Economia
La rivolta contro l’AI: le città dicono “NO” ai Data Center. Il caso dell’Arizona e i 64 miliardi bloccati
Rivolta contro l’AI: le città USA bloccano 64 miliardi di Data Center Sottotitolo: Da Chandler all’intero territorio USA, cresce il fronte NIMBY contro le Big Tech. Timori per bollette e ambiente fermano i colossi dell’Intelligenza Artificiale.

Il progresso tecnologico corre veloce, ma a volte sbatte contro un muro molto fisico e decisamente poco virtuale: la volontà dei cittadini. Si sta sviluppando un vero e proprio movimento NIMBY (Not In My Back Yard, non nel mio cortile) focalizzato sulle infrastrutture digitali. L’ultimo clamoroso episodio arriva da Chandler, in Arizona, dove l’entusiasmo per l’Intelligenza Artificiale si è scontrato con la dura realtà della politica locale, segnando un punto a favore dei residenti e uno zero per le Big Tech.
Il rifiuto unanime di Chandler
Giovedì scorso, il consiglio comunale di Chandler ha votato all’unanimità contro la costruzione di un nuovo imponente data center destinato all’AI. L’esito della votazione è stato accolto da applausi e ovazioni da parte dei cittadini presenti, molti dei quali muniti di cartelli inequivocabili: “NO MORE DATACENTERS”.
Non è bastato il peso politico di Kyrsten Sinema, ex senatrice ed ex democratica (ora indipendente), scesa in campo per fare lobbying a favore del progetto. La Sinema, che rappresentava lo sviluppatore Active Infrastructure in qualità di co-presidente della AI Infrastructure Coalition, ha tentato la carta della geopolitica e della paura. Durante una riunione della Commissione Pianificazione a ottobre, aveva avvertito:
“Chandler ora ha l’opportunità di decidere come e quando costruire questi data center innovativi. Quando arriverà la prevaricazione federale, non avremo più questo privilegio”.
La Sinema ha persino alzato la posta, sostenendo che se l’America dovesse restare indietro nella corsa tecnologica, gli avversari (leggi: Cina) programmeranno l’AI con i loro valori. Un argomento suggestivo, ma che evidentemente non ha convinto i cittadini preoccupati per le loro bollette e la qualità dell’aria, più che per gli algoritmi di Pechino.
Perché le comunità dicono di no?
Non si tratta di luddismo irrazionale. Le preoccupazioni dei cittadini di Chandler, così come quelle emerse in casi simili a Caledonia (dove Microsoft si è vista costretta a ritirarsi) o Mount Pleasant, sono concrete ed economiche. Nonostante la Commissione di pianificazione avesse inizialmente raccomandato l’approvazione (con un voto di 5-1), il consiglio comunale ha ribaltato il tavolo.
Ecco i punti critici sollevati dai residenti e dagli analisti:
- Consumo energetico e bollette: I data center sono idrovore di energia. I residenti temono che l’aumento della domanda locale possa far lievitare le tariffe elettriche per le famiglie.
- Impatto ambientale: Si teme un peggioramento della qualità dell’aria (già compromessa in alcune zone) e l’inquinamento acustico generato dai sistemi di raffreddamento attivi 24/7.
- Occupazione illusoria: A fronte di investimenti miliardari, i posti di lavoro creati localmente sono spesso pochi. Come ha chiesto provocatoriamente il residente Mike Kirchner: “Perché dobbiamo sovvenzionare un’azienda che guadagna miliardi di dollari all’anno?”.
Un fenomeno nazionale da 64 miliardi di dollari
Il caso dell’Arizona non è isolato. Un recente rapporto evidenzia che progetti di data center per un valore complessivo di 64 miliardi di dollari sono stati bloccati o ritardati negli Stati Uniti a causa di un’opposizione locale crescente e bipartisan. Quella che un tempo era un’infrastruttura silenziosa e invisibile, oggi è diventata un punto critico nazionale.
Di seguito una sintesi delle dinamiche in gioco:
| Fattore | La narrazione delle Big Tech | La preoccupazione locale |
| Economia | Grandi investimenti e innovazione | Pochi posti di lavoro, profitti altrove |
| Energia | Necessaria per la supremazia tecnologica | Rischio blackout e aumento bollette |
| Ambiente | Tecnologie “Green” e moderne | Rumore, consumo d’acqua e smog |
| Politica | Sicurezza Nazionale (vs Cina) | Qualità della vita e sovranità locale |
Sebbene sia semplicistico attribuire tutti i ritardi alla sola opposizione dei cittadini (pesano anche le normative e la disponibilità effettiva di rete elettrica), è innegabile che il vento stia cambiando. Le comunità non sono più disposte ad accettare passivamente le esternalità negative del boom dell’AI, mentre i profitti finiscono nelle casse di Microsoft o Google.
Siamo di fronte a un classico paradosso economico: la domanda globale di capacità di calcolo è infinita, ma lo spazio fisico e le risorse locali sono limitate. E per ora, a Chandler, hanno vinto i cittadini.
Domande e risposte
Quali sono le principali motivazioni economiche dietro il rifiuto dei data center?
I residenti temono principalmente le esternalità negative. Un data center consuma enormi quantità di elettricità e acqua, il che può portare a un aumento delle tariffe delle utenze per le famiglie locali.4 Inoltre, a differenza di una fabbrica manifatturiera, un data center, una volta costruito, impiega pochissimo personale. Quindi, la comunità subisce i disagi (rumore, inquinamento, consumo di suolo) mentre i profitti economici vanno alla multinazionale tecnologica e non ricadono sul territorio sotto forma di stipendi diffusi.
Il blocco di questi progetti minaccia davvero lo sviluppo dell’AI negli USA?
Non necessariamente lo ferma, ma lo rallenta e lo rende più costoso. Il dato dei 64 miliardi di dollari di progetti bloccati indica che le Big Tech dovranno cambiare strategia. Probabilmente cercheranno aree ancora più remote o deindustrializzate, dove la disperazione economica rende le amministrazioni più permissive, oppure dovranno investire pesantemente in infrastrutture energetiche autonome (come il nucleare o rinnovabili dedicate) per non gravare sulla rete pubblica e placare le ire dei cittadini.
Che ruolo ha avuto la politica nazionale in questa vicenda locale?
Un ruolo di pressione, ma inefficace. L’intervento di figure come l’ex senatrice Kyrsten Sinema, che ha agitato lo spettro della competizione con la Cina e la minaccia di un intervento federale (“preemption”), è stato percepito come distante dalle esigenze reali. I cittadini hanno votato guardando al proprio quartiere, non alla geopolitica. Questo dimostra una frattura tra l’agenda strategica di Washington (e della Silicon Valley) e la realtà quotidiana delle amministrazioni locali che gestiscono il territorio.








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