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La Norvegia aumenta l’estrazione di gas di petrolio, i gretini piangono…
All’inizio del mese, il ministero dell’Energia norvegese ha dichiarato che il Paese avrebbe intensificato l’esplorazione di petrolio e gas nella piattaforma continentale norvegese per migliorare la propria sicurezza energetica e quella dei suoi amici e vicini in Europa.
Tradizionalmente uno dei maggiori fornitori di gas naturale in Europa, l’anno scorso la Norvegia è diventata il principale fornitore singolo, in quanto i flussi di gas russo si sono praticamente interrotti. E sembra che la Norvegia voglia rimanere in questa posizione.
“L’avventura petrolifera nel nord è appena iniziata”, ha dichiarato all’inizio di maggio il ministro del Petrolio e dell’Energia Terje Aasland, invitando le compagnie petrolifere e del gas norvegesi ad adempiere alla loro “responsabilità sociale” di garantire la sicurezza energetica del Paese e a “non lasciare nulla di intentato” per incrementare la produzione di gas ed ingrassare il famoso fondo sovrano norvegese che assicura il benessere alla popolazione.
Dire che gli attivisti per il clima non l’hanno presa bene è dire poco, e molti seguaci di Greta Thunberg hanno iniziato a protestare e a pestare i piedi.
La Norvegia è nota per la sua rete pulita – grazie alle abbondanti risorse idroelettriche di cui gli attivisti per il clima non amano molto parlare – e per il suo possesso pro-capite di veicoli elettrici, che è il più alto al mondo: un’impresa resa possibile dalla combinazione di una popolazione ridotta e di un elevato tenore di vita, non da ultimo grazie ai profitti del petrolio.
A proposito di profiti petroliferi, l’anno scorso il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo, si è posto l’obiettivo di rendere il proprio portafoglio a zero emissioni entro il 2050. Il fondo sta già procedendo al disinvestimento da alcune partecipazioni in combustibili fossili, con grande risonanza mediatica e con il tifo degli attivisti, ma, nel frattempo, viene alimentato dai profitti per la vendita di gas e petrolio.
Ora, improvvisamente, per l’industria energetica norvegese è socialmente responsabile incrementare la produzione di quegli stessi combustibili da cui il fondo sovrano ha disinvestito, anche se con poca attenzione. Gli attivisti hanno tutto il diritto di essere indignati, e questo è esattamente ciò che fanno.
“Le trivellazioni petrolifere nell’Artico sono come gettare benzina sul fuoco“, ha dichiarato alla CNBC il responsabile di Greenpeace Norvegia.
“Sia la Norvegia che le compagnie petrolifere devono smettere di sfruttare cinicamente la guerra della Russia in Ucraina“, ha dichiarato Frode Pleym. “L’aggressiva e avida politica petrolifera della Norvegia non solo consolida la posizione di Oslo come primo fornitore di energia per l’Europa, ma blocca un intero continente in una futura dipendenza dai combustibili fossili. L’alternativa al petrolio e al gas non è più petrolio e gas, ma più efficienza energetica ed energie rinnovabili“.
Questi commenti si inseriscono in una linea di critica da parte della lobby degli attivisti per il clima contro le politiche europee per affrontare la crisi energetica dello scorso anno, che hanno effettivamente stimolato un maggiore utilizzo di petrolio e gas, anche attraverso sussidi diretti alla pompa.
Si tratta di una critica difficile da respingere: accollandosi parte dell’aumento del costo dei carburanti, i governi europei hanno di fatto stimolato un consumo di petrolio maggiore di quello che sarebbe stato altrimenti accessibile per la maggior parte delle persone. Naturalmente, scoraggiare l’uso del petrolio rifiutando di coprire l’aumento dei costi avrebbe alimentato un tasso di inflazione molto più alto, ma questo non è in cima all’agenda del cambiamento climatico.
Gli attivisti sono comprensibilmente arrabbiati con il governo norvegese, ma la sua attenzione alla sicurezza energetica è altrettanto comprensibile. Il mondo intero ha visto cosa succede quando la sicurezza energetica viene compromessa. Nessuno vorrebbe che ciò si ripetesse. E la Norvegia ha le risorse e le competenze per portarle sul mercato.
Secondo gli attivisti per il clima citati dalla CNBC, questo è “un dito medio all’Accordo di Parigi”. Forse lo è, ma se l’anno di crisi dell’Europa ci ha mostrato una cosa, è che quando è in gioco la sicurezza energetica, l’Accordo di Parigi passa in secondo piano. Anche perché senza sicurezza energetica, senza un sistema che sia in grado di garantire un prezzo accessibile all’energia, non c’è supporto popolare e si rischia di veder tutto il castello dell’apparente democrazia occidentale cadere come se fatto di carte da gioco.
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