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La campagna elettorale avanza senza nessuna novità di rilievo rispetto alle infinite campagne elettorali che l’hanno preceduta negli ultimi trenta anni. (di Pietro De Sarlo)

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La campagna elettorale avanza senza nessuna novità di rilievo rispetto alle infinite campagne elettorali che l’hanno preceduta negli ultimi trenta anni.

Nella totale e generalizzata assenza di visione su come tirare fuori dal baratro il Paese di cosa si parla? Di pensioni ovviamente, e lo si fa continuando a mentire spudoratamente perché a tutti i partiti, e a tutti i loro maître à penser, nulla altro viene in mente se non di raschiare il barile dei soliti noti, che da benemeriti del Paese, quali dovrebbero essere, diventano, ai loro occhi, la zavorra della collettività.

Mettiamo come prima cosa in ordine i numeri.

Le pensioni incidono sulla spesa pubblica corrente per il 18% del PIL, contro una media del 15% in Europa. Da questo assunto le varie oche giulive starnazzanti nel cortile della politica si dimenano per dimostrare la necessità di rientro della spesa pensionistica. Peccato però che, al contrario del resto d’Europa, i dati che l’Istat fornisce a Eurostat sono al lordo delle tasse e non al netto. In altri termini se osserviamo il bilancio INPS la spesa per pensioni è pari nel 2016 a 218 miliardi di euro a fronte di contributi versati per 197 miliardi, con un disavanzo di 21 miliardi.

Però dei 218 miliardi di pensioni pagate ben 50 tornano allo Stato sotto forma di tasse e altri 10 sono relativi a spese non propriamente pensionistiche (integrazioni al minimo, pensioni di guerra e maggiorazioni sociali per esempio) ma assistenziali. Detto in soldoni la gestione pensionistica, calcolata in modo omogeneo al resto d’Europa, invece che portare un disavanzo di 21 miliardi nell’esercizio 2016 ha fornito alle pubbliche finanze circa 30 miliardi di euro.

Per inciso i 50 miliardi di tasse sono pagati dagli stessi lavoratori a reddito fisso che hanno pagato per una vita contributi e tasse e continuano a pagarle oggi anche da pensionati: i soliti noti appunto.

Queste cose le dico solo io? No, ma, oltre al bilancio INPS, con maggiore autorevolezza e meglio di me, il vate della previdenza nazionale Alberto Brambilla sul Corriere della Sera del 14/12/2017.

Resta da chiedersi come mai solo noi, o quasi, forniamo i dati delle pensioni in Europa comprensivi delle tasse andando così fuori dalle medie europee? Misteri del tafazzismo italiano … a pensare bene! A pensare male invece c’è una tale assenza di visione e di proposte che le teste vuote della politica, e i loro consulenti beoti, non hanno nessuna idea su come rilanciare l’economia e risanare i conti pubblici.

La riforma Fornero agevola i giovani?

Credo sia arrivato il momento di dire anche su questa riforma alcune verità.

Mi riferisco all’articolo di La Repubblica del 6 novembre 2017 e ad alcune affermazioni dell’ex ministro Elsa Fornero.

In questa intervista la dottoressa Fornero dice che con il mantenimento dell’aumento del blocco dell’età pensionabile “si è evitato di scaricare sui giovani il costo di una operazione che avvantaggerebbe solo le generazioni più mature”.

Devo dire che di tutta la discussione sulle pensioni quello che mi dà maggiormente il voltastomaco è il tentativo di giustificare i tagli alle pensioni, fatti per risanare i conti pubblici, introducendo nella discussione in modo proditorio e immorale un inesistente conflitto generazionale.

La riforma pensionistica cd Fornero ha modificato i criteri di calcolo delle pensioni, non il sistema di finanziamento delle stesse che continua a essere a ripartizione e come appena dimostrato ampiamente in attivo, allungando il periodo di contribuzione e modificando la base di calcolo pensionistica (dalle retribuzioni alla contribuzione effettivamente versata).

In altri termini rispetto al criterio precedente (retributivo) viene avvantaggiato chi al momento della pensione avrà durate e continuità contributive elevate, almeno 42-43 anni. Chi invece avrà una storia di lavori precari e saltuari e modeste anzianità contributiva sarà fortemente penalizzato. Ma quali sono le generazioni che potranno vantare una lunga storia contributiva e pensionistica? Le generazioni mature, appunto. Quelle che non riescono ad uscire dal mondo del lavoro, grazie proprio alla riforma Fornero, per fare spazio ai ragazzi che a 30 anni e 40 anni ancora un impiego stabile e duraturo se lo sognano e di conseguenza, proprio per gli effetti della riforma Fornero, si sogneranno anche la pensione. L’esatto contrario di quanto affermato dalla dottoressa Fornero.

Ma che questo aspetto della riforma, innalzamento brusco dell’età pensionabile, abbia ridotto le possibilità di trovare lavoro per i giovani viene contestato dalla Fornero che, sempre sullo stesso articolo, replica: “Statisticamente è dimostrato che i Paesi che hanno avuto anche durante la crisi un basso tasso di disoccupazione giovanile sono quelli che hanno un alto tasso di occupazione tra i lavoratori più anziani. Vale per la Germania, per i Paesi scandinavi …”. Insomma “morto è il sir di Lapalisse a Pavia sotto le mura, ma un po’ prima di morire Lapalisse viveva ancora”. Ossia dove c’è lavoro c’è per tutti. E dove non c’è? Perdonatemi ma l’affermazione della Fornero è priva di senso. Fa parte del mode degli economisti di fare affermazioni apodittiche, senza contraddittorio e scientificamente non dimostrabili. Se io dico: “è statisticamente dimostrato che nei Paesi dove il lavoro manca chi ne fa le spese maggiormente sono i giovani e le donne, come in Grecia, Spagna, Portogallo”, sbaglio? Ecco dimostrata, con pari mezzi e dignità scientifica, il contrario della tesi “forneriana”.

Quello che invece fa parte della esperienza comune è che tutte le aziende appena varata la riforma Fornero hanno bloccato il turn over fisiologico e di fatto la situazione per i giovani si è complicata ulteriormente. Non sono pochi i ragazzi che in quel periodo aspettavano una lettera di assunzione … che non è mai arrivata!

Senza considerare che la globalizzazione, l’informatizzazione e, in un futuro prossimo, la robotica, diminuiranno a parità di PIL la necessità di lavoratori. Possiamo continuare a ipotizzare una società fatta di persone che lavorano ininterrottamente da 14 a 67 anni per 40 ore a settimana e persone che nel mondo del lavoro non entreranno mai se non con lavori precari e parziali? Qualche riflessione dovremmo farla.

Si possono tagliare le pensioni in essere? Cosa sono i diritti acquisiti?

Il rapporto tra il cittadino e lo Stato in materia pensionistica dura ben 65 anni: 45 di contribuzione e 20 di fruizione. Questo quando va tutto bene, ossia quando si è stati fortunati e si è lavorato ininterrottamente per 45 anni (Fornero docet) e si campa abbastanza in salute, si spera, per altri 20 anni.

Un rapporto così lungo implica una fiducia forte tra i due contraenti.

Cosa ne direste di una compagnia assicurativa che dopo aver lucrato i vostri premi per quaranta anni decidesse di tagliarvi unilateralmente i vitalizzi contrattualizzati?

Ogni cittadino dovrebbe nel corso della propria vita pianificare il proprio futuro pensionistico e decidere quanto accantonare per la propria pensione. Ossia, in un Paese civile, ogni volta che verso un euro di contributo dovrei, anzi devo, sapere esattamente quando e quanto di questo euro si trasformerà in pensione (questo è il diritto acquisito!). Uno Stato può anche decidere di abolire le pensioni ma deve dirlo quando si è ancora giovani e si è in grado di esercitare le proprie scelte e valutazioni dando a tutti il tempo per potersi adeguare. Non può dirlo quando si è troppo anziani per costruire la propria serenità in vecchiaia. È un fatto di civiltà come prima cosa.

Ora molti dei sostenitori dei tagli alle pensioni affermano che molte pensioni hanno delle prestazioni troppo elevate rispetto ai contributi versati e questo squilibrio vanifica il diritto acquisito..

A parte i casi di abusi e truffe, falsi invalidi e simili, occorre che chi sostiene questa tesi consideri da un lato che chi non ha pagato contributi lo ha fatto usufruendo di norme specifiche vigenti tempo per tempo, che tali norme sono in vigore ancora oggi per esempio per favorire gli impieghi a tempo indeterminato dei giovani, che tali esenzioni hanno riguardato intere categorie di cittadini e non solo i politici ma anche piloti Alitalia, contadini eccetera eccetera e dall’altro che la quasi totalità delle pensioni in essere oggi forniscono prestazioni superiori ai contributi individualmente versati.

Questo avviene specialmente con i redditi più bassi che con il sistema di calcolo precedente alla riforma Fornero avevano pensioni più elevate. Tanto per capirci tutti quelli, statali e operai e impiegati per lo più, che avevano di pensione il 2% anno per ogni anno lavorativo e che a 40 anni di contributi potevano così contare su una pensione pari all’80% dell’ ultima retribuzione. Questo sistema è stato ingiusto? Non lo so! L’esenzione contributiva, allora come ora, ha sempre avuto una motivazione sociale elevata ed è stata tempo per tempo approvata dal parlamento. Se mettiamo in discussione ex post i benefici del passato chi assicura gli attuali beneficiari degli sgravi contributivi che al momento di andare in pensione non ci saranno ripensamenti? Le norme, mettetevelo tutti nella zucca, non possono avere effetti retroattivi! Qualcuno ne ha beneficiato oltremisura? Forse sì, come i sedicenti imprenditori e artigiani e commercianti che per decenni, e in epoca di vacche grasse, hanno evaso il fisco a rotta di collo complice lo Stato e la mala politica. Forse più che ai pensionati occorrerebbe chiedere conto a loro e pretendere da loro, rivalutate, tutte le tasse evase o almeno quelle che si continua a evadere!

Tutti quelli, economisti e no, che vogliono tagliare le pensioni per risanare i conti pubblici dicano chiaramente a chi le vogliono tagliare e in che misura e con quale criterio. Spero non ai soliti noti che hanno pagato tasse e contributi e continuano a pagare le tasse sulle pensioni.

Tagliare le pensioni favorirebbe l’occupazione per i giovani?

Ai signori economisti de noantri , prima che ai politici che li ascoltano, che propongono simili salvifiche ricette chiedo, per favore, come pensano di utilizzare ogni euro di pensione tagliata. Quanto di ogni euro verrà utilizzato per ridurre il deficit e il debito? Quanto per ridurre le tasse alle aziende e quanto per ridurre le tasse ai cittadini? Quanto verrà utilizzato per finanziare infrastrutture utili allo sviluppo?

Alle aziende che invocano tagli alle tasse, da fare con i tagli alle pensioni, chiedo per ogni euro di tasse risparmiato quanto si tradurrà in maggiori profitti e quanto in maggiori investimenti? Della quota dedicata agli investimenti quanto si tradurrà in investimenti in meccanizzazione, ossia per ridurre i numero dei lavoratori, e quanto per espandere l’attività?

Insomma quanti nuovi posti di lavoro verranno creati per ogni punto percentuale di taglio alle pensioni? Poiché qui parliamo della vita delle persone siete tenuti, per una volta, a dimostrare con rigore scientifico la risposta che darete. Non ci possiamo accontentare della intuizione sociologica o della ipotesi di correlazione statistica ma di una rigorosa evidenza scientifica dimostrata in modo deterministico. Siamo seri!

Come si finanzia allora lo sviluppo?

I fondi messi a disposizione della Comunità Europea per lo sviluppo delle aree depresse valgono circa 70 miliardi per ogni quinquennio. Le regioni e lo Stato riescono a spenderne più o meno il 30% e tutti in progetti clientelari e di scarsa visione. È legittimo chiedere alla politica e ai politici, prima di accettare qualsiasi discussione su ipotesi volte a ridurre le aree di welfare, pensioni e sanità, che idea hanno del futuro del Paese e come e su quali progetti di sviluppo pensano di investire le risorse pubbliche a partire dai fondi comunitari? In Italia abbiamo circa il 14% in meno di occupati rispetto alla Germania, che tradotto in numeri significa quasi 10 milioni di occupati in meno. Continuiamo a considerare il debito pubblico come la causa di tutti i nostri mali mentre è invece la conseguenza di tutti i nostri mali. Siamo sull’orlo di un baratro immenso in cui cadremo appena Draghi, o chi per esso, finirà di colmarlo con il Q.E. e spero che chi si candida, di qualsiasi partito, abbia in tasca qualche ideuzza un po’ più consistente di quella di fare cassa con le pensioni.

Diteci la visione che avete del futuro del Paese, con quali infrastrutture fisiche, culturali e amministrative intendete realizzare questa visione e infine quanti soldi sono necessari e in quanto tempo. Dopo che avrete detto tutto questo si potrà iniziare a ragionare su dove prendere i soldi e, vi assicuro, qualche idea migliore dei tagli a destra e a manca in giro c’è.

Pietro de Sarlo

Manager e scrittore


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