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Le restrizioni all’immigrazione sono una minaccia alla prosperità della Svizzera?

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[articolo qui riprodotto dopo essere stato pubblicato originariamente su La Bissa de l’Insubria]

La Svizzera e’ uno dei Paesi con maggiore libertà economica e reddito pro-capite di tutto il mondo. Secondo l’indice di libertà economica compilato dalla Heritage Foundation la Svizzera e’ un Paese completamente libero e si colloca nella quarta posizione tra 165 Paesi considerati. La Germania si trova in 18a posizione, la Francia in 70a e l’Italia in 86a. In termini di PIL pro-capite la Svizzera supera Germania, Francia e Italia ed e’ ai vertici mondiali. Pertanto la Svizzera sembra essere un modello di successo economico basato su un ordinamento economico liberale classico, caratterizzato da un elevato livello di libertà economiche e quindi funzionale a favorire la divisione del lavoro, componente essenziale al progresso economico, come insegna Adam Smith.

Un elemento che contribuisce ad offrire ulteriori possibilità di specializzazione e divisione del lavoro sono gli immigrati, che sono presenti in Svizzera in numeri più elevati della media europea, in rapporto alla popolazione. In seguito ad un referendum tenuto nel febbraio del 2014, tuttavia, gli Svizzeri hanno deciso di limitare l’immigrazione dai Paesi dell’Unione Europea, in precedenza sostanzialmente libera come conseguenza degli accordi di Schengen, sottoscritti anche dalla Svizzera. Esiste una regolamentazione che limita l’immigrazione da Stati diversi da quelli europei, che rimane invariata. E’ possibile che future limitazioni all’immigrazione in Svizzera determinate dal risultato del referendum danneggino le libertà economiche e il progresso economico elvetico? Chi pensa che il liberalismo economico sia condizione necessaria al progresso economico può ritenere di si’.

Io ritengo che un livello di immigrazione limitata sia benefico per il progresso economico ma allo stesso tempo quando l’immigrazione avviene senza limiti e diventa massiccia rispetto al ricambio naturale della popolazione residente per natalità e mortalità viene minata la coesione interna della società con conseguenze negative anche per il progresso economico. Inoltre ritengo essenziale che ogni comunità sia sovrana nel decidere democraticamente quale entità di immigrazione accogliere, come più in generale ritengo essenziale sia alla coesione civile sia al progresso economico che i cittadini decidano democraticamente sul futuro delle proprie comunità in ogni materia rilevante inclusa l’immigrazione.

La mia opinione su questo tema deriva dalla convinzione che il progresso materiale e quindi la piu’ perfezionata e sofisticata divisione del lavoro richiede non solo un’organizzazione liberale classica che garantisca le più ampie libertà economiche ma anche una comunità di individui con “capitale sociale” cioè con fiducia diffusa tra i cittadini, con onestà individuale nei rapporti economici privati come conseguenza di cultura condivisa, con associazionismo volontario, partecipazione democratica alle sorti della comunità. Perche vi sia capitale sociale è importante che la comunità sia composta in maniera prevalente di individui accomunati dalla percezione di origini e tradizioni culturali comuni e dalla dal riconoscimento di avere un destino comune e quindi rapporti privati ripetuti e stabili.

Per quanto possa apparire spiacevole, la similarità di etnia, lingua e religione facilitano l’accrescimento di capitale sociale, sebbene istituzioni politiche liberali, tolleranti, efficienti e democratiche possono promuovere capitale sociale anche in società frammentate per lingua, etnia e religione. Allo stesso tempo e’ evidente che, anche in presenza di buone istituzioni, un’immigrazione massiccia minaccia seriamente la coesione interna della comunità di accoglienza, perche diminuisce l’omogeneità di cultura e tradizioni e pertanto la fiducia nei comportamenti altrui, la percezione di uguaglianza di origine, opportunità e futuro.

Quando in Italia sento dire “gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare” ne rimango sempre urtato e sconcertato proprio perche vedo nascere e crescere una frattura nella coesione già molto precaria della società italiana. Si tratta un ragionamento apparentemente innocente e anche ancorato in certa misura alla realtà fattuale, eppure gravido secondo me di conseguenze negative: facendolo si accetta anzi si promuove una divisione della comunità residente in classi, la classe degli immigrati similmente ai paria indiani hanno l’esclusiva di alcune professioni con caratteristiche spiacevoli, e gli italiani fanno altro. Si può anche pensare che un’organizzazione del genere sia vantaggiosa sia per gli italiani che evitano alcuni lavori, sia per gli immigrati che hanno alternative ancora peggiori nel terzo mondo da cui provengono. Ma il punto e’ che si crea una società fratturata e quindi meno coesa, con minore percezione di uguaglianza, con minore fiducia nel prossimo.

Quindi secondo me per ottimizzare la divisione del lavoro ed il progresso economico e’ importante promuovere e salvaguardare il capitale sociale della comunità, anche se questo confligge con una realizzazione completa e radicale del liberalismo economico. Allo stesso tempo, non si può nemmeno assumere come principio guida quello della realizzazione di una società etnicamente compatta. Nei casi storici in cui questo e’ avvenuto sono state fatalmente ridotte le libertà individuali ed economiche a fatalmente nazionalismo e statalismo hanno prodotto istituzioni tendenzialmente totalitarie e intrusive nell’economia privata, con la giustificazione della realizzazione di una presunta volontà generale. E’ necessario quindi raggiungere un equilibrio tra liberalismo economico e condizioni favorevoli a promozione e mantenimento di capitale sociale.

Forse la Svizzera e’ proprio il miglior esempio concreto di questo equilibrio: una società orgogliosa delle proprie tradizioni, internamente ligia alla legge ivi approvata e aggiornata col massimo della democrazia, storicamente ospitale con i profughi più della media europea, e con immigrati residenti oltre la media europea, ma allo stesso tempo con immigrazione regolamentata e pronta ad aggiornare i limiti attraverso un metodo democratico.

Secondo me l’equilibrio tra liberalismo e coesione civica degli svizzeri si e’ realizzato nel processo storico in parte accidentale con cui si e’ sviluppata la loro democrazia egalitaria, la più antica d’Europa. La divisione del territorio in vallate, la frammentazione linguistica conservata probabilmente dagli stessi confini naturali, la compresenza di cattolici e cristiani riformati hanno posto le basi per una democrazia egalitaria organizzata in Cantoni con cittadini naturalmente predisposti alla tolleranza e alla coesistenza con diversità etniche, linguistiche e religiose. Questa frammentazione cantonale, linguistica e religiosa secondo me e’ stata poi essenziale nel limitare nel corso della storia l’eccesso di invasività dello Stato nell’economia, invasività che ha traviato tutti gli Stati moderni, inclusi gli Stati Uniti. Anche la storica apertura della Svizzera a profughi e immigrati secondo me si spiega con la tolleranza per le diversità interne storiche della Svizzera stessa.

Se si seguisse un principio liberale classico non ci sarebbe ragione per cui la democrazia svizzera debba essere organizzata in maniera confederale, uno Stato centralista sembrerebbe più funzionale al progresso economico e alla divisione del lavoro. Ma come osserviamo empiricamente uno Stato centralizzato (o anche come gli USA, uno Stato dove il potere federale ha preso il sopravvento) tende ad essere nocivo e i principi liberali, anche se costituzionalizzati, non costituiscono una barriera affidabile, come sottolinea l’economista premio Nobel J.M.Buchanan. Non a caso per porre limiti invalicabili all’uso distorto di un potere statale centralizzato, Buchanan propone di organizzare lo Stato in un sistema confederale con diritto di secessione anche quando lo Stato avesse popolazione omogenea culturalmente, in modo che la concorrenza istituzionale tra enti federati e il diritto di secessione pongano dei limiti all’abuso del potere coercitivo statale. Le vicissitudini storiche accidentali della Svizzera hanno realizzato un sistema federale che ha diverse delle caratteristiche proposte da Buchanan.

Concludendo, la Svizzera di oggi e’ uno Stato che combina elevato livello di libertà economiche con coesione civica e capitale sociale, questo equilibrio non viene da una realizzazione programmatica ma e’ piuttosto conseguenza storica di una democrazia egalitaria di Cantoni frammentati per confini naturali, lingua e religione. L’esercizio della democrazia diretta e’ uno degli elementi che promuove e mantiene la coesione civica svizzera, e va salvaguardato. La decisione referendaria pur con esile maggioranza di limitare l’immigrazione e’ plausibilmente utile a mantenere il livello di coesione civica della popolazione, e risulta ragionevole che vi sia un equilibrio tra questa esigenza e la garanzia delle libertà economiche, anche per favorire il progresso economico.

*Alberto Lusiani, ricercatore presso la Scuola Normale Superiore di Pisa


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