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LE DUE MINACCE PER IL TURBOCAPITALISMO: DISUGUAGLIANZE E CLIMA

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turbocapitalismo

Scritto da Francesco Celotto

Osservando il comportamento dell’economia dopo la crisi del 2008 non può non balzare all’occhio che siamo di fronte al periodo più prolungato di crescita economica del dopoguerra.
Dal 2009 il ciclo economico non si ferma nonostante nel frattempo siano emersi vari fronti di crisi.


Le banche centrali in questi anni hanno sparato tutte le munizioni a loro disposizione:
tassi sottozero (oggi l’euroribor viaggia da oltre 5 anni su livelli negativi e i future indicano che sarà sottozero per almeno altri 5 anni, gli Stati Uniti stanno invece ricominciando a tagliare i tassi) e soprattutto abbondante liquidità.

Turbocapitalismo, disuguaglianze e sfruttamento dell’ambiente

Ricordo che gli Stati Uniti hanno lanciato per primi nel 2009 un massiccio piano di quantitative easing (q.e.) concluso due anni fa circa e che l’Europa, nonostante il netto disaccordo della Germania, continua con il suo piano di qe sine die. Anche il Giappone ha tassi negativi, il qe è partito alcuni anni fa e non vi sono segnali di una inversione di tendenza.

Nonostante al malato siano stati somministrate dosi massicce di farmaci la economia a livello mondiale continua a crescere si ma a livelli asfittici. Questo senza poter conteggiare tuttavia gli effetti del coronavirus.
Parlavo di un lunghissimo ciclo economico di crescita ma questo è solo apparente e solo a livello macro.

Se osserviamo da vicino la crescita, usando ad esempio il coefficente di Gini, non possiamo non notare come la crescita di questi anni ha notevolmente aumentato le disuguaglianze sociali. Un 10% della popolazione si è beneficiato della crescita, dell’abbondante denaro e dei tassi sottozero ma gran parte della classe media soffre e interi strati di popolazione hanno perso potere acquisitivo. Basti pensare ad esempio a paesi come l’Italia o gli Stati Uniti .

O a paesi in via di sviluppo come l’India o la stessa Cina dove a fronte di una emergente classe imprenditoriale ampi strati della popolazione continuano a vivere in miseria o sono molto indebitati rispetto al passato.

Il ruolo dell’alta finanza

Il nuovo modello del turbocapismo ha beneficiato in primis la grande finanza (i governi hanno salvato in questi anni con denaro pubblico decine di banche in tutto il mondo, Germania in testa), un gruppo ristretto di imprenditori e imprese che hanno innovato cavalcando le nuove tecnologie (penso a giganti come Amazon, Tesla, Alibaba, Tencent, Google, Microsoft etc), managers e lavoratori altamente qualificati legati a tali gruppi e aziende monopolistiche o oligopolistiche, legate in moti casi alla politica.

Al resto del mondo tutta questa crescita ha lasciato solo le briciole. La condizione di molti lavoratori e non solo nei paesi in via di sviluppo è quella di nuovi poveri, il cui salario in termini reali è diminuito in questi ultimi 10 anni.

Le lobby che comandano il mondo temono il materializzarsi di una nuova crisi perchè molta gente semplicemente non sopporterebbe una nuova massiccia ondata di licenziamenti, di ulteriore precarizzazione del lavoro.

Purtroppo nulla è eterno e una nuova recessione arriverà, cogliendo il sistema senza munizioni dato che tutte o quasi sono state sparate.

Questo però è un falso problema . Il vero problema che le “elites” dovrebbero porsi è come redistribuire la ricchezza, come favorire il rafforzamento della classe media e come creare nuove industrie (e nuova occupazione) partendo dalle nuove improcastinabili esigenze ambientali del pianeta.

Non sono ottimista. Vedo che le supposte “elites” mancano di idee nuove e soprattutto di visione. Il denaro è l’unica risorsa non scarsa del nuovo turbocapitalismo.

Serve coraggio, una nuova idea di economia solidale. Le nuove sfide che il capitalismo è chiamato ad affrontare oggi sono una equa redistribuzione della ricchezza e la emergenza climatica.

Se non risolviamo e presto questi due enormi problemi il mondo e non solo la economia collasserà.

Francesco Celotto


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