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La fortuna irlandese di Microsoft: 81% degli utili esteri finisce a Dublino
Microsoft, la “fortuna” è in Irlanda: perché l’81% dei profitti esteri del colosso tech finisce a Dublino, lasciando agli USA solo le briciole? L’analisi di una strategia fiscale legale che svuota le casse americane.

Si dice spesso “la fortuna degli irlandesi”, ma nel mondo della finanza globale, la fortuna c’entra poco. È una questione di ingegneria fiscale, e in questo gioco Microsoft sembra aver trovato la sua “pentola d’oro” proprio a Dublino. Un’analisi dei recenti documenti fiscali del colosso di Redmond, evidenziata dall’economista Brad Setser (Council on Foreign Relations), svela un’architettura finanziaria tanto legale quanto sbalorditiva. Come emerge dai documenti ufficiali irlandesi, l’hub operativo regionale di Microsoft in Irlanda è il fulcro della sua strategia fiscale globale.
Il dato chiave è questo: negli anni fiscali 2023, 2024 e 2025, Microsoft Irlanda ha generato l’81% di tutti i profitti esteri della società prima delle imposte.
The luck of the Irish. In its fiscal 2025, Microsoft generated $54.4b in foreign profits — with ~ $40b in Ireland alone
"In fiscal years 2025 … our foreign regional operating center in Ireland generated … 81% of our foreign income before tax"
— Brad Setser (@Brad_Setser) October 31, 2025
I numeri di una strategia (perfettamente legale)
Analizzando i dati forniti e le osservazioni di Setser, il quadro diventa chiaro. Non si tratta di evasione, almeno dal punto di vista puramente legale, ma di “ottimizzazione” spinta ai massimi livelli, sfruttando le aliquote fiscali più basse offerte dall’Irlanda.
Ecco i fatti principali dell’anno fiscale 2025:
- Profitti esteri totali (ante imposte): 54,4 miliardi di dollari.
- Quota generata in Irlanda (81%): Circa 44,1 miliardi di dollari.
- Tassazione USA (federale): Accantonati 7,8 miliardi di dollari, sul 19% degli utili.
- Tassazione Estera: Accantonati 11,7 miliardi di dollari, sul 81% degli utili.
L’aliquota fiscale effettiva totale di Microsoft si attesta intorno al 18%, un dato che Setser definisce “ragionevole” se confrontato con l’aliquota statutaria statunitense del 21%. Ma il diavolo, come sempre, è nei dettagli.
Il punto cruciale non è quanto paga Microsoft in totale, ma dove lo paga. La sproporzione è evidente: a fronte di 69,2 miliardi di dollari di profitti generati negli Stati Uniti, l’azienda accantona 7,8 miliardi per il fisco federale. A fronte di 54,4 miliardi di profitti esteri (di cui l’81% in Irlanda), accantona 11,7 miliardi per i fischi esteri.
Se le tasse pagate all’estero seguissero la distribuzione dei profitti, l’Irlanda starebbe ricevendo, come nota ironicamente Setser, una “massiccia manna” (a massive windfall).
Come l’Irlanda ha vinto la lotteria del BEPS
Questa situazione non è un caso. È il risultato diretto di decenni di politiche fiscali e, paradossalmente, dei tentativi internazionali di regolarle.
Brad Setser sottolinea un punto fondamentale: l’Irlanda è stata la vera beneficiaria del processo BEPS (Base Erosion and Profit Shifting erosione della base fiscale per spostamento dei profitti). Il BEPS, un’iniziativa dell’OCSE, era nato per impedire alle multinazionali di spostare i profitti in paradisi fiscali “offshore” come i Caraibi (Bermuda, Isole Cayman, ecc.), dove l’attività economica reale era nulla.
Cosa è successo? Invece di riportare i profitti negli Stati Uniti (paese d’origine ad alta tassazione), le multinazionali statunitensi hanno semplicemente spostato la loro Proprietà Intellettuale (IP) – il vero motore dei loro profitti – dai Caraibi (non membri dell’OCSE) all’Irlanda (membro dell’OCSE), dove però il trattamento fiscale era migliore sia come aliquota, sia come semplicità, leggi assenza, dei controlli fiscali.
L’Irlanda ha offerto il pacchetto perfetto:
- Un’aliquota fiscale societaria bassissima (il famoso 12,5%).
- Regimi fiscali specifici per la Proprietà Intellettuale (come la “Knowledge Development Box”) favorevoli all’esportazione degli utili, con controlli contabili sulle multinazionali minimi.
- La “benedizione” di essere un paese OCSE pienamente conforme alle nuove regole.
Il risultato? Le aziende hanno spostato legalmente i loro brevetti e software a Dublino, e ora la maggior parte dei profitti globali viene “legalmente” attribuita a queste filiali irlandesi. La “pentola d’oro” che Setser menziona non è alla fine dell’arcobaleno, ma nei bilanci di queste società.
Il paradosso della tassa minima globale
Di fronte a questo scenario, la comunità internazionale ha cercato di reagire. L’OCSE ha lanciato il suo ambizioso progetto “Two-Pillar Solution” (Soluzione a due pilastri), che include una tassa minima globale (Global Minimum Tax) del 15%. L’obiettivo è proprio quello di mettere un freno a questa “corsa al ribasso” e garantire che le multinazionali paghino un livello minimo di tasse in ogni paese in cui operano.
Tuttavia, Setser nota che questo progetto ha “perso slancio e sostegno politico”. Mentre i paesi discutono e cercano di implementare (con fatica) questo accordo complesso, il problema di fondo rimane. Gli USA, ad esempio, se ne sono ritirati.
L’aliquota effettiva del 18% di Microsoft è già superiore al minimo del 15%, quindi l’azienda è probabilmente già conforme. Ma questo non risolve la questione sollevata da Setser: la distribuzione geografica di quel gettito fiscale.
La strategia di Microsoft è un capolavoro di ingegneria finanziaria che evidenzia un difetto fondamentale nell’architettura fiscale globale. Finché esisteranno differenziali di tassazione così ampi e regole che permettono di attribuire profitti miliardari derivanti da beni intangibili (come un software) a un singolo “centro operativo”, il gioco continuerà. E l’Irlanda continuerà a incassare. Bisognerebbe distribuire gli utili là dove vengono generati oggettivamente, legandoli, ad esempio, ai fatturati, ma questo sembra impossibile. Le lobby delle multinazionali sono molto più forti.
Domande e risposte
Perché Microsoft sposta così tanti profitti in Irlanda?
Semplicemente perché l’Irlanda ha un’aliquota fiscale sulle società significativamente più bassa rispetto agli Stati Uniti. Registrando l’81% dei suoi profitti esteri presso il suo “centro operativo regionale” irlandese, Microsoft riduce legalmente la sua aliquota fiscale effettiva globale. Questa strategia si basa sull’attribuzione dei profitti, spesso derivanti dalla proprietà intellettuale (software, brevetti), a questa filiale.
Quello che fa Microsoft è illegale?
No, non è illegale. Si tratta di una pratica nota come “ottimizzazione fiscale” o “pianificazione fiscale”. Le aziende multinazionali sfruttano legalmente le differenze tra i sistemi fiscali dei vari paesi e le regole (spesso datate) sulla tassazione internazionale. Il problema non è la legalità, ma l’equità di un sistema che permette di disconnettere i profitti tassabili dall’attività economica reale.
Cosa si sta facendo per fermare questa pratica?
L’OCSE ha promosso un accordo globale (la “Soluzione a due pilastri”) per introdurre una tassa minima globale del 15% (Pillar Two). L’obiettivo è scoraggiare le aziende dallo spostare i profitti in giurisdizioni a tassazione zero o molto bassa. Tuttavia, come nota Brad Setser, l’implementazione è complessa e ha incontrato ostacoli politici. Anche se entrasse in vigore, potrebbe non risolvere completamente il problema della distribuzione del gettito fiscale tra i vari paesi.








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