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La spiritualità di Franco Battiato (di Francesco Perretta)

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Immenso, incomparabile genio della musica, compositore eletto, gloria della cultura italiana. Esploratore eclettico della verità, capace di trasformare la sua ricerca spirituale in ogni forma d’arte, Franco ha saputo toccare le corde delle emozioni più profonde con canzoni belle per tutti ma accessibili a pochi. Questo è in fin dei conti il segreto della musica di Battiato: usare le vibrazioni per “risvegliare” lo spirito e offrire docilmente una via di crescita verso il divino. Lieve ma intenso, l’invito che ritrovi nei verso come questo: “vieni, a prendere un tè, al Caffè della Paix”, un luogo prediletto da Gurdjieff, che a Parigi fondò l’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo. Già, “sviluppo armonico”. Le note di Franco si basavano sulla “legge dell’ottava”, cioè sul mistero dell’armonia che scaturisce dal fondersi di precise frequenze, in un’universo “che obbedisce all’amore” nel quale tutto è musica, tutto è armonia e tutto e’ vibrazione; sapienza antica, custodita dai Sufi, che la scienza conferma.

Le opere di Battiato sono atti d’amore, in cui spiritualità e il misticismo sono donati in una forma mai banale o scontata, ma sempre moderna e suggestiva.
Non fu un uomo perfetto, Franco, perché peccò di eccessiva umiltà. Questo fu il suo limite, dare troppo peso alla sua presunta ignoranza in quello che fu un’immenso slancio verso la conoscenza. Ebbene sì, Battiato si considerava un intellettuale imperfetto, non sufficientemente formato in scuole e università, e dimenticò quella frase del Vangelo nella quale Gesù parla di cose “rivelate ai piccoli” e nascoste ai “sapienti”. Per questo commise il peccato fatale, di iniziare una collaborazione con il vate della disgregazione contemporanea, Manlio Sgalambro, un filosofo-poeta nichilista senza etichette e, in fin dei conti, senza un pensiero, almeno un pensiero che osasse, come Franco aveva osato, e qui sta la sua grandezza, descrivere l’assoluto della verità.

Ci fu forse, in quella lunga parentesi, il desiderio di confronto tra opposte visioni, una specie di Yin e Yang commerciale o, meglio ancora, la profetica critica della follia e dell’involuzione contemporanea, “di generazioni senza più passato, di neo-primitivi, rozzi cibernetici…”. Parole che anticipano di vent’anni una sofisticata denuncia la società di oggi.

Quello di Battiato fu anche un impegno politico e sociale fortissimo, e non solo per le parole celeberrime e composte di “Povera Patria”. Fu Franco che osò recarsi a Baghdad nel 1992, appena terminata la Guerra del Golfo, per parlare di pace col linguaggio universale della musica, e di tolleranza citando Rumi, poeta e mistico che tutto il mondo islamico dovrebbe celebrare. Ma non mancarono parole più nette e più dure: “troie in Parlamento disposte a tutto”, frasi certamente inopportune per la casta che pensava di fare, nientemeno che di Battiato, un altisonante-allineato-burocrate-assessore alla cultura… Pretese da ingenui presuntuosi mestieranti della politica.

Il Franco Battiato era di un altro livello. Franco, spirito libero e incondizionabile, se non dal bello e dal Vero, era un uomo attratto dalla Luce, come dovremmo essere tutti. L’ho conosciuto, ma troppo poco, comunque abbastanza per poter, spero, condensare in un suo stesso verso la sua essenza: “Cosa avrei visto del mondo, senza questa Luce, che illumina… i miei pensieri neri”. La Luce, sfolgorante e discreta nelle opere più meditative, quelle pittoriche, nelle quali Süphan Barzani, così si firmava forse per separare la parte più intima rispetto alle espressioni “pop” delle sue creazioni musicali, combina in chiave moderna l’arte iconica del misticismo Cristiano occidentale e orientale con le miniature islamiche e persiane, in una sintesi originalissima dove predomina l’oro, cioè il senso del sacro che avvolge l’uomo nel suo tendere a Dio.

La Luce, la sua ombra, le lotte con “le forze contrarie” nel “sonno” della non-coscienza, e quella preghiera, quella supplica al Dio dell’Universo, cantata nel brano “L’ombra della luce”: forse è questo il suo testamento, forse è questo il brano che più si addice a rappresentare Franco nel giorno del suo addio:
“Non mi abbandonare mai
Riportami nelle zone più alte
In uno dei tuoi regni di quiete”
“Non mi abbandonare mai
Perché le gioie del più profondo affetto
O dei più lievi aneliti del cuore
Sono solo l’ombra della Luce”


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