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JOBS ACT: UN FALLIMENTO DI SUCCESSO

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Il cosiddetto Jobs Act viene continuamente dipinto quale un grandissimo successo ottenuto dal nostro governo che ha consentito di promuovere non solo l’occupazione, ma soprattutto la “buona” occupazione. Vediamo brevemente quanto prevede il Jobs Act utilizzando l’ottimo post di Fabio Lugano:

Economicamente: sgravi triennali dei contributi pensionistici sino a 8.060 euro annui dei nuovi contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, sia derivanti da nuove assunzioni, sia da trasformazioni di altri contratti a tempo indeterminato, dal 7 marzo 2015 al 31/12 2015. La norma è stata parzialmente confermata per il 2016 – 2017 con uno sgravio ridotto pari al 40% dei contributi (con un tetto massimo pari a 3.250 euro e la nuova decontribuzione durerà 24 mesi, anziché 36 come per gli assunti nel 2015 – ndr).

 Dal punto di vista normativo, con modifiche permanenti che prevedono:

  1. ASSUNZIONI E LICENZIAMENTI A TUTELE CRESCENTI con possibilità di licenziamento sia economico sia disciplinare nei primi 3 anni con risarcimento crescente.
  2. CESSAZIONE OBBLIGO DI REINTEGRO PER I NUOVI ASSUNTI. Subentra l’obbligo di risarcimento, tranne che per limitati casi di discriminazione. L’obbligo di reintegro resta per le aziende sopra i 15 dipendenti per gli assunti ante 7/3/2015.
  3. POSSIBILITA’ DI PATTEGGIAMENTO CON DIPENDENTE: 1 mese di retribuzione per anno lavorativo che rimane come risarcimento non sottoposto a tassazione.
  4. RIORDINO DEI CONTRATTI CON ABOLIZIONE CO.CO.PRO.
  5. PART TIME ORIZZONTALE O VERTICALE. Libero, ma limiti al lavoro extra part time (15% e 25%) con premio del 15%.
  6. DEMANSIONAMENTO (a parità di paga).
  7. CONCILIAZIONE VITA LAVORO e MATERNITA e PATERNITA’
  8. NASPI – ASDI e DISC-COLL
  9. ASSEGNO DI RICOLLOCAZIONE – formazione attiva
  10. CONTROLLO A DISTANZA.

In pratica: in cambio della possibilità da parte del datore di lavoro di controllare a distanza i propri dipendenti e di poterli licenziare “ad nutum” (quando gli pare), si ha diritto ad un contratto nominalmente “a tempo indeterminato”. Tale facoltà è stata estesa anche alle agenzie interinali (oggi dette agenzie di somministrazione lavoro) le quali hanno la facoltà di stipulare contratti “a tempo indeterminato” facendo lavorare i propri dipendenti in luoghi e posti diversi: un mese fai il metalmeccanico a Roma, il mese dopo il barista Latina, il mese dopo il commesso a Viterbo ecc. cioè sei precario, ma a tempo indeterminato (leggasi precario a vita). Questo nel caso fortunato in cui riescano a ricollocarti, altrimenti percepisci un’indennità di disponibilità pari a 750 € LORDI al mese per un periodo variabile tra 6 e 7 mesi (e poi… ciao).

Quali effetti ha avuto?

saldo attivazioni

Elaborazioni su dati INPS

Dal grafico si vede che nei primi mesi del 2016 (linea rossa), cioè con il Jobs Act vigente, il saldo occupazionale (attivazioni meno cessazioni) è inferiore rispetto ai primi mesi del 2015 (linea blu), quando il Jobs Act non era ancora in vigore e anche rispetto al 2014 (linea verde). Tuttavia si evidenzia che nel 2015 gli occupati (vedremo di quale tipo) sono aumentati, ma nel 2016 (con gli incentivi ridotti al 40%) stanno diminuendo. E’ presto per dare un giudizio definitivo, ma questo calo induce a pensare che le assunzioni non fossero così “stabili” come ci viene detto.
Abbiamo visto che il Jobs Act ha contribuito ad aumentare le assunzioni nel 2015; sarebbe un parziale successo, ma è del tutto vero? Il presidente dell’INPS, Tito Boeri, ha dichiarato che: “nel 2014-2015 abbiamo identificato 700 aziende fasulle e 30mila finti lavoratori”. Quindi il tanto decantato effetto positivo del 2015 era in parte drogato dalla contabilizzazione di “lavoratori fantasma” cioè contratti fasulli al solo scopo di usufruire degli sgravi, ma non basta! I voucher, altra forma di precariato, sono passati da 7.905.192 del gennaio-febbraio 2014 a 13.511.749 del gennaio-febbraio 2015, con un incremento del 71% e nel primo bimestre 2016 si è avuto un ulteriore incremento del 45% (per un totale di 19.618.220 voucher venduti). Insomma, la vera differenza in termini occupazionali è data dall’utilizzo dei voucher, cioè dall’aumento dei precari!
Vediamo come si è modificata, in termini percentuali, la distribuzione delle tipologie contrattuali in quest’ultimo anno:

tipologia

Elaborazioni su dati ISTAT

Si vede che la dinamica della quota di occupati a tempo indeterminato e a termine tra il 2015 e 2016 è sostanzialmente complementare, quando una sale, l’altra scende e viceversa. Il Jobs Act ha sostanzialmente contribuito a variare le forme di contratto già in essere, ma non a creare nuova occupazione “stabile”. Detto in altre parole: si è trasformato una forma contrattuale in un’altra, più vantaggiosa per il datore di lavoro, e si è incentivato una nuova forma di precariato: il voucher.
Questa trasformazione ha avuto un costo che Marta Fana e Michele Raitano quantificano nel seguente modo: “il costo “di competenza” per il 2015 per le casse dello stato relativo alla decontribuzione, al lordo delle maggiori entrate Ires, ammonta a 3,422 miliardi. Ipotizzando che tutti i contratti durino per l’intera durata degli sgravi, quindi 36 mesi, il costo complessivo della misura, per l’intero periodo in cui resterà in vigore, ammonterebbe a circa 22,6 miliardi di euro”. Non necessariamente tutti i contratti dureranno 36 mesi, per cui una stima più cautelativa, sempre ad opera di Fana e Raitano, prevede una spesa complessiva intorno ai 14 miliardi di euro.
Vi pare un successo spendere indicativamente 14 miliardi di euro per trasformare dei contratti a tempo determinato in contratti “a tempo indeterminato” che possono essere rescissi a piacimento e per introdurre nuove forme di precariato?!? Eppure il Jobs Act ha avuto anche un altro effetto.

classe di retribuzione

Elaborazioni su dati INPS

Dal grafico si vede che, nel 2016 (linea rossa), le retribuzioni medie dei nuovi contratti sono diminuite rispetto all’anno precedente (linea blu) ed anche rispetto al 2014 (linea verde). In base alla teoria economica, con la disoccupazione tendenzialmente in calo, i salari e gli stipendi dovrebbero aumentare, invece sono diminuiti. Perché? Il Jobs Act, riducendo le garanzie dei lavoratori, ha contribuito a ridurre la conflittualità e conseguentemente i salari e gli stipendi sono diminuiti in base al principio: “o ti accontenti di prendere meno, o ti caccio”.
In sintesi: grazie il Jobs Act stiamo spendendo indicativamente 14 miliardi per trasformare dei contratti a tempo determinato in contratti “a tempo indeterminato” (solo nominalmente), aumentare a dismisura il precariato costituito dai voucher (che creerà grossi problemi al sistema pensionistico) e, soprattutto, per ridurre i salari e gli stipendi.
Non c’è che dire: proprio un successo (si fa per dire)… o si voleva proprio quello?!?

Ingegner Caustico


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