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LA RIFORMA DEL FALLIMENTO E’ L’ANTISTELLA DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE. di Lisa Taddei

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La riforma della crisi d’impresa, approvata con il d. lgs. n .14 del 12.1.2019 è il risultato di un lungo iter normativo avviato dai precedenti governi, istituendo nel 2015 la commissione Rordorf e successivamente con la legge delega n. 155/2017.

Dal 2005 si sono succedute numerose riforme della legge sul fallimento e tutte sono sempre state presentate come “la riforma organica”.

Tuttavia l’ultima riforma apporta dei cambiamenti importanti: innanzitutto si rileva un mutamento lessicale: viene sostituita la parola fallimento con il sintagma “liquidazione giudiziale” con l’arduo intento di enfatizzare la liquidazione dell’impresa e non decretarne la morte.

La prima parte della riforma è entrata in vigore 16 marzo 2019 e ha imposto l’obbligo per le società di munirsi di un organo di controllo o un revisore – eccetto il caso nel quale la società sia tenuta alla redazione del consolidato o controlli una società obbligata alla revisione legale – qualora per due esercizi consecutivi superino almeno uno dei seguenti limiti: totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 2 milioni di euro, ricavi delle vendite e delle prestazioni: 2 milioni di euro, dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 10 unità.

Tuttavia, l’attuale governo con il decreto “sblocca cantieri” ha rivisto gli stringenti limiti prevedendo il raddoppio dei parametri inseriti: i nuovi valori sono 4 milioni di attivo, 4 milioni di ricavi e 20 dipendenti, rimanendo invariato il superamento per due esercizi consecutivi di almeno anche solo uno dei limiti.

In tal modo: si aggiungono nuovi costi e nuova burocrazia anche per le piccole imprese: le spese notarili per l’inserimento dell’organo di controllo nello statuto e il pagamento ogni anno degli organi di controllo.

La seconda parte della riforma, che entrerà in vigore il 15.8.2020, imporrà da parte dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate l’obbligo di segnalare all’imprenditore la sua posizione debitoria (art. 15, comma 2, CCI).

Entro 90 giorni se l’imprenditore non avrà estinto la propria posizione debitoria sarà segnalato dai suddetti enti all’organismo di composizione della crisi d’impresa (OCRI) istituito presso la camera di commercio e dovrà sottoporsi alla loro procedura.

Dal canto loro le banche, nel momento in cui verranno a conoscenza che l’impresa è sottoposta a procedura presso l’Ocri, l’eventuale posizione debitoria verrà qualificata come NPL (non performing loans) con tutte le conseguenze che ne derivano, in primis l’impossibilità di accedere a nuovi finanziamenti.

Gli studi pubblicati sul sito Be Beez di Milano Finanza dimostrano che sulla base di un campione di bilanci delle piccole e medie imprese dell’esercizio 2017, ben poche sarebbero esonerate dalla procedura presso l’organismo di composizione della crisi d’impresa: in Emilia Romagna soltanto 40 pmi su un campione di 4.871, in Lombardia 146 su 13.357, in Campania 44 su 3.300 ed infine in Veneto 82 su 6.176.

La vicenda degli indici è alquanto curiosa: dal 1942 ad oggi nessuno tra gli studiosi della disciplina concorsuale aveva avvertito l’esigenza di introdurli, tanto più che sono stati introdotti nel codice italiano ancor prima della nuova direttiva europea.

La portata della riforma è davvero importante, non ha avuto la giusta attenzione dai mass media, ma in fondo, come scriveva Pasquale Panella, tutto succede quando tutto riposa.


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