esercizio contabile, dove l’apparente beneficio immediato nasconde l’obbligo futuro di restituire quanto ricevuto, con interessi, sotto forma di nuove imposte europee.
In definitiva, non si tratta di essere euroscettici o entusiasti: si tratta di riconoscere la natura economica del debito europeo e di spiegare con onestà ai cittadini che l’Europa non regala risorse, ma le anticipa, confidando nella capacità degli Stati membri di impiegarle in modo produttivo. Solo così si potrà evitare che il meccanismo del PNRR, concepito come strumento di rinascita, diventi l’ennesima partita di giro in cui, come sempre, il costo finale ricade su chi lavora, produce e paga le imposte.
*Ex membro della Commissione ECON del Parlamento europeo








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