Seguici su

Difesa

La breve storia dei controversi rapporti Iran Usa nella polveriera mediorientale

Pubblicato

il

Ancora una volta Donald Trump ha sorpreso un po ‘ tutti. Dopo avere annunciato due giorni prima di voler rimandare la decisione se intervenire nel conflitto tra Israele ed Iran, nella notte di Sabato ha fatto alzare in volo i famigerati bombardieri B2 spirit, per sganciare su tre siti nucleari iraniani 12 missili bunker buster. “Martello di mezzanotte”, così è stata denominata la fulminea operazione americana, secondo fonti Usa, avrebbe seriamente compromesso l’attività nucleare del regime iraniano. L’intervento americano è giunto a sorpresa, ( anche se a quanto risulta, gli americani avrebbero avvertito preventivamente l’Iran dell’attacco) e avrebbe avuto un’accelerazione dopo la dichiarazione di Netanyahu secondo cui Israele sarebbe andata avanti anche senza gli Usa. Cade quindi anche l’ assioma che voleva Trump come il presidente americano più pacifista degli ultimi trent’anni.

Ma l’intervento di Trump è solo l’ultimo capitolo di una storia infinita dei difficili e controversi rapporti tra Usa ed Iran. È una storia fatta di scelte palesemente sbagliate che producono effetti a distanza di decenni, di una scarsa comprensione della natura della società e del regime iraniano, di politiche contraddittorie adottate anche nel giro di pochi anni. Tutto ha inizio nell’agosto del 1953, quando i servizi segreti statunitensi e britannici organizzano un colpo di stato per spodestare Mohammad Mossadeq, il primo ministro iraniano democraticamente eletto che aveva cercato di nazionalizzare l’industria petrolifera nazionale. Il colpo di stato riporta al potere la monarchia favorevole all’occidente, guidata dallo scià Mohammad Reza Pahlavi. Sotto le pressioni di Stati Uniti e Regno Unito, lo scià approva un accordo che dà alle compagnie petrolifere statunitensi, britanniche e francesi il 40 per cento della proprietà dell’industria petrolifera per venticinque anni. L’anno successivo  Stati Uniti e Iran firmano un accordo per lo sviluppo della tecnologia nucleare per scopi civili.

L’accordo getta le basi per il programma nucleare iraniano e in seguito gli Stati Uniti forniscono a Teheran un reattore e uranio arricchito a un livello sufficiente per produrre bombe atomiche. Il 16 gennaio 1979, dopo mesi di manifestazioni e scioperi contro il suo governo, Mohammed Reza Pahlevi è costretto a lasciare il paese. Due settimane dopo l’ayatollah Ruhollah Khomeini, leader religioso sciita che si opponeva all’occidentalizzazione dell’Iran, torna nel paese dopo quattordici anni di esilio. Khomeini prende il potere come guida suprema a dicembre dello stesso anno, trasformando l’Iran in una teocrazia islamica fortemente antioccidentale e antiamericana. Khomeini afferma che cercherà di “esportare” la sua rivoluzione nei paesi vicini. Nel Novembre 1979, un gruppo di studenti iraniani radicali prende in ostaggio 52 americani nell’ambasciata statunitense a Teheran, chiedendo agli Stati Uniti di estradare lo scià. Gli ostaggi vengono liberati dopo 444 giorni, con gli Stati Uniti che si impegnano a non intervenire nella politica iraniana. La vicenda contribuisce alla sconfitta del presidente Jimmy Carter alle elezioni presidenziali del 1980, vinte da Ronald Reagan.

Nel 2001 dopo l’attacco alle torri gemelle George W. Bush collabora con gli iraniani per colpire i taliban afgani, nemico comune dei due paesi. La collaborazione si interrompe l’anno dopo, quando Bush inserisce l’Iran nel cosiddetto “asse del male”, con Iraq e Corea del Nord. Nel 2015 dopo mesi di intensa attività diplomatica, l’Iran accetta di stipulare un accordo a lungo termine sul suo programma nucleare con un gruppo di paesi – il P5+1 – che comprende Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Russia e Germania. In cambio dell’alleggerimento delle sanzioni, Teheran accetta di smantellare il reattore nucleare di Arak, di consentire i controlli degli ispettori internazionali nei siti nucleari e di limitare l’arricchimento dell’uranio per almeno quindici anni. In sostanza, il piano accettato dall’Iran prevedeva una serie di restrizioni al suo programma nucleare della durata di un decennio e l’accettazione di costanti ispezioni internazionali ai suoi siti nucleari, il tutto nel quadro di regole stabilite negli anni ’70 dal trattato di non proliferazione nucleare. Il presidente Donald Trump annuncia nel 2018 che gli Stati Uniti si ritireranno dall’accordo sul nucleare e attueranno una campagna di sanzioni per esercitare la “massima pressione” sull’Iran. Gli esperti di controllo degli armamenti e alleati europei condannano la decisione, mentre Israele e l’Arabia Saudita esultano. L’economia iraniana cade in una profonda recessione.

Teheran risponde aumentando l’arricchimento dell’uranio e cercando di alimentare il caos nella regione, con attacchi a siti petroliferi, che fanno crescere il prezzo del petrolio, e abbattendo un drone statunitense sullo Stretto di Hormuz. Quindi dopo il 1979 quasi tutti i presidenti statunitensi hanno adottato politiche per smussare il radicalismo del governo iraniano e limitare la sua influenza nella regione, con strategie diverse: i democratici convinti che coinvolgendo l’Iran a livello diplomatico, cioè offrendogli un posto nel mondo, si potesse ammorbidire la sua ideologia rivoluzionaria, e alla lunga portare i moderati al potere; i conservatori hanno puntato su un approccio più duro, basato principalmente sulle sanzioni economiche, sperando di costringere l’Iran a negoziare da una posizione di debolezza, o per causare l’implosione del regime.

Qualche anno fa Karim Sadjadpour, esperto di questioni iraniane, ne ha scritto sul New York Times: “La guida suprema Ali Khamenei sa che l’apertura del paese al resto del mondo potrebbe portare una concorrenza che minerebbe il sistema di spartizione delle risorse e del potere da parte delle élite economiche e militari”. La normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti e con Israele potrebbe rivelarsi quindi profondamente destabilizzante per un governo teocratico il cui principio organizzativo si basa sulla lotta all’imperialismo americano e allo stato ebraico. Ma ora l’acuirsi delle tensioni potrebbe avere serie ripercussioni sulla stabilità della regione, con un regime iraniano fortemente indebolito, ma proprio per questo forse ancora più pericoloso perché in grado di compiere azioni disperate. Ed in questo contesto che un’Europa forte ed unita potrebbe giocare la sua partita diplomatica e far valere la sua voce, senza invece dover fare la figura della semplice comparsa.


Telegram
Grazie al nostro canale Telegram potete rimanere aggiornati sulla pubblicazione di nuovi articoli di Scenari Economici.

⇒ Iscrivetevi subito


E tu cosa ne pensi?

You must be logged in to post a comment Login

Lascia un commento