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L’embargo di Sánchez a Israele: un autogol da 2 miliardi per la difesa spagnola?
Spagna, l’embargo a Israele è un boomerang: a rischio 2 miliardi di euro in armamenti chiave, dai missili ai carri armati, per i quali non esistono alternative. La difesa spagnola si trova ora tra incudine politica e martello tecnologico.

Il governo spagnolo, guidato da Pedro Sánchez, ha calato la scure contro Israele, dopo aver anche riconosciuto lo stato palestinese: ha emesso un divieto di acquisto di armi e tecnologie militari da Israele. Un annuncio enfatico, dettato da evidenti motivazioni politiche. Peccato che la realtà industriale e strategica delle Forze Armate spagnole racconti una storia ben diversa, una storia di dipendenza tecnologica che ora presenta un conto salatissimo.
Secondo fonti interne al settore, Madrid si trova con le spalle al muro, costretta a gestire contratti a breve termine per circa 2 miliardi di euro per i quali, semplicemente, non esistono alternative praticabili alla tecnologia israeliana.
La situazione è talmente intricata che molti degli appalti più significativi, aggiudicati dall’inizio del conflitto in Medio Oriente, sono stati assegnati tramite procedure negoziate e senza bando pubblico. Il motivo? Tecnico e inappellabile: l’unica azienda qualificata a fornire la tecnologia richiesta era, guarda caso, israeliana o sua partner.
Contratti strategici appesi a un filo
L’industria della difesa non è un mercato dove si può cambiare fornitore come si cambia supermercato. Le tecnologie sono complesse, integrate e spesso coperte da brevetti. L’embargo di Sánchez rischia di trasformarsi in un boomerang che colpirà in pieno la modernizzazione dell’esercito spagnolo.
Vediamo alcuni esempi concreti, basati sui dati della Piattaforma Statale per gli Appalti e sulle analisi del Centro Delàs:
- Sistema di lancio razzi (Silam): Un contratto da 576,4 milioni di euro è stato assegnato al consorzio tra le spagnole Escribano Mechanical & Engineering (EM&E) ed Expal. Partner tecnologico fondamentale? L’israeliana Elbit Systems. L’appalto è stato concesso senza gara perché il consorzio era ritenuto “l’unico tecnicamente qualificato”.
- Missili anticarro Spike LR2: La fornitura di 168 di questi sistemi missilistici, dal valore di 287 milioni di euro, è stata affidata a PAP Tecnos Innovación, filiale spagnola del colosso israeliano Rafael Advanced Defense Systems. Anche qui, la tecnologia è un’esclusiva israeliana, senza sostituti all’orizzonte ed è venduta più paesi europei, come la Danimarca. Un precedente contratto da 207,4 milioni era già stato assegnato a Rafael perché, nonostante due offerte, era risultata “l’unica tecnicamente qualificata”.
- Radio Tattiche (CTRS): La consegna di questo sistema cruciale, con un budget di 350 milioni solo per quest’anno (destinato a salire di altri 768 milioni), è già in ritardo a causa del blocco. Le radio sono prodotte da Telefónica e Aicox, ma il progetto e il know-how sono di Elbit Systems, senza la quale non si fa niente.
- Veicoli Corazzati VCR 8×8 “Dragon”: Persino il fiore all’occhiello del rinnovamento dell’esercito, un mega-contratto da 2,5 miliardi di euro, non è immune. I veicoli “Dragon” incorporano sistemi di blindatura avanzata dell’azienda israeliana Plasan Sasa e apparati radio E-Lynx, sempre di Elbit Systems. Comunque qui una sostituzione c’è: possono comprare i Freccia direttamente da Leonardo…
Come riassumono amaramente le fonti del settore: “Rimuovere tutta la tecnologia israeliana è praticamente impossibile e il costo, in ogni caso, è estremamente elevato”. Bisognava pensarci prima, perché dopo eliminarla è impossibile.
La scommessa del governo contro la realtà industriale
Nonostante l’evidenza dei fatti, il governo ostenta ottimismo. L’idea, un po’ keynesiana e un po’ autarchica, è che questo shock possa “consolidare e rafforzare la tecnologia nazionale”. Una prospettiva nobile, ma che si scontra con i tempi lunghi della ricerca e sviluppo e con le necessità immediate delle Forze Armate. Il piano di appalti per l’anno in corso, che prevedeva investimenti per 4,2 miliardi di euro, dovrà essere quasi certamente rivisto al rialzo per coprire i costi di questa improvvisa “disconnessione” e comunque rinviato perché i mezzi, senza la tecnologia israeliana, non saranno disponibili.
Il Ministro della Difesa, Margarita Robles, ha gettato acqua sul fuoco, assicurando che le capacità operative dell’esercito non saranno danneggiate. Ha giustificato i ritardi nell’approvazione del regolamento attuativo con la necessità di “fare le cose per bene”, data la complessità legale della materia e, per fortuna, l’esercito spagnolo non ha impegni nel breve termine. Tuttavia, l’industria attende con il fiato sospeso, consapevole che una decisione politica, per quanto legittima, rischia di creare un vuoto tecnologico ed economico difficile da colmare.
Domande e Risposte per i lettori
- Perché la Spagna è così dipendente dalla tecnologia militare israeliana?
La dipendenza spagnola, comune a molte nazioni occidentali, deriva da decenni di leadership israeliana in settori specifici come i sistemi missilistici, la guerra elettronica, i droni e le blindature composite. Le aziende israeliane, come Elbit e Rafael, sviluppano tecnologie “combat-proven”, cioè testate in scenari operativi reali, offrendo un livello di affidabilità e performance che pochi concorrenti europei possono eguagliare. Per la Spagna, acquistare questi sistemi ha rappresentato per anni una scorciatoia efficiente ed economicamente vantaggiosa per modernizzare le proprie forze armate senza dover sostenere da zero i costi enormi di ricerca e sviluppo.
- Quali sono le conseguenze pratiche di questo embargo per l’esercito spagnolo?
Le conseguenze immediate sono ritardi nei programmi di ammodernamento, un probabile aumento dei costi e potenziali vuoti di capacità. Programmi chiave come i veicoli 8×8 Dragon o i nuovi sistemi di artiglieria potrebbero subire rallentamenti in attesa di trovare (e integrare) tecnologie alternative, ammesso che esistano. A lungo termine, se non si troveranno soluzioni adeguate, le Forze Armate spagnole potrebbero trovarsi a operare con equipaggiamenti meno avanzati rispetto a quelli dei propri alleati NATO, con un impatto negativo sulla loro efficacia e interoperabilità.
- La Spagna può davvero sviluppare autonomamente le tecnologie che oggi importa da Israele?
Teoricamente sì, ma è un percorso lungo, costoso e incerto. Sviluppare da zero sistemi d’arma complessi richiede investimenti miliardari, anni di ricerca e test, e la creazione di una filiera industriale specializzata. Sebbene il governo veda l’embargo come uno stimolo per l’industria nazionale, il rischio è che nel breve-medio periodo la Spagna debba ripiegare su soluzioni tecnologiche inferiori o più costose da altri partner internazionali. L’obiettivo dell’autonomia strategica è lodevole, ma la transizione dall’attuale dipendenza sarà tutt’altro che semplice e indolore per il bilancio della difesa.

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