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L’Europa corre al riarmo: Bunker, Leva Obbligatoria e la “Mobilitazione Silenziosa” di 800.000 uomini
Mentre l’opinione pubblica guarda altrove, la NATO attiva la “mobilitazione silenziosa”. Dal ritorno della coscrizione in Francia e Germania ai piani logistici per il fronte est: ecco come l’Europa sta passando all’economia di guerra.

Mentre l’attenzione del pubblico generalista è spesso distratta dal chiacchiericcio politico quotidiano, nei corridoi che contano, quelli delle cancellerie europee e dei Quartier Generali della NATO, la musica è cambiata. E non è una melodia rassicurante. L’Europa non sta più semplicemente discutendo di guerra come ipotesi accademica; si sta preparando, carte alla mano e budget esplosi, a combatterne una.
Siamo di fronte a quella che potremmo definire una “mobilitazione silenziosa”. Non ci sono (ancora) i proclami alla radio degli anni ’40, ma i segnali sono inequivocabili: ritorno della coscrizione, riattivazione di bunker dimenticati dalla Guerra Fredda e piani operativi per spostare centinaia di migliaia di truppe verso il fronte orientale. È il ritorno della Storia, quella con la S maiuscola, che bussa alla porta di un continente che si era illuso di vivere in un’eterna “fine della storia”.
La Danza Macabra delle Dichiarazioni
La settimana scorsa, Vladimir Putin ha ribadito un concetto che ripete come un mantra: Mosca non cerca lo scontro con l’Europa. Tuttavia, la clausola di salvaguardia è agghiacciante: «Se l’Europa vuole combatterci e inizia, noi siamo pronti ora». Una frase che, letta superficialmente, potrebbe sembrare la solita retorica del Cremlino.
Il problema sorge quando si confrontano queste parole con quelle dei leader occidentali. L’11 dicembre, il Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, ha parlato con una franchezza brutale in Germania: gli alleati sono il prossimo obiettivo. «Dobbiamo essere preparati per una scala di guerra simile a quella sopportata dai nostri nonni o bisnonni». Non si parla più di operazioni di peacekeeping o di conflitti asimmetrici, ma di guerra industriale su vasta scala.
Il Regno Unito rispolvera il “War Book”
Londra, con il suo consueto pragmatismo, sta andando oltre la retorica. Al Carns, ministro delle forze armate britanniche, ha dichiarato apertamente che “l’ombra della guerra sta bussando ancora una volta alla porta d’Europa”. Ma il punto cruciale sollevato da Carns è squisitamente tecnico e sociale: gli eserciti gestiscono le crisi, ma sono le società e le economie a vincere le guerre. E qui il gioco rischia di diventare pericoloso.
Il governo britannico sta lavorando a una revisione completa del “Government War Book”, il manuale operativo che durante la Guerra Fredda dettagliava le istruzioni per ogni ganglio della società civile: dagli ospedali alle gallerie d’arte, dalle scuole alla polizia. Le novità da oltremanica includono:
- Un aumento del 50% delle attività ostili: Spionaggio, hacking e minacce fisiche contro il Ministero della Difesa sono esplosi nell’ultimo anno.
- Nuova unità di controspionaggio: Creazione di una task force dedicata per interrompere le operazioni di stati ostili.
- Fusione dell’Intelligence: La creazione dei “Military Intelligence Services”, unendo le branche di esercito, marina e aviazione per snellire la catena di comando.
Si tratta di un approccio “Whole of Society”. Non basta schierare i militari; bisogna preparare la popolazione a un’eventuale crisi esistenziale, proteggendo ogni centimetro del territorio nazionale. Come un governo profondamente impopolare, con il primo ministro che è il meno apprezzato dell’ultimo secolo, possa unire la società resta un mistero degli strateghi.

Il mezzo da combattimento per la fanteria Ajax 3 dell’eercito britannico, più pericoloso per chi è al suo interno che per chi è fuori
L’Asse Franco-Tedesco: Tra Leva e Logistica
Se Londra pianifica, Parigi e Berlino agiscono, spinte da una necessità che sembra aver superato le esitazioni politiche degli anni passati.
La Francia di Emmanuel Macron ha compiuto un passo storico, o forse un passo indietro nel tempo. Ventinove anni dopo l’abolizione della leva (1996), la Francia reintroduce un “servizio nazionale“. Non è solo simbolico: si parte dalla prossima estate, gradualmente, per i 18-19enni. Macron è stato chiaro: «L’unico modo per evitare il pericolo è prepararsi ad esso». Ai coscritti andranno circa 800 euro al mese, una mossa che unisce patriottismo e un piccolo stimolo keynesiano ai redditi bassi.
La Germania, sotto la nuova guida politica che ha accelerato i dossier lasciati in sospeso dall’era Scholz, si muove su due binari:
Reclutamento: Il Bundestag ha votato per l’invio di questionari obbligatori a tutti i diciottenni dal gennaio 2026, per sondare la disponibilità al servizio. Se i numeri non torneranno, l’opzione della leva obbligatoria (sospesa nel 2011) è già sul tavolo.
Operazione Red Storm Bravo: Amburgo è diventata teatro di esercitazioni massicce, con blindati che attraversano la città, simulando la logistica di guerra.

OPLAN DEU: È qui che la proverbiale efficienza tedesca si mostra in tutta la sua complessità. Un piano classificato di 1.200 pagine, l‘Operation Plan Germany, dettaglia come la Germania fungerà da hub logistico per spostare 800.000 soldati NATO verso est. Non si tratta solo di soldati, ma di infrastrutture, resilienza civile e capacità di “cold-start” (avvio a freddo) della macchina bellica. Ovviamente resta da vedere se è applicabile.
La Corsa al Riarmamento: I Numeri dell’Economia di Guerra
Dal punto di vista economico, stiamo assistendo a una trasformazione radicale dei bilanci statali. Il dogma del 2% del PIL per la difesa è ormai un pavimento, non un soffitto. La tabella di marcia della spesa militare europea è impressionante:
- Germania: Fondo speciale da 100 miliardi di euro (già operativo e in fase di allocazione accelerata).
- Polonia: Punta a un incredibile 4,7% del PIL. Varsavia sta addestrando ogni maschio adulto e portando l’esercito a 500.000 effettivi.
- Paesi Baltici: Target del 5% del PIL.
- Svezia e Francia: Obiettivo 3,5%.
A livello comunitario, l’UE ha lanciato il piano “ReArm Europe / Readiness 2030”. Si parla di una leva finanziaria fino a 800 miliardi di euro, supportata da strumenti di prestito (SAFE) per 150 miliardi. È un’iniezione di liquidità enorme nel complesso militare-industriale europeo. Per un blog come il nostro, attento alle dinamiche economiche, è evidente che questo rappresenta uno stimolo fiscale massiccio, seppur motivato da ragioni tragiche. È il “Keynesismo militare” che torna di moda: spesa pubblica per sostenere la domanda interna e l’innovazione tecnologica, trainata dalla difesa.
Infrastrutture: Il ritorno del cemento
Non sono solo soldi e uomini. È cemento. La Norvegia sta restaurando i bunker dell’era della Guerra Fredda e imponendo rifugi antiaerei nei nuovi edifici. I paesi del fianco orientale (Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia) stanno accumulando mine terrestri e munizioni, creando quella che di fatto è una nuova “Linea Maginot” tecnologica verso la Russia.
Conclusioni: Il Bivio del 2028
Tutti questi movimenti suggeriscono che le cancellerie europee vedono il 2028 come una data critica, il possibile punto di rottura in cui la Russia, rigenerata o disperata, potrebbe testare la tenuta della NATO. Tuttavia, nulla è ancora scritto nella pietra. Molto dipenderà dall’evoluzione del conflitto in Ucraina. Se si raggiungesse un accordo di pace mutuamente accettabile, questa immensa macchina da guerra potrebbe rallentare. Ma se la situazione dovesse peggiorare, l’Europa si troverebbe già con l’elmetto in testa.
La mobilitazione è silenziosa, ma il rumore dei cingolati che si spostano verso est inizia a farsi sentire, anche per chi ha preferito tapparsi le orecchie fino ad oggi. Se poi nel 2028 non succederà nulla pazienza: vuol dire che 800 miliardi saranno stati sprecati. Ce cosa volete che sia: sono soltanto i vostri soldi.
Domande e risposte
Perché si parla di “Keynesismo militare” in relazione a questi piani di riarmo? Il termine si riferisce all’utilizzo della spesa pubblica nel settore della difesa come volano per l’economia. Piani come il “ReArm Europe” da 800 miliardi di euro non servono solo alla sicurezza, ma iniettano liquidità massiccia nel sistema industriale, creando posti di lavoro, stimolando la ricerca tecnologica (droni, AI, materiali) e sostenendo il PIL. In un momento di stagnazione economica civile, la spesa militare diventa, cinicamente ma pragmaticamente, uno strumento di politica economica per sostenere la domanda aggregata e l’occupazione, simile a quanto accade nelle economie di guerra.
Cosa comporta il ritorno della leva obbligatoria per le nuove generazioni? Il ritorno della leva, già realtà in Scandinavia e in via di reintroduzione in Francia e potenzialmente in Germania, segna la fine dell’epoca dell’esercito puramente professionale. Per i giovani significa un reinserimento forzato o fortemente incentivato (vedi gli 800-2000 euro mensili) nelle dinamiche statali. Non è solo addestramento all’uso delle armi, ma un tentativo di ricostruire una coesione nazionale e una “resilienza sociale” che i governi ritengono perduta. Comporta un obbligo di servizio che altera i percorsi di studio e lavoro, reintroducendo il concetto di “dovere” verso lo Stato.
Quanto è reale il rischio di un conflitto diretto NATO-Russia entro il 2028? Il rischio è considerato “molto reale” dalle intelligence occidentali, non tanto come certezza, ma come scenario ad alta probabilità se la deterrenza fallisse. La data del 2028 deriva dalle stime sul tempo necessario alla Russia per ricostituire le proprie forze convenzionali post-Ucraina. Le esercitazioni come “Red Storm Bravo” e i piani come OPLAN DEU non sono simulazioni astratte, ma risposte a valutazioni di minaccia concrete. Tuttavia, questa preparazione serve proprio a evitare il conflitto: la logica è “si vis pacem, para bellum”. La debolezza invita l’aggressione; la forza dovrebbe scoraggiarla.









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