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La Peste di Giustiniano: finalmente abbiamo la prova regina. E ci insegna qualcosa sul presente
Una scoperta genetica in un’antica fossa comune svela finalmente il vero colpevole della prima grande pandemia della storia, con lezioni sorprendenti per il nostro presente.

L’Impero Romano d’Oriente, sotto l’ambizioso imperatore Giustiniano, sognava di riunificare ciò che restava del glorioso passato di Roma. Era il VI secolo d.C., un’epoca di grandi opere architettoniche come la Basilica di Santa Sofia e di tentativi di riconquista militare, di cui pagava il prezzo l’Italia con la feroce guerra gotico bizantina.
Ma un nemico invisibile e spietato stava per mandare in frantumi quei sogni: un’epidemia devastante, passata alla storia come la “Peste di Giustiniano“. Per secoli, questo flagello che uccise decine di milioni di persone, ridisegnando la demografia e l’economia del mondo mediterraneo, è stato oggetto di dibattito accademico. Era davvero la peste bubbonica? O qualcos’altro?
Dopo 1500 anni, il mistero è stato finalmente risolto. E la risposta, come spesso accade, era nascosta nel DNA dei morti.
La scoperta: il colpevole ha un nome e un cognome
Un team internazionale di ricercatori, guidato dalle università della South Florida (USF) e della Florida Atlantic (FAU), ha fornito la prova definitiva, la classica “pistola fumante”. Analizzando i resti umani provenienti da una fossa comune nell’antica città di Jerash, in Giordania – nel cuore dell’allora Impero Bizantino – gli scienziati hanno isolato il materiale genetico del colpevole. Il suo nome è tristemente noto: Yersinia pestis, lo stesso batterio responsabile della Peste Nera che avrebbe terrorizzato l’Europa secoli dopo. Il paper scientifico che spiega quanto successo è stato pubblicato sulla rivista Genes.
La scoperta, pubblicata in due studi separati, non è solo una nota a piè di pagina per gli storici. Ci offre una finestra senza precedenti sulla prima pandemia documentata della storia e, per certi versi, uno specchio per comprendere quelle attuali.
I ricercatori hanno estratto il DNA da otto denti umani rinvenuti in camere di sepoltura sotto quello che un tempo era l’ippodromo romano di Jerash. Una struttura nata per l’intrattenimento e la celebrazione civica, trasformata in un cimitero di massa tra il 550 e il 660 d.C. Un’immagine potente che ci racconta del collasso sociale e logistico di fronte a un’emergenza sanitaria che superava ogni capacità di risposta.
Cosa ci dice il DNA di 1500 anni fa
L’analisi genomica ha rivelato dettagli cruciali che le cronache dell’epoca potevano solo suggerire:
- La conferma definitiva: È la prima volta che viene trovata una prova biologica diretta della presenza di Y. pestis nell’epicentro della pandemia giustinianea. Finora, le uniche tracce genetiche erano state rinvenute in piccoli siti in Europa occidentale, a migliaia di chilometri di distanza.
- Un’epidemia esplosiva: I ceppi del batterio trovati nelle vittime di Jerash erano quasi identici. Questo suggerisce un’unica, rapidissima ondata di contagio che si è diffusa come un incendio, coerentemente con i racconti storici che parlavano di una mortalità improvvisa e di massa.
- Una minaccia ricorrente, ma diversa dal COVID-19: Qui la faccenda si fa interessante. Analizzando centinaia di genomi di Yersinia pestis, antichi e moderni, i ricercatori hanno scoperto che le grandi pandemie di peste (quella di Giustiniano, la Peste Nera del XIV secolo e le ondate successive) non discendono da un unico ceppo ancestrale. Sono emerse in modo indipendente, più volte, da serbatoi animali di lunga data.
Questo schema è radicalmente diverso da quello del SARS-CoV-2, che ha avuto origine da un singolo evento di “spillover” (salto di specie) per poi evolversi principalmente attraverso la trasmissione da uomo a uomo. La peste, invece, è una vecchia e spiacevole conoscenza dell’umanità che ha bussato alla nostra porta in diverse forme e in diverse epoche, provenendo da riserve naturali persistenti.
Sarebbe interessante comprendere quale effetto ebbe il periodo dif reddo straordinario fra il 535 e il 536, l’abbssamento di temperatura più intenso degli ultimi due millenni, dato che fenomeni simili si ripeterono nel 1345-46 e nel XVII secolo.
Lezioni per un mondo post-pandemico
La scoperta di Jerash ci ricorda alcune verità scomode. In primo luogo, che le pandemie non sono eventi storici unici, ma fenomeni biologici ricorrenti, intimamente legati alla nostra civiltà: alla densità delle città, alla velocità dei commerci e alle nostre interazioni con l’ambiente.
In secondo luogo, ci dimostra che alcuni patogeni non possono essere eradicati del tutto. Nonostante i nostri progressi, la peste esiste ancora. Casi, seppur rari, si verificano ancora oggi, come quello mortale registrato in Arizona nel luglio scorso. Come afferma il dott. Rays H. Y. Jiang, a capo degli studi: “Lottiamo con la peste da qualche migliaio di anni e la gente continua a morirne. Come il COVID, continua a evolversi e le misure di contenimento evidentemente non possono eliminarla del tutto”. Per fortuna, per la peste, ora abbiamo cure specifiche.
Mentre il mondo si affanna a dimenticare l’ultima pandemia, la scienza ci riporta con i piedi per terra, studiando la prima. I ricercatori ora guardano a Venezia e al Lazzaretto Vecchio, un’isola di quarantena dove sono sepolte migliaia di vittime della Peste Nera. Lì sperano di capire ancora meglio come le prime misure di sanità pubblica abbiano interagito con l’evoluzione di un killer millenario. Una storia che, a quanto pare, non abbiamo ancora finito di ascoltare.

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