Attualità
L’Europa bancaria si allarga verso Est
Assai più degli economisti, che si perdono nelle astruserie dei loro modellini econometrici, i banchieri centrali hanno il raro dono della sintesi e della chiarezza. E soprattutto sono alquanto spudorati.
A differenza dei politici, che hanno il fastidioso contrappasso di doversi fare eleggere, i banchieri centrali hanno il raro dono dell’indipendenza, che consente loro (in teoria) di dire e fare ciò che ritengono opportuno. Più dire che fare, in realtà, atteso che nessuno che abbia un minimo di buon senso può davvero pensare che la Fed, per fare un esempio, se ne infischi di quello che dice Obama.
Epperò la libertà di dire è già un bell’asset. Tanto più adesso che va di moda la forward guidance, che significa dire al mercato ciò che farò in modo che lui, poverino, non si spaventi.
E poiché i banchieri centrali non hanno peli sulla lingua, finisce che leggere i loro numerosissimi interventi che tengono in giro per il globo è assai più istruttivo che frequentare politici ed economisti, che poi in fondo sono figli dello stesso padre: l’esercizio retorico.
Non che i banchieri centrali non usino la retorica. Au contraire: sono zuppi di retorica, a cominciare da quella delle buone maniere. E tuttavia alla fine hanno il pregio di farsi capire e di farci capire, cosa più importante.
Essendo avido lettore di banchieri centrali (povero me), mi è capitato perciò di imbattermi nell’intervento di Mugur Isărescu, governatore della National Bank of Romania tenuto in occasione del 15esimo international advisory board di Unicredit, alla presenza del nostro ex premier Romano Prodi.
Ma non è stato il parterre a convincermi che dovevo leggere il pensiero del governatore rumeno: è stato l’oggetto del suo discorso: “Relations between euro and non-euro countries within the Banking Union”, ossia la relazione che si andrà a determinare fra i paesi dell’eurozona, iscritti d’ufficio nella nuova Unione bancaria, e quelli della Ue fuori dall’euro ai quali la normativa dà la facoltà di aderire.
L’Unione bancaria ormai da un po’ è sparita dalle cronache. Di recente è accaduto soltanto che è stato completato l’iter normativo che ha dato vita al corpus di norme che vi riepilogo per sommicapi. Tutti e tre i pilastri dell’Unione bancaria, quindi supervisione, risoluzione e fondo di risoluzione, sono stati approvati e andranno in vigore molto presto. A fine ottobre di quest’anno partirà la supervisione unificata, successiva alla presentazione degli stress test, che faranno patire e non poco le banche europee. Quindi entrerà in vigore la normativa sull’autorità di risoluzione e da quel momento in poi inizierà ad alimentarsi il fondo di risoluzione con i denari delle banche, al quale potranno attingere i creditori di una banca che si deciderà di far fallire. Nel frattempo scatteranno procedure di bail in. Qualora una banca dovesse fallire i primi a pagare il conto saranno azionisti, obbligazionisti subordinati e via via fino ai depositi non assicurati.
L’Unione bancaria quindi è per adesso sparita dalle cronache, ma i suoi effetti saranno più che evidenti già dall’autunno.
Ma leggendo il nostro banchiere rumeno ho avuto la conferma del pensiero che in questi mesi ha alimentato una semplice convinzione: l’Unione bancaria sarà un’ottimo viatico per l’Unione fiscale.
Figuratevi la mia sorpresa quando ho avuto la conferma che il mio sospetto fosse sensato. “Ho sempre parlato a favore del progetto di unione bancaria – dice il governatore -. Io vedo l’unione bancaria come un sostituto di una controparte fiscale dell’unione monetaria, necessaria affiché quest’ultima funzioni propriamente”. E poiché “è difficilmente immaginabile che si possa avere consenso di un’unione fiscale, particolarmente nell’Europa di oggi , porsi l’obiettivo dell’unione bancaria ha il vantaggio di essere raggiungibile”. Di conseguenza, “sono a favore di un ingresso della Romania nell’Unione bancaria”.
Detto in altri termini, ai fini degli effetti pratici, l’Unione bancaria è un ottimo succedaneo dell’Unione fiscale, atteso che spezzando il legame fra debito sovrano e stati raggiunge l’obiettivo di centralizzare, al livello della Bce, il controllo sulla politica fiscale degli stati. E poiché tale obiettivo coincide di fatto con quello dell’unione fiscale “che è difficile raggiungere”, è sufficiente per un paese aderire all’unione bancaria per raggiungere lo scopo che tutti i banchieri centrali condividono: tenere sotto il controllo di un’entità sovranazionale i bilanci degli stati membri. Dell’unione europea, non della semplice eurozona.
Gli argomenti che il banchiere porta a sostegno dell’ingresso della Romania nell’unione bancaria, sottolinea, “valgono anche per i paesi fuori dall’euro, come la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca o la Bulgaria”. Insomma, il nostro banchiere mi ha rafforzato la convinzione che l’eurozona, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali secondo le quali non ci saranno ulteriori ingressi nei prossimi anni, si allargherà eccome, ma per via bancaria.
Per apprezzare il contributo del nostro banchiere è utile esplorare a volo d’uccello le condizioni macroeconomiche della Romania che negli anni fra il 2009 e il 2012 ha effettuato una sostanziale correzione degli squilibri accumulati al tempo della bonanza. Sicché nel 2013 il paese ha raggiunto una crescita del 3,5%, ha riportato il conto corrente a un livello più sostenibile, passando dal deficit a doppia cifra raggiunto nel 2008, all’attuale -1,1%, così come ha ridotto il deficit fiscale sotto la soglia del 3%. Che l’inflazione sia scesa all’1,55%, in qualche modo è anche una conseguenza di queste politiche.
Questi miglioramenti, sottolinea, sono la ragione per la quale la Romania ha sofferto meno delle altre economie emergenti, segnatamente il paragone è con la Turchia, le conseguene del richiamo di capitali che si è scatenato nella primavera del 2013, quando parve al momento che la Fed tirasse i remi in barca.
Ma ciò che è accaduto, nei paesi citati, è che in tutti è emersa la considerazione che i costi di adozione della moneta unica, che comunque faceva parte dei loro piani, sono apparsi, in conseguenza della crisi, maggiori dei benefici che tale adozione avrebbe portato. In particolare, spiega, il beneficio principale “ossia il costo di finanziamento più basso non è apparso più come scontato”.
Ciò in quanto “il setup istituzionale incompleto del progetto europeo in generale e dell’unione monetaria in particolare aveva fatto emergere una serie di vulnerabilità che la crisi ha messo in evidenza”. Insomma, i nostri parenti dell’est si sono accorti che non era tutto oro quello che l’euro faceva luccicare. E si sono fatti prudenti.
Come se non bastasse, le soluzioni individuate dall’eurozona per rimediare ai guasti della crisi, ossia la creazione del fondo Esm e la realizzazione dell’Unione bancaria, ha fatto risaltare, a fronte della sparizione del beneficio dell’euro (i bassi costi dei prestiti) gli enormi costi che ciò porta con sé.
“Il problema – sottolinea – non è soltanto lo sforzo finanziario che ciò comporta, ma anche la difficoltà, sul versante politico, di spiegare al pubblico che bisogna contribuire a un meccanismo che per il momento porta beneficio a paesi più ricchi del nostro”.
Difficile, insomma, spiegare a un rumeno che deve pagare le tasse per aiutare la Spagna.
Ebbene, atteso che “l’adozione dell’euro è nel lungo periodo interesse degli stati dell’Ue”, dice bisogna comunque tenere conto di alcune circostanze perché tali benefici diventino reali. Il primo dei quali è la consapevolezza che “la convergenza verso i criteri contabili definiti a Bruxelles è diventata assai meno importante della convergenza della ricchezza pro capite”.
Insomma, il percorso di integrazione monetaria con questi paesi dell’est si è fatto più complesso, da un punto di vista economico, istituzione e politico.
Tuttavia, spiega, la Romania è intenzionata a entrare nell’euro e poiché l’adozione nella moneta unica implica quella all’unione bancaria “aderire a tale unione è solo una questione di tempo”. “Questo è un argomento solido a favore di una rapida adesione all’Unione bancaria”.
Ma ce n’è anche un altro, assai più cogente delle semplici questioni di calendario. “Il sistema bancario domestico di molti componenti della Ue fuori dall’euro è dominato da banche che hanno il quartier generale in paesi dell’euro”.
Nel caso della Romania, per dire, le banche della zona euro pesano l’80% del totale degli asset bancari, e lo stesso vale per la repubblica Ceca e l’Ungheria, mentre il Bulgaria e Polonia la percentuale diminuisce leggermente al 70 e 60% rispettivamente.
Le sussidiarie di queste eurobanche sono talvolta sistemiche per i paesi ospiti, anche se magari i loro bilanci sono piccoli rispetto alle case madri.
Detta il altre parole, l’unione bancaria già c’è, in gran parte della Ue, a prescindere dalle regole approvate a Bruxelles. E al tempo stesso questi paesi dell’est “sono fortemente integrati nei mercati finanziari”.
“In tal senso non soprende che la Romania abbia abbracciato l’idea dell’Unione bancaria”. E infatti si poteva immaginare che sarebbe finita così. Entrare nell’euro 2.0, ossia nell’unione bancaria, prima che nell’euro 1.0, ossia quella monetaria, ha il gradevole pregio di poter essere deciso senza che si debba cambiar moneta.
Anche perché l’Unione bancaria dà il giusto incentivo alle banche per attuare un disindebitamento graduale, rafforzando il capitale e riconoscendo le perdite eliminando anche i rischi che possono provocarsi per il sistema a causa degli arbitraggi regolamenti fra una giurisdizione e u’altra. Ad esempio utilizzare le maglie più larghe della regolametazione finanziaria di un paese per lucrare rendimenti, attività impossibile in un contesto di regole condivise. E poi ci sono altri vantaggi che si possono ottenere, come l’accesso delle banche non euro ai fondi della Bce, che al momento viene mediata dalla banca centrale nazionale.
Date le premesse non stupisce che il nostro banchiere concluda in crescendo citando il nostro compianto Tommaso Padoa Schioppa, secondo il quale “la crisi genererà possibilmente gli strumenti di cui siamo carenti e ci porterà più vicino a una più compiuta Unione”.
La crisi come mezzo di governo della realtà.
L’unione bancaria come anticipazione dell’unione fiscale.
Tutto torna.
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