Attualità
L’ERF CI ATTENDE ALLA FINE DEL QE? E SE ARRIVA PRIMA IL BAIL-IN CON L’ESM? O ANCHE ENTRAMBI ? Di Luciano Barra Caracciolo
Pubblichiamo questo ottimo e completo pezzo di Luciano Barra Caracciolo da orizzonte88 : www.orizzonte48.blogspot.it. Buona lettura !
Nell’insieme, tutte risultano determinate da una conduzione “sovranazionale” (formalmente della Commissione UE, ma sostanzialmente imposte dai paesi dominanti la stessa UEM) delle polItiche economiche e fiscali.
“La presente informativa è basata su conversazioni col Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble e con persone a lui vicine. FONTE: fonti con un accesso di eccellenza ai più alti livelli delle comunità europee di politica e sicurezza.LA SEGUENTE INFORMAZIONE PROVIENE DA UNA FONTE ESTREMAMENTE SENSIBILE E DEVE ESSERE USATA CON ATTENZIONE. QUESTA INFORMAZIONE NON DEVE ESSERE CONDIVISA CON NESSUNO CHE SIA ASSOCIATO AL GOVERNO TEDESCO” (il documento è identificato come “Case No. F-2014-20439 Doc No. C057”, come ci riporta il citato sito che ne è venuto a conoscenza grazie a Ulrich Anders).
“Schaeuble pensa di avere due vie, che gli permetterebbero di evitare la soluzione per lui più dolorosa. Le due vie sono:
a) La via suggerita dai 5 saggi tedeschi, lo “European redempion fund”, quello che, con il two pack ed il six pack, avrebbe dovuto riassorbire il debito oltre il 60% del PIL e che, inizialmente Schaeuble aveva osteggiato
b) “Il secondo corso d’azione è più ancora problematico per Schauble, poiché involge la pianificazione di una divisione dell’UE in due noccioli diversi, con un’unione monetaria più ristretta”. Cioè la seconda soluzione si riferisce all’ euro a due velocità, o euro sud ed euro nord, soluzione che però viene vista come difficile dopo l’elezione di Hollande.
Quello che Schaeuble vuole evitare a tutti i costi è la terza soluzione:
“In ogni caso Schauble continua a credere che un completo collasso dell’unione monetaria sia inaccettabile per la Germania, perché un ricostituito marco tedesco risulterebbe considerevolmente rivalutato rispetto all’euro (ndr; attenzione, proprio rispetto all’euro, non rispetto al dollaro, poichè Schauble è evidentemente preoccupato del vantaggio di competitività attribuito alla Germania dal valore fisso dell’euro rispetto alle valute correnti negli altri Stati dell’UEM, rimanga o meno l’euro per taluni di esso; infatti, in caso di un “collasso” della moneta unica, questa – o le neovalute comunque risultanti- si svaluterebbero simmetricamente rispetto al neo-marco, facendo perdere alla Germania gran parte della competitività di prezzo accumulata a svantaggio dei partners europei con cui principalmente commersia, esportando), danneggiando seriamente l’economia tedesca guidata dalle esportazioni“. La fine dell’euro è inaccettabile per la Germania perchè il nuovo marco sarebbe troppo rivalutato e danneggerebbe l’economia tedesca basata sull’esportazione. Quindi tutti i sacrifici che i tedeschi dicono di fare, o di aver fatto, non esistono. Stanno agendo solo nel proprio interesse e chi in Italia continua a difendere l’euro, in realtà, sta continuando a difendere gli interessi dei tedeschi! Semplice, chiaro e lineare.”
7. Prosegue il commento del sito sopra citato (sempre integrato dalla traduzione in italiano):
“Il problema in quel momento poteva essere l’indecisione della Merkel sullo ERF:
“Nell’opinione di un individuo ben informato, la Merkel proseguirà a studiare lo European Redemption Plan e altre opzioni politiche, ma Schauble teme che ella ritarderà ogni azione decisiva”. Schaeuble temeva che la Merkel non prendesse una iniziativa a favore del ERF. Allora chi entra in campo? “Egli (Schaeuble) fa notare che il primo ministro italiano Mario Monti, che è vicino alla Merkel, stia dando l’allarme sul bisogno di un’azione mentre l’UE scivola nella recessione” Quindi Schaeuble utilizzerà Monti per convincere il proprio cancelliere a muoversi sul ERF.
Come sapete ERF, Two Pack, Six Pack, obbligo di pareggio di bilancio etc., sono stati fatti cosi come voleva Schaeuble, ed allo stesso modo fu guidata la politica nei confronti della Grecia nei sei mesi del governo Varoufakis/Tspiras del 2015. ERF rimane una specie di “Minaccia Fantasma” che oggettivamente impedisce lo sviluppo dell’Italia, insieme all’euro che, ora sappiamo dalla sua stessa diretta voce, è per Schaeuble, il principale regalo fatto ai tedeschi.”
8. Per chi non avesse ancora acquisito le corrette informazioni, chiariamo la genesi e il funzionamento dello European Redemption Fund.
L’idea è nata da un gruppo di esperti istituito dalla Commissione europea e presieduto dall’ex governatore della Banca Centrale Austriaca, Gertrude Trumpel-Gugerell, sulla base della proposta originaria avanzata alla fine del 2011 dal consiglio di esperti economici tedeschi (German Council of Economic Experts) per trovare una soluzione alla crisi dei debiti sovrani.
Questa iniziativa, ha avuto una prima approvazione (su un progetto “preliminare”, quello del Consiglio del esperti economici della Merkel) del parlamento europeo il 13 giugno 2012, nell’ambito della discussione sul two-packs (che definisce i poteri della Commissione stessa di verifica e controllo preventivo sui bilanci annuali dei singoli Stati dell’euro-zona), in base alla c.d. Relazione Ferreira (approvata col voto favorevole del 74% del PE inclusa la maggior parte degli europarlamentari italiani).
La proposta, a monte di tutto, dunque, era stata formulata dal Consiglio degli esperti economici della Cancelleria tedesca Angela Merkel, e prevedeva, in linea di massima, di far confluire nel Fondo l’importo dei debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL.
Successivamente, essendo rimasto sulla carta (a differenza della procedura che introduce lo stringente potere di “veto” della Commissione sulle finanziarie annuali dei singoli Stati) per i motivi di “esitazione” tedesca sopra indicati (risalenti al 2012), la questione è stata approfondita nei suoi meccanismi e, nella nuova veste di proposta più operativa, è stata riapprovata dallo stesso Parlamento europeo nel 2014.
Vediamo come ci si è arrivati.
9. Il 2 luglio 2012, la Commissione UE incaricava un gruppo di studio composto da esperti austro-tedeschi di elaborare un ulteriore draft di dettaglio dello stesso fondo di “redenzione”, lungo le linee della prima proposta dei consiglieri economici della Merkel, culminata nella sopra menzionata relazione Ferreira, appunto approvata dal parlamento UE pochi giorni prima, nel giugno 2012).
Lo studio veniva consegnato nel marzo 2014 alla Commissione (“committente”), “ma poi, a seguito delle forti critiche e delle imminenti elezioni europee, era stata archiviato.
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Peraltro, passate le elezioni “il (neo)presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ha tolto la polvere ai cassetti e ha ripreso in mano la proposta. In una lettera inviata…al Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker l’ERF viene citato come elemento chiave della riforma dell’attuale sistema di governance economica europea. Ecco il documento, all’ultimo punto del paragrafo 4 il riferimento al Fondo di Redenzione.”
Attualmente, tuttavia, va detto che nonostante il (doppio) parere favorevole del parlamento UE, la Commissione non ha ancora proceduto a formalizzare una proposta da tradurre in una nuova bozza di trattato “derivato”, come il fiscal compact (di cui, come vedremo, l’ERF è un sostanziale strumento di esecuzione coattiva), ovvero in una direttiva obbligatoria per gli Stati dell’Eurogruppo, come nel caso della Unione bancaria e del conseguente meccanismo del bail-in (notoriamente recepita, tale direttiva, nel settembre del 2015 mentre il relativo decreto delegato è operativo, con le conseguenze cui stiamo appena assistendo, dal 1° gennaio 2015).
10. Va detto che un motivo “assorbente” per cui, attualmente, non si spinge in modo attuale sull’ERF, da parte della Commissione e dell’Eurogruppo, pare risiedere nel Quantitative easing lanciato dalla BCE e operativo da marzo.
Recentemente, il QE è stato esteso, secondo quanto annunciato dallo stesso Draghi, dalla sua originaria scadenza, settembre 2016, a quella del marzo 2017
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La caduta dei rendimenti (e quindi l’aumento dei prezzi di collocamento) dei titoli sovrani dell’eurozona (eccettuati quelli dello Stato greco, non ammissibile al programma perché monitorato nell’attuazione dei memorandum rientranti nella condizionalità speciale imposta in cambio delle linee di cresito dell’ESM, come visto prima), fanno sì che l’immediata utilità del fondo di “redenzione” non sia spendibile per indurre gli Stati ad attualizzarne il funzionamento.
Venuto, transitoriamente, meno l’unico e parziale vantaggio prospettabile (la diminuzione dei tassi di rendimento dei titoli sovrani), rimarrebbe infatti, con tutto il suo peso, il resto del meccanismo di esecuzione forzata.
Ma questo, appunto, può valere solo fino alla fine del QE, cioè ancora per circa 15 mesi (allo stato delle decisioni della BCE).
11. Quanto al funzionamento dell’ERF, per chi non lo avesse ancora approfondito, si articola sui seguenti punti:
a) ciascuno Stato conferisce al fondo il debito eccedente il limite del 60% del PIL;
b) il fondo prende in carico tali titoli emettendo in loro sostituzione titoli garantiti, verso i sottoscrittori, dall’egida di una istituzione finanziaria europea (e che quindi possono fruire, presso gli investitori delle istituzoni finanziarie internazionali private, di alti prezzi di collocamento e non sottoposti agli spread differenziati che avrebbero subito i vari Stati UEM separatamente impegnati a emettere propri titoli);
c) tuttavia, ciascun Stato aderente, a fronte del risparmio sugli interessi passivi, garantisce, a sua volta, verso il Fondo, l’esatta applicazione del fiscal compact nella parte in cui prevede la diminuzione nella tendenziale misura di 1/20° annuo del proprio debito eccedente il 60% del PIL. Questo, dunque, è lo scopo effettivo dell’ERF: un’attuazione puntuale e garantita dello stesso fiscal compact. Infatti:
c.1) ogni anno, il fondo (una volta a regime entro un periodo di avvio di 5 anni), divenuto comunque il nuovo e unico creditore dello Stato per quanto riguarda i titoli conferiti, pretende la restituzione definitiva del relativo ammontare nella prevista misura di 1/20° e si premunisce della immancabilità di tale estinzione progressiva del debito mediante una serie di garanzie immediatamente escutibili (cioè incassabili; a fronte di ciò dovrebbero complessivamente diminuire in misura corrispondente di 1/20°, e fino alla totale estinzione in 20 (o 25) anni, dei titoli, cioè delle passività, che emette il fondo medesimo;
c.2) queste garanzie sono, infatti, costituite da:
a) dal gettito delle imposte nazionali in una misura adeguata, vincolata al pagamento verso il Fondonello stesso modo in cui lo sono uno stipendio o un conto corrente che vengano pignorati in attesa dell’assegnazione al creditore; tale “pignoramento” (preventiuvo e potenzialmente ultraventennale) dovrebbe essere stabilito intorno al 5/6% annuo delle entrate statali (privilegiando l’imposizione indiretta; ad es, l’IVA);
b) il ricavato della vendita, mediante privatizzazione, di ogni genere di assets pubblici dello Stato garante; le privatizzazioni avrebbero così una destinazione vincolata e privilegiata a favore del fondo e immancabilmente nella misura di volta in volta necessaria (calibrata sulla discrezionale misura in cui il Fondo stesso non si approprierà integralmente del gettito fiscale di cui al punto a), lasciando cioè allo Stato la scelta tra quante entrate sottrarre ai compiti essenziali di erogazione di servizi essenziali ai propri cittadini e la devoluzione del risultato di privatizzazioni obbligate e, in condizioni di carenza di liquidità degli operatori nazionali, destinare a fnire n svendita a mani estere (v. aeroporti greci, questa stessa estate);
c) l’oro e la valuta pregiata detenute dalla banca centrale dello Stato aderente.
12. Va subito detto che, una volta divenuto debitore non più per i propri titoli (che verrebbero estinti dal conferimento al Fondo) ma in forza del rapporto, coattivo e “garantito”, instaurato col Fondo stesso, dovrà restituire la somma dovuta annualmente (ciascuna rata ventennale) in valuta sottoposta alla disciplina europea, quindi in euro o, in caso di euro-break, nella valuta stabilita dalle clausole di dettaglio dello statuto (o trattato) ERF.
Quindi, per una parte consistente del suo debito, – per l’Italia si tratta di più della metà (allo stato, circa il 75% del PIL)-, lo Stato coinvolto non potrà più avvantaggiarsi dell’eventuale ritorno alla propria valuta nazionale ed alla conseguente “svalutabilità” del debito da restituzione dei propri titoli sovrani, in base alla lex monetae che contraddistingue(va) la stragrande maggioranza dei contratti di emissione dei titoli del debito pubblico.
Ciò costituisce un ulteriore appensantimento del vincolo monetario connesso all’euro e un aggravamento della sua privazione di sovranità, non giustificabile in alcun modo alla luce dell’art.11 Cost., mettendo a repentaglio le sue possibilità di ripresa in caso di uscita dalla moneta unica: il debito in valuta estera (da sommare ai debiti commerciali privati a breve termine per le precedenti transazioni commerciali con ogni tipo di partner, non soggette alla lex monetae), arriverebbe infatti ad una tale misura da aggravare le condizioni di ristabilimento di un corso adeguato della neo-valuta nazionale, ponendosi un’esigenza disperata di avere riserve di valuta “pregiata.
Ma questa disponibilità di valuta estera sarebbe già erosa, se non del tutto annullata, dall’averla offerta in garanzia al Fondo stesso, come visto sopra.
13. Ma, va detto, difficilmente, , sarebbe realizzabile una restituzione della rata annuale essendo, per di più simultaneamente assoggettati al pareggio di bilancio (cosa inscindibile dal fiscal compact, recepito in parte qua in Costituzione).
Va infatti tenuto presente che l’Italia, attualmente, realizza un saldo primario di pubblico bilancio pari a circa 2 punti di PIL (3 nella migliore delle ipotesi pronosticabile nelle attuali condizioni di bassa crescita).
Va poi ricordato, che l’onere degli interessi passivi è oggi mitigato dal QE (cioè dagli acquisti della BCE): ma, con ogni probabilità, salvo quanto vedremo tra un poco, l’ERF si applicherebbe solo una volta che fosse terminata tale politica monetaria espansiva “non convenzionale” (si dice).
Risultato: se pure si potesse fruire di minori interessi sulla parte del debito “eccedentaria”conferito all’ERF, tuttavia,sul rimanente 60% il livello dei tassi, cioè degli spread, sarebbe comunque potenzialmente crescente, e proprio dopo la fine del QE e per le condizioni economiche che deriverebbero dall’applicazione dell’ERF medesimo, come nel caso della Grecia visto più sopra.
14.Basti dire, nell’ipotesi più lineare, che immaginando benevolmente un onere complessivo del debito pubblico, almeno nei primi e cruciali anni di applicazione dell’ERF, non superiore a quello attuale (in pieno QE), cioè di circa 5,5 punti di PIL, dovremmo simultaneamente:
a) raggiungere il pareggio di bilancio.. Teoricamente dal 2017, ma comunque, anche se così non fosse (proroga al 2018 del “pareggio”, per concessione di “flessibilità” da parte della Commissione UE), sempre dovendo realizzare forti riduzioni del deficit annuo, (altrimenti essendo sanzionati con procedura di infrazione e strali dei “mercati” nel collocamento del debito non conferito);
b) corrispondere la rata annua della restituzione di 1/20° del debito conferito pari a circa 2/3 del nostro PIL, attraverso la “assegnazione” al Fondo creditore del 5/6% delle entrate tributarie, equivalenti a circa 2,5-3 punti di PIL.
15. Questo insieme di obblighi, derivanti dall’agire simultaneo del pareggio di bilancio-fiscal compact e dal Fondo come strumento coattivo di escussione della riduzione del debito pubblico, ci obbligherebbero a dei surplus di bilancio, cioè a dei saldi primari del settore pubblico, pari a circa 8 punti di PIL (cioè pari all’intero ammontare dell’onere degli interessi più la rata di restituzione in ventesimi del 75% del PIL).
Una misura mai realizzata da nessun paese nella storia dell’economia e che andrebbe ad assomarsi al cumulo record mondiale di precedenti saldi primari registrati dall’Italia a partire dal 1992, a costo di una forte compressione del PIL, rispetto al pieno impiego dei precedenti fattori della produzione nazionali (che ha determinato un costante out-put gap, cioè di minore crescita e di deindustriliazzazione, all’interno dell’UE e dei suoi criteri fiscali, di convergenza prima e di mantenimento della moneta unica poi).
Ma siccome sottoponendoci immediatamente, e “a regime”, (almeno per i primi anni) a una simile politica di bilancio, ne deriverebbe una feroce recessione, come accade in Grecia ma in misura ancora più violenta (dato che la Grecia non è tenuta, per evidente impossibilità, a realizzare tali livelli distruttivi di avanzo primario), la flessione del PIL farebbe riaumentare il rapporto debito pubblico per caduta del numeratore del rapporto, riportandoci rapidamente oltre il 60% nella parte di debito non conferita all’ERF!
Una follia talmente evidente che non ci vorrebbe un genio dell’economia per comprenderla.
16. Questa evenienza era stata ben segnalata da Kurgman sul caso Grecia, in questi termini che, per i “conti pubblici” che presenta l’Itali,a sarebbero da “traslare” verso un effetto recessivo di dimensioni ben maggiori, dato che, come abbiamo visto, il nostro saldo primario sarebbe da incrementare annualmente di circa 6 punti, nelle condizioni attuali:
In questo caso, al “salvataggio” di parte dei conti correnti, si accompagnerebbero le condizionalità già viste nel caso Grecia con gli effetti sopra riportati indicati da Krugman.
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