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ISDS: la “spada” delle multinazionali contro i Paesi europei (se verrà approvato il TTIP)

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Prendo spunto dall’ottimo articolo di C. A. Mauceri su verità e bugie riguardo al TTIP per esaminare più approfonditamente il problema da lui accennato dell’ISDS, ovvero l’Investor-State Dispute Settlement. L’ISDS è definibile come un accordo fra i contraenti del trattato, i quali si impegnano a risolvere le controversie fra imprenditori e Stati, nate o che abbiano comunque influenza sull’applicazione dello stesso, attraverso un procedimento di tipo arbitrale, riconoscendo valore di sentenza inappellabile alla decisione presa dagli arbitri.

A prima vista sembra una cosa tutto sommato positiva: in fondo cosa c’è di diverso rispetto alle normali clausole arbitrali che ormai sono comuni in quasi tutti i contratti che gli operatori economici stipulano? Se una controversia viene risolta da arbitri, non è un fatto positivo, visto i tempi procedurali di un’azione giudiziaria? Non è meglio un organo ad hoc, snello flessibile e soprattutto super partes, a cui le parti affidano la controversia, considerando soprattutto che i soggetti coinvolti sono Stati e quindi ci sarebbero oggettivi problemi di imparzialità degli organi giudicanti con il pericolo di decisioni “politiche” a sfavore delle imprese di uno Stato contraente?

Ed in effetti questo è stato il persuasivo ragionamento che ha fatto sì che l’ISDS venisse salutato positivamente dagli addetti ai lavori e dagli stessi politici dei Paesi interessati: ad esempio per il NAFTA molti funzionari e politici canadesi credettero seriamente, come riferisce Todd Weiler in “Arbitral & Judicial Decision: The Ethyl Arbitration: First of Its Kind and a Harbinger of Things to Come” che le previsioni dell’ISDS inserite nel trattato sarebbero state utilizzate esclusivamente dalle imprese canadesi e nord-americane per contrastare misure arbitrarie (come nazionalizzazioni, espropriazioni o imposizione di vincoli e dazi) da parte del governo messicano. Uno “scudo” insomma, per difendere gli investitori dalla prepotenza di Nazioni poco democratiche ed aperte agli scambi. Ed invece, come riporta Ray C. Jones nel suo “NAFTA Chapter 11 Investor-to-State Dispute Resolution: A Shield to Be Embraced or a Sword to Be Feared?” “Chapter 11 (il capitolo del Trattato che istituisce l’arbitrato) has become a “sword” for investors, allowing them to attack the NAFTA countries, rather than the “shield” it was intended to be.“(grassetto mio).

La cosa più ironica è che, come risulta dall’esame storico dei casi affrontati attraverso questo procedimento arbitrale, la maggioranza di questi hanno coinvolto come parte chiamata a rispondere delle violazioni gli Stati Uniti ed il Canada, ovvero quegli Stati che ritenevano l’ISDS una protezione dal Messico!

Il problema grave però non sta in questo, bensì nel contenuto delle azioni che questa “spada” ha legittimato e permesso: l’ISDS è stato un arma per contrastare legittime politiche dei Paesi aderenti contro lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali o per difendersi da azioni pericolose per la salute dei cittadini. Di più: le azioni si sono rivolte anche contro decisioni di policy economica ed utilizzate persino in via preventiva per impedire l’approvazione di norme in contrasto con gli interessi economici delle imprese, stabilendo così un vero e proprio diritto al profitto, legislativamente tutelato con sanzioni, diritto considerato SUPERIORE ad ogni altro diritto sociale. Un esponente del Governo canadese, intervistato dal Guardian, ha detto a proposito del NAFTA: “Negli ultimi cinque anni ho visto piovere sulla mia scrivania lettere di studi di avvocati di New York e Washington, i quali intimano al governo canadese di non applicare nuove leggi o proposte di legge in materia ambientale. Dai prodotti chimici per lavaggio a secco ai farmaci, dai pesticidi alle leggi brevettuali, in pratica tutte le nuove iniziative politiche in questo campo sono state prese di mira e, per lo più, silurate“.

Secondo un report dell’UNCTAD (qui in originale), un ente delle Nazioni Unite che è l’organo principale dell’Assemblea per gli aspetti legati al commercio ed allo sviluppo, con gli accordi per regolamentare le dispute fra Stati ed aziende, ovvero gli accordi come quelli previsti nel NAFTA o nel TTIP, gli investitori stranieri hanno intentato cause contro un largo ventaglio di misure governative, chiedendo la modifica di regolamenti interni riguardanti il gas, il nucleare, lo commercializzazione dell’oro e i cambi, le revoca di licenze ed autorizzazioni (nel settore minerario, delle telecomunicazioni e del turismo), il ritiro di sovvenzioni (per esempio nel settore dell’energia solare) e per espropri. Questo è l’incremento delle controversie sollevate contro gli Stati da multinazionali ed aziende:

ISDS

Il numero totale è dato dalla lunghezza complessiva della barra: la differenzazione riguarda solo le controversie presentate davanti all’ICSID (Centre for Settlement of Investment Disputes) (segmento in rosso) o davanti ad altri organismi di conciliazione (segmento in grigio). Come si vede, man mano che gli accordi, bilaterali o multilaterali, prevedono questo tipo di risoluzione, l’incremento delle cause sale notevolmente. Nel 2013 si è avuto un picco di 59 nuovi casi, mentre nel 2014 sono scesi a 42. Come riferisce anche Maugeri non sempre questi arbitrati sono stati risolti a favore degli Stati: secondo l’UNCTAD, su un numero complessivo di 356 procedimenti conclusi entro la fine del 2014:
– il 37% (132 casi) si è concluso a favore dello Stato, con le tutte le richieste respinte per motivi di competenza giurisdizionale o di merito;
– il 28% (101 casi) è stato risolto (senza una decisione);
– il 25% (87 casi) si è concluso favorevolmente per l’investitore, con la concessione di un risarcimento pecuniario;
– l’8% (29 casi) è stato sospeso per motivi diversi dalla composizione o per cause ignote;
– il 2% (7 casi) si è concluso favorevolmente per l’investitore, ma non è stato concesso alcun risarcimento pecuniario.

Se le risoluzioni appaiono bilanciate quello che i numeri non dicono sono i contenuti delle decisioni che hanno visto soccombere lo Stato. Ecco un esempio emblematico riportato dal giornalista Maurizio Blondet: l’Argentina, durante la sua crisi finanziaria, ha congelato le bollette di acqua ed elettricità, che salivano alle stelle. Ma aveva privatizzato i settori (come raccomanda il FMI), che ora erano in mano alle multinazionali dei servizi acqua-luce-gas. Queste mega imprese hanno portato in giudizio Buenos Aires perché, appunto, aveva ridotto i loro profitti impedendo loro di rincarare le tariffe. Ebbene: l’Argentina è stata condannata a pagare un miliardo di dollari di indennità.

E’ interessante riportare anche un caso esaminato da Jones nel suo articolo, quello di “Ethyl v/s Canada”, come esempio di controversia indicata come “risolta” dall’UNCTAD: la Ethyl Corporation è una società multinazionale chimica con sede in Virginia. Essa è la principale produttrice americana di tricarbonil metilciclopentadienil manganese (MMT), usato come additivo nei carburanti per migliorare le performance dei motori. La sussidiaria canadese della Ethyl importava in Canada tale prodotto per venderlo alle raffinerie locali. Nell’aprile del 1997 il Parlamento canadese propose di bandire il MMT perché degli studi avevano dimostrano una certa evidenza di pericolo per la salute all’esposizione di tale prodotto: prima che la legge venisse approvata la Ethyl sollevò la questione attraverso il Capitolo 11 del NAFTA, lamentando che una tale legge avrebbe significato di fatto una “espropriazione”, come definita dall’art. 1110 del trattato, se si fosse impedito di esportare il MMT in Canada senza prevedere un giusto risarcimento. Quando il Parlamento approvò tale legge la Ethyl attivò il procedimento arbitrale chiedendo un risarcimento di 251 milioni di dollari. Poiché le eccezioni procedurali sollevate dal governo canadese furono respinte e la corte arbitrale confermò la legittimità dell’azione proposta, prima ancora che i giudici entrassero nel merito della questione il Canada revocò la legge approvata, permettendo alla Ethyl di riprendere le sue operazioni e pagò a questa a titolo di rimborso delle spese legali e risarcimento la somma di 13.000.000 di dollari! In questo caso quindi il legittimo diritto di un Paese di difendere la salute dei propri cittadini da esposizioni a sostanze potenzialmente dannose ha ceduto il passo al diritto di fare i propri affari di una multinazionale, per evitare di pagare dei danni che avrebbero portato ad un esborso estremamente gravoso per le casse dello Stato.

Ecco invece una soluzione che ha visto prevalere l’interesse pubblico: il governo australiano, dopo dibattito parlamentare, ha obbligato i fabbricanti di sigarette a confezionare i pacchetti con colori anonimi con scritte dissuasive del tipo «Il fumo provoca cancro al polmone» e soprattutto immagini raccapriccianti di danni da tumore. Ma gli studi legali della Philip Morris, scoperto che l’Australia aveva firmato un accordo di libero scambio con Hong Kong, si sono appellati ad un tribunale per il diritto commerciale internazionale esigendo un risarcimento miliardario per la perdita di quello che la Philip Morris chiama «la sua proprietà intellettuale», ossia il design dei suoi pacchetti di sigarette. Il Tribunale ha dato ragione all’Australia ed i pacchetti anonimi sono la normalità in quel Paese.

Naturalmente il fatto che l’ISDS sia uno strumento di pressione e ricatto nei confronti delle politiche degli Stati deriva dal contenuto degli accordi che questi Stati hanno sottoscritto: il problema principale è che i trattati di libero scambio, come quello che si vorrebbe concludere fra UE e USA, mettono sullo stesso piano politiche nazionali ed interessi privati delle imprese, tolgono quella sovranità statuale che si esplica attraverso l’imposizione di regole per il bene comune, anche in contrasto con l’interesse privato del singolo. Quello che è un principio fondante delle costituzioni democratiche, ovvero il limite del bene pubblico alla libertà del privato, limite che nella nostra Costituzione si esplica attraverso l’art. 41, per cui l’iniziativa privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana, viene sostituito dal principio della totale libertà dell’impresa al perseguimento del suo scopo, ovvero fare profitto, dal principio della giustezza sempre e comunque dell’agire economico, che diventa un diritto assoluto e quindi sempre lecito. Di fronte a tale diritto quasi “sacralizzato”, ogni altro diritto personale o sociale deve cedere il passo, o, se proprio non è possibile, lo Stato, che per compito istituzionale difende e tutela i suoi cittadini, deve comunque risarcire l’illegittima compressione, l’illecito ed interferente contrasto fra questi diritti sociali, quasi trattati con fastidio come “minori” (come quelli alla salute, alla sicurezza, alla dignità…), ed il diritto alla piena esplicazione dell’attività economica delle imprese.

Questo totale stravolgimento dei principi democratici sociali, in nome della facilità e sicurezza degli scambi economici, è il fattore che rende così pericolosi i trattati di libero scambio come il TTIP e letale come un’arma l’ISDS: questo infatti diventa il mezzo con cui le imprese multinazionali trovano la piena e totale vittoria contro uno Stato che si è fatto ingolosire dalle promesse di sviluppo e crescita senza capire che quello che veniva offerto non era il benessere per tutti, ma la perdita di diritti per molti. A cominciare da quello ad un salario dignitoso: come riferisce l’Associazione Oscar Romero che da anni monitora gli effetti del Trattato di libero scambio nordamericano “grazie al NAFTA quasi 400 mila posti di lavoro sono stati persi negli Stati Uniti ed i lavoratori guadagnano mediamente solo il 77% di quanto guadagnavano prima dell’entrata in vigore del trattato; in Messico, dall’inizio del NAFTA, circa 10 milioni di messicani guadagnano meno del salario minimo e 8 milioni di famiglie si sono spostate dalla classe media a quella bassa“.

In Europa, grazie soprattutto alle resistenze della Francia e dell’opinione pubblica europea nettamente contraria, cosa che preoccupa non poco i politici europei, siamo ancora in tempo ad evitare questo tranello. Facciamoci quindi sentire e cerchiamo di informare quelli che ancora non sanno cos’è il TTIP e la sua “spada” l’ISDS, per non diventare sudditi delle multinazionali in nome di un supposto salvifico libero mercato.


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