Attualità
La democrazia del referendum greco e la dittatura del pareggio di bilancio
Ancora, al momento in cui scrivo questo pezzo, non sappiamo quale sarà il quesito referendario che Tsipras sottoporrà ai greci il 5 luglio, ma una cosa sappiamo: il Governo greco sta dando una grande lezione di civiltà a tutti i governanti europei.
Dopo che per settimane ci sono stati colloqui al vertice con i grandi creditori (Francia, Germania e FMI) e le istituzioni europee da una parte ed il Ministro dell’Economia Varoufakis o il Primo Ministro Tsipras dall’altra, colloqui in cui si cercava di mediare fra le proposte di austerità con tasse e tagli per fare cassa dei creditori internazionali e proposte meno distruttive, sebbene più aleatorie riguardo al gettito, da parte greca, all’ennesima chiusura ed imposizione di politiche economiche definite “assurde, inaccettabili ed umilianti” dal Governo, il leader Syrisa è andato in televisione e dopo aver esordito dichiarando che “Le proposte dell’Eurogruppo chiaramente violano i trattati europei e il diritto base al lavoro, all’eguaglianza e alla dignità dimostrano il proposito che alcuni dei partner e delle istituzioni non vogliono un accordo fattibile per tutte le parti, ma la possibilità di umiliare un intero popolo” ha lanciato la proposta del referendum, perché sia il popolo greco a decidere se accettare o meno queste imposizioni.
Anche se non è stato detto esplicitamente, la non accettazione porterebbe all’uscita della Grecia dall’euro, in quanto gli ELA (Emergency Liquidity Assistence), ovvero la fornitura di liquidità da parte della BCE alle banche greche per far fronte ai pagamenti correnti, verrebbero sospesi, come ha fatto intendere chiaramente la Banca, ed il mancato rimborso il 30 giugno della rata di 1,6 miliardi di euro al FMI farebbe scattare molto probabilmente il default.
Al di là di ogni considerazione sull’efficacia e la portata reale del referendum indetto, spicca la volontà di riportare in sede democratica una decisione che finora è stata sempre appannaggio di élite burocratiche, non elette ed opache, e governi, spesso senza una maggioranza a sostegno, asserviti alle logiche ed agli interessi della finanza e degli investitori privati. Con la chiamata a referendum il Governo greco ribadisce un principio che dovrebbe essere evidente, ma che questa Europa cerca di occultare e rendere irrilevante: le scelte che influiscono sulla vita dei cittadini, sui loro diritti e sul loro futuro devono essere prese dai cittadini stessi, o direttamente, o attraverso organi democraticamente eletti per rappresentarli, come i parlamenti.
Questa vera e propria lezione di democrazia e libertà stride pesantemente con quanto invece sta accadendo in Italia. Il giubilo con cui alcuni commentatori hanno appreso della sentenza della Corte Costituzionale – la quale ha ritenuto illegittimo il blocco degli adeguamenti salariali del settore pubblico, fermi da anni, ma, con una pronuncia dubbia dal punto di vista tecnico-giuridico, ha considerato tale illegittimità solo sopravvenuta, negando pertanto il recupero degli arretrati – è una sconfitta di una società che ormai ha ben poco di democratico.
Far assurgere un principio, come quello del pareggio di bilancio, sciaguratamente messo in Costituzione da politici ignavi o complici, a misura e limite di ogni altra tutela significa rinunciare di fatto ai diritti sociali ed economici. Se lo Stato infatti deve togliere quanto spende il suo apporto all’economia è neutro e, in cicli economici in contrazione come quello che stiamo vivendo da sette anni, addirittura recessivo; inoltre, come già abbiamo più volte avuto occasione di dire in questo blog, lo Stato ha dei compiti che la Costituzione gli assegna per cui la sua azione non deve sottostare a principi di economicità: lo Stato non è un’azienda.
Il pareggio di bilancio come principio cardine di una Nazione è un’aberrazione antidemocratica che solo ed esclusivamente l’Italia ha assunto: neanche la Germania, campione (a parole) di austerità si è mai sognata di metterlo nella propria Carta fondamentale.
Ecco, vedere la Grecia, che ha contro l’intero sistema finanziario e politico europeo ed internazionale, che deve lottare per evitare di essere depredata dei suoi gioielli (isole e coste) che fanno gola ai privati, questo minuscolo Paese che, con uno scatto di orgoglio e dignità, respinge ultimatum e ricatti e ricorda a noi ed al mondo che uno Stato sovrano prima di tutto risponde ai suoi cittadini, è un sollievo ed insieme un umiliazione: sollievo perché la democrazia torna nell’orizzonte politico, nonostante tutti i tentativi di tenere l’azione delle istituzioni europee “al riparo dal processo elettorale” (Monti) e quindi dal controllo democratico (da ciò l’irrilevanza del Parlamento europeo messo sotto tutela dalle altre istituzioni, come abbiamo visto), un umiliazione perché l’Italia, culla del diritto, è invece preda di un’involuzione antidemocratica, senza che vi sia alcuna reazione da parte dei suoi cittadini. Stiamo svendendo i nostri diritti in nome dei conti in ordine, senza capire che è solo perché utilizziamo una moneta “straniera” che non possiamo gestire, con una rassegnazione che sfiora l’ignavia.
L’unica speranza è che dalla Grecia venga realmente una scossa che ci svegli da questo torpore degno di un gregge di sudditi e non di un popolo che si ritiene libero.
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