Analisi e studi
Jerome Powell non vede ragioni per ridurre i tassi, per ora. Perché la BCE dovrebbe agire diversamente
Jerome Powell rinvia al futuro i tagli, ed effettivamente l’inflazione risulta resistente e la crescita ancora presente negli USA. In Europa le cose vanno in modo diverso
Il Presidente della Federal Reserve Jerome Powell mercoledì ha affermato che ci vorrà un po’ di tempo prima che i responsabili politici valutino lo stato attuale dell’inflazione, mantenendo incerta la tempistica dei potenziali tagli dei tassi di interesse.
Parlando in particolare delle pressioni sui prezzi più forti del previsto all’inizio dell’anno, il leader della banca centrale ha confermato che lui e i suoi colleghi funzionari non hanno fretta di allentare la politica monetaria.
“Per quanto riguarda l’inflazione, è troppo presto per dire se le recenti letture rappresentino qualcosa di più di un semplice evento estemporaneo”, ha detto Powell nelle osservazioni prima di una sessione di domande e risposte all’Università di Stanford.
“Non ci aspettiamo che sia appropriato abbassare il nostro tasso di politica finché non avremo maggiore fiducia che l’inflazione si stia muovendo in modo sostenibile verso il 2%”, ha aggiunto. “Data la forza dell’economia e i progressi compiuti finora in materia di inflazione, abbiamo tempo per lasciare che i dati in arrivo guidino le nostre decisioni sulla politica”.
Le osservazioni giungono due settimane dopo che il Comitato federale per il mercato aperto ha votato nuovamente per mantenere fermi i tassi di riferimento a breve termine. Inoltre, la dichiarazione post-riunione del Comitato del 20 marzo ha incluso il qualificatore “maggiore fiducia”, necessario prima del taglio.
Desiderio e realtà
I mercati si aspettano ampiamente che il FOMC inizi ad allentare la politica quest’anno, anche se hanno dovuto ricalibrare le loro previsioni sulla tempistica e sull’entità dei tagli, dato che l’inflazione si è mantenuta ostinatamente più alta. L’inflazione rilevata è del 3,2% , ben superiore al 2% obiettivo della Fed
La misura dell’inflazione preferita dalla Fed, l’indice dei prezzi delle spese per i consumi personali, ha mostrato un tasso a 12 mesi del 2,5% per febbraio, o del 2,8% per la misura centrale che esclude cibo ed energia. Praticamente tutti gli altri indicatori di inflazione mostrano tassi superiori al 3%. Quindi i dati sono tali che possono accadere, almeno in teoria, solo due cose:
- La Fed non abbassa i tassi, o meglio rinvia quesot momento al futuro più o meno remoto;
- la Fed cambia i propri obiettivi inflazionistici perché considera l’inflazione al 2% non compatibile con gli obiettivi di occupazione e crescita, cosa che potrebbe anche accadere, ma comunque non subito
Per ora la Fed non sembra avere intenzione di ridurre i tassi e quuesta mossa potrebbe perfino essere rinviata al marzo 2025. I mercati sono, ovviamente, costernati e molta della crescita che si è vista sino ad ora, basata sull’aspettativa di taglio dei tassi, potrebbe scomparire, magari… aprendo la strada al taglio stesso.
Powell ha ribadito che le decisioni vengono prese “riunione per riunione” e ha osservato solo che i tagli sono “probabilmente appropriati… ad un certo punto di quest’anno”.
L’Europa è diversa, ma la BCE non è abbastanza umile per ammetterlo
In Europa le cose vanno diversamente. L’inflazione è molto più bassa, molto vicina al limite del 2% che anche la BCE fissa come obiettivo,
Non solo, la crescita nell’area euro è a zero, letteralmente zero, da due trimestri su base annua. L’intervento della BCE sarebbe necessario, anche perché i tassi reali sono alti, troppo alti, e questo sta evidentemente danneggiando l’economia.
Il problema è che la BCE non ha l’auonomia intellettuale sufficiente per prendere una decisione del genere. Inoltre l’inflazione in Germania, la deus e machina di tutta la questione, è ancora sopra il 2%. Questo rendo il necessario, quasi indispensabile, taglio, rinviato nel tempo.
La BCE aspetta qualche segnale dalla Feeed, ma questa decisione rischia di essere devastante per la nostra economia.
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