Attualità
LA BOLLA SPECULATIVA TEDESCA CHE PUO’ TRASCINARE A FONDO L’EUROPA di Luigi Luccarini.
Voglio fare una premessa.
Leggere i movimenti che si realizzano sulle Borse e con quelli cercare di interpretare i fatti economici che coinvolgono la totalità degli individui, anche coloro che nulla hanno a che fare con la speculazione finanziaria, non è frutto di una fissazione di un trader o di un analista di quei mercati.
Va ricordato infatti che la Borsa è il principale luogo, fisico e telematico, dove si muovono i capitali e dove le aziende cercano – e spesso trovano – denaro per i loro programmi di investimento ed al tempo stesso una valutazione dei loro asset.
Quindi, con ipostasi neppure così ardita, si può arrivare ad affermare che dagli andamenti di Borsa noi ricaviamo anche la rappresentazione dello stato di una nazione, dei rapporti di forza, economica e politica con altre, e delle prospettive future dell’una e delle altre.
Una chiave di lettura in genere piuttosto affidabile.
E difficilmente confutabile, perché prima di tutto si basa su numeri, che per loro natura sono oggettivi, specie se evidenziati in serie storiche; ed in secondo luogo perché la Borsa è probabilmente l’unico ambiente in cui l’individuo agisce sempre, per definizione, come soggetto razionale. Poiché è certo che nessuno “investe” in azioni (o anche in obbligazioni) con la prospettiva di perdere il capitale.
Anche se in Italia si continua a parlare di “gioco” in Borsa, o di “scommessa” su questo o quel titolo: ma si tratta di un gergo che tradisce la scarsa competenza – finanziaria ed a cascata economica – di cui soffriamo nel nostro paese, che infatti nella più recente classifica elaborata al riguardo da S&P Rating Services si posizionava al 64° posto, dietro persino a Togo e Zambia (con tutto il rispetto per Togo e Zambia, sia chiaro).
E non basta, perché dall’indagine Global Financial Literaly Survey più recente vediamo che al nostro basso grado di competenze in materia, si contrappone chi è invece in grado di comandare in questo settore in virtù della propria capacità di comprensione dei relativi fenomeni.
E vedere la Germania in quella posizione non è un caso e può contribuire a spiegare molte delle cose che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere in questi ultimi anni.
Non intendo certo annoiarvi ancora con le questioni relative al Bund, che in settimana ha “finalmente” raggiunto il suo target di rendimento negativo anche sulla scadenza decennale (-0.025%) e neppure tornare sulla questione dei trasferimenti di valuta verso Berlino fotografati mensilmente dai dati Target2.
Se ne è parlato tanto e ormai credo che sia scontato per tutti che uno dei fattori di maggior squilibrio all’interno dell’Eurozona è rappresentato dall’entità di assorbimento della moneta circolante da parte di uno o più soggetti – oltre alla Germania, si segnalano infatti da tempo gli stessi Paesi Bassi – a scapito di altri
E’ ovvio comunque che l’andamento del Bund spiega molto di quanto accaduto al riguardo perché quel tasso “sottozero” è frutto di una domanda molto sostenuta del titolo, non certo diun’imposizione del soggetto emittente.
Di denaro, insomma, che ancora si dirige verso la Germania, in aggiunta a quello di cui già vi è affluito negli anni.
Ma lo stesso ragionamento si poteva formulare anche solo osservando l’andamento dell’indice principale della Borsa di Francoforte, il DAX, nel rapporto con gli altri, a partire dalla fine della formidabile crisi del 2008/2009.
Dal grafico possiamo apprezzare non solo la sovra-performance del DAX rispetto ad altri indici dell’area (Francia e Italia) e a quello della Gran Bretagna, ma anche il fatto che il suo rendimento è quasi pari a quello realizzato dallo S&P 500, vale a dire l’indice più rappresentativo sul NYSE (New York Stock Exchange).
Entrambi hanno infatti più o meno quadruplicato il loro valore nell’ultimo decennio.
Con una differenza non da poco però: che nel decennio l’Euro, cioè la moneta in cui vengono prezzati i titoli quotati sul DAX, si è svalutato del 30% circa nei confronti del Dollaro USA.
E con la conclusione, a questo punto doverosa, che se si parla di eccesso di quotazione per i titoli azionari a Wall Street (e in effetti se ne parla da tempo) per quelli tedeschi dovremmo addirittura usare senza mezzi termini l’espressione “bolla speculativa”.
Che peraltro più volte abbiamo adombrato a proposito dei prezzi raggiunti dal Bund.
Come è potuta accadere una cosa del genere?
Le spiegazioni possono essere di due tipi.
Una prima riconducibile a fenomeni di natura economica.
Dovremmo quindi ipotizzare che la Germania negli ultimi 10 anni abbia mostrato una forza relativa della sua economia nettamente superiore a quella degli altri paesi.
Ma la realtà non è questa, perché il tasso di crescita del GDP tedesco si è dimostrato sempre inferiore alla media dei paesi EU
Anche il paragone con gli USA appare improponibile
E, se vogliamo, persino quello con l’Italia, raccontata da sempre come “Cenerentola” l’Europa non giustifica il gap di rendimenti borsistici che abbiamo visto prima.
E’ ovvio pertanto che non riconducibile a fattori legati all’economia reale, quell’enorme differenziale può essere stato generato soltanto da ragioni di natura finanziaria che chiamano in causa la policy di chi ne è primo e principale responsabile, vale a dire BCE.
Ma anche di questo argomento abbiamo parlato più volte, inutile tornarci sopra.
Più interessante notare quali sono le conseguenze che si sono prodotte/si stanno producendo nell’ambito dell’Eurozona.
Da un lato i dati comunicati venerdì 22 marzo hanno segnalato, più che un degrado, un vero e proprio cedimento strutturale dell’apparato produttivo. Con il tracollo del PMI manifatturiero dell’area, sceso a 47,6 e con quello tedesco addirittura precipitato a 44,7.
Quest’ultimo dal valore 63,3 che presentava a dicembre 2017.
La Germania si dimostra, in altri termini, alle prese con una crisi della propria economia di difficile soluzione. Ma al tempo stesso è anche causa della recessione in Europa, avendo con il tempo incamerato quasi tutta la liquidità che vi circola. Ed avendo fame di quella residua, come dimostra la forza di attrazione che ancora esercita il suo Bund.
Per questo la Germania è al tempo stesso in una “bolla” di proporzioni spaventose che rischia di travolgere tutta l’Europa e forse il mondo intero se dovesse scoppiare.
E quanto sta accadendo sul DAX lascia intendere che l’esplosione potrebbe essere imminente
Il “bear market” che vi è indubbiamente in corso fino ad ora ha portato a conseguenze contenute sul piano delle quotazioni, soltanto perché grazie al rimbalzo di inizio 2019 ed in particolare alle scelte di politica monetaria della FED e della stessa PBOC della Cina, è tornato ad affluire denaro sui mercati finanziari.
Tuttavia è chiaro che la situazione dell’economia globale, in assenza di un interlocutore credibile in Europa, potrebbe degradarsi anche rapidamente. Ed in effetti il DAX stesso lo sta facendo ipotizzare
La retta B2 che vedete indicata potremmo anche definirla “linea del panico”.
Perché se il rimbalzo di gennaio ha consentito di violarla al rialzo, l’eventuale “return-back” al suo interno avrebbe conseguenze potenzialmente catastrofiche. Anche perché, come si vede, gli indicatori di forza relativa attestano il grado elevato di impegno finanziario con cui si è cercato di sostenere le quotazioni dei titoli tedeschi. Mediante quel denaro che continua ad affluire in Germania a scapito di altri mercati.
Tuttavia, come si può notare, con la chiusura di venerdì 22 marzo siamo arrivati al punto limite o quasi.
Quel che resta dell’Unione Europea e dello stesso Euro è ancorato non a Brexit, non ai dazi di Trump, non ai memorandum con la Cina, ma a questi incroci di linee e numeri.
Con buona pace di quanti pensano all’Europa in termini di popoli, ideali, bandiere e bla bla bla assortiti.
L’Europa oggi sta tutta qui, in una bolla grande quanto lo fu la vocazione del Terzo Reich di dominare il mondo con i Wehrmacht e Luftwaffe.
E si dissolverà, forse non domani e neppure dopodomani, ma certamente è destinata a questa soluzione finale perchè nessun sistema economico e finanziario può sopravvivere a simili squilibri.
Il problema è capire se potremo noi venirne fuori prima che esploda la “bolla” che è stata costruita al suo interno.
Sarebbe preferibile.
@luigiluccarini
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