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La legge di bilancio tra realtà e illusioni: cosa può davvero fare lo Stato membro della UE (di Antonio Maria Rinaldi)
Destra o sinistra, i margini sono minimi: l’analisi di Rinaldi su cosa può fare davvero lo Stato e perché guardare alla Francia è un monito per l’Italia.

Ogni anno, con regolarità quasi rituale, la presentazione della legge di bilancio riaccende un dibattito pubblico carico di aspettative, rivendicazioni e, non di rado, profonde incomprensioni. Si pretende che la finanziaria diventi lo strumento attraverso cui risolvere problemi strutturali sedimentati da decenni: dalla sanità alle pensioni, dalla competitività industriale al sostegno delle fasce sociali più fragili. È una dinamica comprensibile sul piano politico e sociale, ma profondamente fuorviante sul piano economico e istituzionale.
La legge di bilancio non nasce per produrre “svolte” strutturali né per rispondere a tutte le istanze della società. La sua funzione primaria è un’altra: garantire l’equilibrio dei conti pubblici nel quadro dei vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea. È uno strumento di disciplina finanziaria, non un manifesto programmatico. Pretendere che svolga entrambe le funzioni significa attribuirle un ruolo che non può realisticamente sostenere.
I trattati europei e le regole di governance economica – dal Patto di stabilità alle più recenti riforme della sorveglianza fiscale – fissano parametri stringenti, primo fra tutti il limite del 3% nel rapporto tra deficit e PIL. Rientrare entro questa soglia non è un dettaglio tecnico, ma un passaggio decisivo per la credibilità di un Paese. Il rispetto di tale parametro consente, tra l’altro, l’uscita dalle procedure di infrazione e contribuisce a rafforzare la fiducia dei mercati finanziari, condizione essenziale per mantenere sostenibili i costi del debito pubblico.
L’esperienza recente dimostra quanto questi aspetti siano concreti e tutt’altro che astratti. Basti osservare quanto sta accadendo ad altri Paesi dell’area euro, come la Francia, che da anni fatica a ricondurre il disavanzo entro i limiti concordati e che proprio per questo ha subito un deterioramento della percezione di affidabilità sui mercati, con ripercussioni sul rendimento dei propri titoli di Stato. È la dimostrazione che le regole europee, pur discutibili sotto molti profili, producono effetti reali e immediati.
In questo contesto, la legge di bilancio assume una funzione essenziale ma circoscritta: garantire la tenuta dei conti e preservare la reputazione finanziaria del Paese. Non è lo strumento con cui si riformano sanità, pensioni o politiche industriali; quelle sono scelte che richiedono interventi strutturali, continuità nel tempo e un orizzonte che va ben oltre l’arco annuale di una manovra. Confondere i piani significa alimentare aspettative destinate a essere deluse.
È importante sottolineare che questo quadro non dipende dal colore politico del governo in carica. Che si tratti di esecutivi di centrodestra, di centrosinistra o di larghe intese, i margini di manovra restano sostanzialmente gli stessi. Le regole sono uguali per tutti, e la discrezionalità nazionale è inevitabilmente limitata dal contesto europeo e dai mercati finanziari. Cambiano le priorità politiche, non i vincoli di fondo.
Per questo, continuare a giudicare una legge di bilancio come se fosse il luogo deputato a risolvere ogni problema del Paese significa alimentare una narrazione fuorviante. La vera sfida non è chiedere alla finanziaria ciò che non può dare, ma costruire nel tempo riforme credibili e sostenibili, capaci di agire sulle cause strutturali delle debolezze italiane. Solo partendo da questa consapevolezza è possibile riportare il dibattito pubblico su un terreno di realismo, responsabilità e maturità istituzionale.
Domande e risposte
Perché non possiamo semplicemente ignorare il vincolo del 3% come hanno fatto altri in passato? Ignorare i vincoli oggi è molto più costoso che in passato. I mercati finanziari sono estremamente reattivi e puniscono rapidamente i Paesi percepiti come inaffidabili aumentando i tassi di interesse sul debito (lo spread). Inoltre, le nuove regole di governance europea sono più stringenti e le procedure di infrazione portano a sanzioni e a una perdita di sovranità economica che ridurrebbe ulteriormente i margini di manovra futuri.
Se i vincoli sono così stretti, votare per partiti diversi è inutile? Non è inutile, ma bisogna ridimensionare le aspettative su cosa un governo possa fare in una singola legge di bilancio. Le differenze politiche si vedono nella scelta delle priorità all’interno del perimetro dato: ad esempio, scegliere se tagliare le tasse sul lavoro o finanziare sussidi specifici. Tuttavia, la “cornice” macroeconomica rimane dettata dai trattati europei e dalla sostenibilità del debito, indipendentemente dal colore del governo.
Cosa serve allora per risolvere i problemi strutturali come la sanità o le pensioni? Serve smettere di pensare che tutto si risolva nella manovra di fine anno. I problemi strutturali richiedono piani pluriennali, investimenti mirati (spesso legati a fondi come il PNRR o fondi di coesione) e riforme amministrative che migliorino l’efficienza della spesa esistente. La legge di bilancio serve a tenere i conti in ordine; la crescita e i servizi si costruiscono con politiche industriali e sociali di lungo respiro, non con i bonus annuali.







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