Analisi e studi
Industria tedesca: un altro mese in rosso. La ripresa? Un miraggio, senza riforme strutturali
Industria tedesca, la crisi non si ferma: ordini in calo per il quarto mese di fila. L’impatto dei dazi USA e la debolezza globale mettono in ginocchio il motore d’Europa, e i piani di spesa del governo potrebbero non bastare.
Pessime notizie per l’industria tedesca, provenienti dai nuovi ordini. Dopo il breve e illusorio boom di inizio anno, drogato dalla corsa ad anticipare le tariffe statunitensi, i portafogli ordini sono tornati al punto di partenza: desolatamente vuoti. E mentre qualche analista si aggrappa a flebili segnali di speranza, il quadro generale rimane tutt’altro che incoraggiante.
I numeri parlano chiaro: una caduta che non si arresta
L’agenzia statistica federale, Destatis, ha messo nero su bianco una realtà difficile da ignorare. Gli ordini industriali ad agosto sono calati dello 0,8% rispetto a luglio, segnando il quarto calo consecutivo e deludendo profondamente le attese degli analisti, che prevedevano un rimbalzo dell’1,2%.
Ma il dato, già di per sé negativo, nasconde una verità ancora più amara. Se si escludono gli ordini di valore elevato (spesso volatili, come quelli nel settore della difesa), il dato “core” sprofonda a un ben più preoccupante -3,3%.
Ecco il relativo grafico:
La debolezza è diffusa e colpisce settori chiave dell’economia tedesca:
- Beni di consumo: Un brusco calo, che include anche il settore farmaceutico, ha annullato i timidi guadagni dei mesi precedenti.
- Beni strumentali: Prosegue il declino costante, riflesso della scarsa propensione agli investimenti delle imprese, sia in Germania che all’estero, a causa del clima di incertezza globale.
- Industria automobilistica: Ancora una volta, il settore auto si conferma l’epicentro della debolezza, contribuendo in modo determinante al calo generale.
Come sottolinea Ralph Solveen, economista di Commerzbank, “uno dei motivi sembra essere il significativo aumento dei dazi doganali statunitensi, che stanno chiaramente frenando la domanda”. Con tariffe fissate al 15% sulla maggior parte dei prodotti, l’impatto si fa sentire pesantemente.
Il “Fuoco di paglia” delle esportazioni anticipate
Carsten Brzeski, capo economista di ING, va dritto al punto: il momentaneo andamento positivo visto nei primi mesi del 2025 è stato quasi interamente un effetto ottico. Le aziende, per sfuggire alla scure dei dazi di Trump, hanno semplicemente anticipato le esportazioni verso gli Stati Uniti. “Di fatto, il portafoglio ordini è tornato ai livelli di inizio anno. La recessione industriale continua”, afferma Brzeski, definendo senza mezzi termini i portafogli ordini come “vuoti”.
Dopo il crollo dell’indice Ifo sulla fiducia delle imprese, questo dato rappresenta un’altra “doccia fredda” per chi sperava in una ripresa.
Un barlume di speranza o un’altra illusione?
In questo quadro desolante, un solo dato brilla, seppur debolmente. Mentre gli ordini provenienti dall’estero (specialmente dall’area extra-UE) crollano, la domanda interna ha registrato un notevole aumento ad agosto.
Secondo Brzeski, questo potrebbe essere il primo, timido riflesso dei piani di spesa su larga scala in infrastrutture e difesa annunciati dal nuovo governo del Cancelliere Friedrich Merz. Dopo due anni di contrazione, l’esecutivo di Grande Coalizione tenta la carta keynesiana per stimolare la crescita, rivedendo al rialzo le previsioni per il PIL di quest’anno a un modesto +0,2%.
Tuttavia, gli stessi analisti che notano questo segnale positivo mettono in guardia: senza riforme strutturali profonde per affrontare i problemi di competitività del Paese, l’iniezione di spesa pubblica rischia di rivelarsi un “successo di breve durata”. Le imprese rimangono scettiche e i disaccordi interni alla coalizione, con il partito AfD che continua a primeggiare nei sondaggi, non aiutano a creare un clima di fiducia. Tra l’altro gran parte degli investimenti riguardano il settore militare, con ricadute minime nell’economia reale.
La sintesi di Commerzbank è lapidaria: una ripresa economica duratura non è prevista prima del prossimo anno, e solo grazie agli stimoli del governo. Ma senza riforme, sarà solo un fuoco di paglia.
Domande & Risposte per i Lettori
1. Quali sono i principali fattori esterni che stanno danneggiando l’industria tedesca?
I due principali fattori esterni sono la politica commerciale degli Stati Uniti e l’evoluzione dell’economia cinese. Gli USA hanno imposto dazi doganali del 15% su molti prodotti, frenando direttamente le esportazioni tedesche. Questo ha creato un effetto “muro commerciale” con un partner storico. La Cina, invece, si sta trasformando da grande cliente a temibile concorrente in settori ad alto valore aggiunto, come l’automotive elettrico. Questa doppia pressione, da parte di due dei maggiori mercati mondiali, sta mettendo in seria difficoltà il modello economico tedesco basato sull’export.
2. Perché il dato sulla domanda interna è considerato un “barlume di speranza”?
In un contesto di crollo degli ordini esteri, l’aumento della domanda interna ad agosto è l’unico segnale positivo. Questo suggerisce che la debolezza non sia totale e che il mercato tedesco stesso possa iniziare a sostenere la propria industria. Gli analisti lo collegano ai nuovi piani di spesa pubblica del governo in settori come infrastrutture e difesa. Se le aziende tedesche iniziano a ricevere commesse per grandi progetti nazionali, questo potrebbe parzialmente compensare la debolezza delle esportazioni e fornire una base per una timida ripresa economica.
3. La spesa pubblica del governo tedesco sarà sufficiente a risolvere la crisi?
Secondo la maggior parte degli analisti, no. L’aumento della spesa pubblica può fornire uno stimolo a breve termine, creando domanda e sostenendo la produzione (un approccio “keynesiano”). Tuttavia, non risolve i problemi strutturali di lungo periodo della Germania: alti costi dell’energia, eccessiva burocrazia, ritardi nella digitalizzazione e una crescente perdita di competitività in settori chiave. Senza riforme profonde che affrontino questi nodi, l’effetto della spesa pubblica rischia di esaurirsi rapidamente, lasciando l’economia nelle stesse condizioni di fragilità di prima.
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