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Cultura

La Mummificazione? Non l’hanno inventata gli antichi Egizi. La Storia va riveduta di 7000 anni

Una scoperta riscrive la storia: la mummificazione non è nata in Egitto, ma 14.000 anni fa in Asia, dove antichi cacciatori-raccoglitori usavano una sofisticata tecnica di affumicatura per preservare i loro defunti.

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Dimenticate le piramidi, i sarcofagi dorati e i complessi rituali degli imbalsamatori del Nilo. O meglio, metteteli da parte per un momento. L’idea che la mummificazione sia una pratica nata e perfezionata lungo le rive del Nilo è una di quelle certezze scolastiche dure a morire. Eppure, una nuova ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) sta per mandare in soffitta questa convinzione, spostando le lancette della storia indietro di circa 7.000 anni.

Un team internazionale di ricercatori ha infatti identificato quella che sembra essere la più antica prova di mummificazione umana intenzionale, risalente a un periodo compreso tra 12.000 e 4.000 anni fa, con alcuni resti che potrebbero addirittura toccare i 14.000 anni. E non siamo in Egitto, ma tra i gruppi di cacciatori-raccoglitori della Cina meridionale e del Sud-est asiatico. Una vera e propria rivoluzione nella nostra comprensione delle pratiche funerarie preistoriche.

Scheletri seppelliti dopo presunta affumicazione. Si noti le giunture non disarticolate PNAS

L’ingegno preistorico: la mummificazione ad affumicatura

Ma come facevano queste popolazioni, tecnicamente “primitive”, a conservare i corpi? La loro tecnica non prevedeva bende o estrazione di organi, ma un metodo tanto ingegnoso quanto paziente: l’affumicatura a bassa temperatura. I corpi venivano essiccati lentamente, per settimane o forse mesi, su un fuoco molto basso. Un processo che li disidratava, preservandoli dalla decomposizione in un clima tropicale e umido, notoriamente ostile alla conservazione.

I ricercatori sono giunti a questa conclusione analizzando decine di sepolture pre-neolitiche. Le prove a sostegno di questa tesi sono solide e provengono da più fronti:

  • La posizione dei corpi: Gli scheletri sono stati ritrovati intatti e in posizioni “iper-flesse”, accovacciati o rannicchiati. Se un cadavere fresco fosse stato sepolto così, la decomposizione avrebbe causato la disarticolazione delle ossa. Il fatto che siano interi suggerisce che il corpo fosse già rigido e “stabilizzato” prima della sepoltura.
  • Le analisi chimiche: Attraverso tecniche come la diffrazione a raggi X e la spettroscopia infrarossa, gli scienziati hanno rilevato sulle ossa alterazioni molecolari compatibili con un’esposizione prolungata a un calore di bassa intensità. Non una cremazione, quindi, ma proprio un lento “cuocere” tipico dell’affumicatura.
  • Confronti etnografici: Questa pratica non è solo un’ipotesi da laboratorio. Esistono paralleli moderni, come tra il popolo Dani della Nuova Guinea, che storicamente ha utilizzato l’affumicatura per preservare i corpi degli antenati come parte dei loro riti mortuari.

Dove sono state le presune mummie affumicate PNAS

Un balzo indietro nella storia della civiltà

Se queste conclusioni saranno confermate, le implicazioni sono enormi. Fino ad oggi, le mummie più antiche conosciute erano quelle della cultura Chinchorro, nel nord del Cile (circa 7.000 anni fa), e quelle egizie (circa 4.500 anni fa). Questa scoperta non solo anticipa di millenni la datazione, ma dimostra anche che complessi rituali per la cura dei defunti – che implicano un pensiero astratto, legami sociali profondi e notevoli conoscenze tecniche – erano già presenti tra i cacciatori-raccoglitori.

Come ha dichiarato Peter Bellwood, co-autore dello studio, potremmo essere di fronte ai discendenti dei primi esseri umani moderni nel Sud-est asiatico, le cui tradizioni potrebbero essere alla base delle culture che in seguito popolarono l’Oceania.

Naturalmente, come in ogni campo della scienza, non manca una dose di sana cautela. Alcuni esperti esterni, come Rita Peyroteo Stjerna, hanno sottolineato che i metodi di datazione potrebbero essere resi più robusti e che non è ancora chiaro se la pratica fosse diffusa uniformemente in tutti i siti esaminati.

Tuttavia, il quadro che emerge è affascinante: quello di società preistoriche molto più sofisticate di quanto la narrazione comune ci abbia abituato a pensare, capaci di sviluppare tecnologie funerarie complesse per mantenere un legame tangibile e duraturo con i propri antenati. Un altro pezzo del puzzle della nostra storia che ci costringe a guardare al passato con occhi diversi.

 

Domande & Risposte

1) Qual è l’importanza fondamentale di questa scoperta?

L’importanza è duplice. In primo luogo, riscrive la cronologia delle pratiche funerarie complesse, anticipando la mummificazione intenzionale di circa 7.000 anni rispetto alle culture Chinchorro ed egizia, considerate finora le pioniere. In secondo luogo, sfata il mito dei cacciatori-raccoglitori come popolazioni “semplici”, dimostrando che possedevano conoscenze tecniche avanzate e una profonda vita spirituale e sociale. La capacità di sviluppare un processo lungo e laborioso come l’affumicatura dei defunti indica un forte senso di comunità e un complesso sistema di credenze legato al culto degli antenati.

2) In che modo questa scoperta cambia la nostra percezione delle società preistoriche?

Questa ricerca ci costringe ad abbandonare l’idea di una progressione lineare e quasi “gerarchica” della civiltà, dove le pratiche complesse appartengono solo alle società agricole stanziali come quella egizia. Dimostra che l’innovazione tecnica e la complessità rituale non sono prerogativa di un singolo modello di sviluppo sociale. I cacciatori-raccoglitori del Sud-est asiatico avevano sviluppato soluzioni uniche e sofisticate, adattate al loro ambiente (il clima tropicale) e alle loro esigenze spirituali, mostrando una capacità di pensiero astratto e di organizzazione sociale molto più avanzata di quanto si pensasse.

3) Quali potrebbero essere le ricadute future di questa ricerca?

Le ricadute sono principalmente nel campo dell’archeologia e dell’antropologia. Questa scoperta aprirà sicuramente la strada a nuove analisi su resti umani preistorici in altre parti del mondo, cercando tracce di pratiche di conservazione simili che potrebbero essere state trascurate. Potrebbe inoltre stimolare studi comparativi tra le tradizioni funerarie del Sud-est asiatico e quelle delle prime popolazioni dell’Oceania, per tracciare le rotte migratorie e la diffusione di idee e tecnologie. Infine, obbligherà a riconsiderare i modelli interpretativi sulla nascita dei rituali e della religione nelle società umane.

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