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Le Figaro: L’attuale crisi è ben peggiore di quanto lo sarebbe il crollo dell’euro

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di Jean Pierre Robin

La fine della valuta europea avrebbe un costo relativamente modesto!

Le prospettive per il 2020 elaborate dall’FMI sono molto più oscure del disastro che dovrebbe accompagnare la fine dell’euro. 659880 / Philippe Devanne

La realtà supera la finzione e mi dispiace per questo banale entrata in un periodo che è così poco propizio.
Ansiosi di comprendere una situazione straordinaria – la pandemia e le sue spaventose implicazioni per la vita economica – siamo tutti ridotti a cercare riferimenti nelle epoche più estreme.
La depressione degli anni ’30, che aveva causato una disoccupazione di massa, disumana, sicuramente molto meno in Francia che negli Stati Uniti? La seconda guerra mondiale, quando gli sforzi dell’armamento coesistevano con interi settori dell’economia lasciavano incerti?
Anche se i cinema non fossero mai stati così affollati come sotto l’occupazione tedesca a Parigi, secondo testimoni diretti…

Nessun confronto può, in effetti, dare la vera sostanza del “grande confinamento“, così battezzato dal Fondo monetario internazionale (FMI) in riferimento al mondo della “grande recessione” del 2008-2009. Dopotutto, ogni era è incomparabile e quella che sperimentiamo qui e ora più di ogni altra, poiché ci siamo dentro come nell’utero. “La vita, qualunque cosa sia, è buona“, dicono i tedeschi (“Wie es auch sei, das Leben, es ist gut“), e questo ci deve servire da viatico, oggi più che mai.

Invece di fare inutili confronti con il passato, non dovremmo piuttosto prendere in considerazione le ipotesi più da incubo elaborate non molto tempo fa? Nelle discussioni economiche, la rottura dell’euro è stata spesso presentata come un cataclisma.
Nel 2010, all’inizio della crisi del debito dell’Eurozona meridionale, che sarebbe durata cinque anni, Mark Cliffe, capo della ricerca di ING Bank, aveva immaginato uno scenario in cui il ritorno al franco sarebbe stato risolto con una caduta del 4% del PIL il primo anno in Francia e del 10% in totale su tre anni. Le cifre erano simili per altri paesi, tra cui la Germania, la cui industria avrebbe subito una brusca rivalutazione del marco, che sarebbe tornato ad essere la sua valuta nazionale.

Oggi la Francia prevede un calo dell’8% del suo PIL. Qualcosa su cui riflettere: ci abituiamo allo straordinario.

All’epoca, questo scenario di finzione sembrava preannunciare l’apocalisse: stavamo uscendo dalla recessione del 2009 quando il PIL francese era sceso del 2,9%, che era già stato sentito come un disastro. Ancora oggi, lo smantellamento dell’euro è sinonimo di una frattura devastante: oltre a innumerevoli cambiamenti logistici (rapida stampa di nuovi biglietti, modifica di tutti i codici informatici, ecc.), si entra in una spaventosa terra incognita. Perfino i populisti hanno finito per rassegnarsi all’impossibilità dell’uscita dall’euro, al punto che tra i due round presidenziali del 2017, Marine Le Pen si è riallineata all’euro per rassicurare i propri elettori! Normalmente, gli storici amano dire che la forza d’inerzia è il vero motore della storia, “la tirannia dello status quo“, come ha detto l’economista Milton Friedman.

Tuttavia, le prospettive per il 2020 tracciate dall’FMI sono molto più oscure del disastro che dovrebbe accompagnare la fine dell’euro. La Francia prevede un calo dell’8% del suo PIL. Qualcosa per cambiare lo sguardo: ci abituiamo allo straordinario.

Sensazione di stupore

All’indomani dell’attacco terroristico del World Trade Center l’11 settembre 2001, il sociologo Jean Baudrillard esclamava: “Gli eventi hanno smesso di scioperare!“. Un modo per dire che la storia usciva dal suo tran tran. Nel settembre 2008 c’è stata una simile sensazione di stupore con il fallimento della banca Lehman Brothers, seguito da un crollo della borsa globale e da un crollo del 30% nel commercio mondiale. Se in quella evenienza non ci sono state delle morti umane (l’attacco terroristico a New York aveva ucciso più di 3’000 vittime), il disastro economico del 2008-2009 era comunque uscito dallo schermo radar delle previsioni.
Tali eventi, per quanto diversi, costituiscono dei “cigni neri”, secondo il concetto dello statistico libanese-americano Nassim Nicholas Taleb. Sappiamo che tali realtà sono possibili (i cigni neri esistono in natura), ma la loro probabilità è così bassa che la memoria collettiva li ha oscurati. Negli anni ’70, quando la seconda guerra mondiale era diventata un lontano ricordo, Raymond Aron disse della classe politica francese: “Hanno dimenticato che la storia è tragica” (la formula era indirizzata in modo particolare al “giovane” presidente Valéry Giscard d’Estaing).

Lo shock recessivo del “grande confinamento” darà nuova forza alle opinioni pubbliche europee, che non avrebbero più paura ad affrontare gli sconvolgimenti insiti al crollo dell’euro?

La successione di “cigni neri” negli ultimi vent’anni ha dato alla riflessione di Aron tutta la sua rilevanza: dobbiamo essere all’altezza degli eventi. “Terremo“, ha concluso Emmanuel Macron nel suo discorso del 13 aprile, annunciando l’inizio della fine del parto.
Dobbiamo resistere, infatti, e quindi possiamo dirci collettivamente come Nietzsche: “Ciò che non mi uccide mi rende più forte“. Ricordiamo che il filosofo tedesco, contemporaneo di Pasteur, alludeva alla scoperta del vaccino contro la rabbia ed al principio della vaccinazione che stimola le capacità immunitarie.

Troveremo un vaccino Covid-19? Più in fretta si fa, meglio è. Ma sorge un’altra domanda in materia economica: lo shock recessivo del “grande confinamento” darà nuova forza alle opinioni pubbliche europee, che non avrebbero più paura ad affrontare gli sconvolgimenti insiti al crollo dell’euro, dal momento che avranno dovuto di fatto sopportare quelli più violenti del Covid-19?

Potremmo pentirci, e noi siamo i primi, ma l’argomento “l’euro o il caos” ha di fatto perso la sua freschezza. Coloro che desiderano “mutualizzare i prestiti” (coronabond) in nome della solidarietà europea formalista, che li libera dalle loro responsabilità nel proprio paese, dovrebbero pensarci due volte.
Rientrano sotto la formula del generale de Gaulle: “Certo, si può saltare sulla propria sedia come un bambino che dice: Europa! Europa! Europa!


Tratto da: Le Figaro del 20.04.2020
Traduzione a cura di Mario Grisorio


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