Attualità
IN RICORDO DI DANTE ALIGHIERI, GIUSEPPE PALMA PRESENTA IL IV° SPECIALE: “VITA DI DANTE”
IN OCCASIONE DEL 750esimo ANNIVERSARIO
DELLA NASCITA DI DANTE ALIGHIERI
(maggio/giugno 1265 – maggio/giugno 2015)
SCENARI ECONOMICI
pubblica il IV° ed ultimo SPECIALE:
“IN RICORDO DI DANTE ALIGHIERI,
Giuseppe PALMA
PRESENTA
VITA DI DANTE”
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PREMESSA
Questo è il quarto ed ultimo speciale che Scenari Economici (sito di economia e finanza sul quale scrivo in merito a temi economici, giuridici e politici) mi ha gentilmente concesso la facoltà di pubblicare in occasione del 750esimo anniversario della nascita di Dante Alighieri.
Gli altri tre speciali che ho scritto hanno riguardato: 1) un commento al V Canto dell’Inferno (https://scenarieconomici.it/in-ricordo-di-dante-alighieri-giuseppe-palma-commenta-il-v-canto-dellinferno/); 2) un commento al XXXIIIesimo Canto del Paradiso (https://scenarieconomici.it/in-ricordo-di-dante-alighieri-giuseppe-palma-commenta-il-xxxiiiesimo-canto-del-paradiso/), 3) un commento al Sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” tratto da La Vita Nova (https://scenarieconomici.it/in-ricordo-di-dante-alighieri-giuseppe-palma-commenta-il-sonetto-tanto-gentile-e-tanto-onesta-pare/).
L’ultimo speciale che presento in onore della prestigiosa ricorrenza riguarda invece la
VITA DI DANTE
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Dante nacque a Firenze nel 1265, probabilmente in una data compresa tra il 21 maggio ed il 21 giugno (forse a fine maggio), infatti nel Paradiso si legge (Canto XXII, vv. 151-154): “L’aiuola che ci fa tanto feroci, / volgendom’ io con li etterni Gemelli, / tutta m’apparve dà colli a le foci; / poscia rivolsi li occhi a li occhi belli”, quindi, con ogni probabilità, il Sommo Poeta nacque sotto il segno zodiacale dei “Gemelli”. Nei documenti il nome riportato è Durante Alagherii (o con il gentilizio de Alagheriis), mentre la variante Alighieri si affermò col Boccaccio.
La sua famiglia era di appartenenza Guelfa (sostenitori del potere temporale del Papa), in contrapposizione alla fazione politica rivale dei Ghibellini (convinti sostenitori del potere dell’imperatore e contrari a qualsiasi ingerenza del Papa negli affari politici e di Stato). Il padre di Dante era Alighiero di Bellincione, mentre la madre si chiamava Bella (Gabriella) degli Abati. Questa morì quando Dante aveva tra i cinque e gli otto anni e Alighiero si risposò con Lapa di Chiarissimo Cialuffi dalla quale ebbe due figli: Francesco e Tana. Forse la coppia, secondo quanto sostenuto da Giovanni Boccaccio, ebbe anche un’altra figlia andata poi in sposa al banditore fiorentino Leone Poggi, ma potrebbe anche essere stata figlia di Bella degli Abati.
Da ragazzo Dante poté frequentare una delle scuole private della città (forse quella di un tale Romano, doctor puerorum) studiando il trivio (grammatica, retorica e dialettica) e il quadrivio (aritmetica, musica, geometria e astronomia), ma la sua vastissima cultura è frutto soprattutto di uno studio da autodidatta. Risulta invece non accertata un’eventuale frequenza universitaria, anche se Boccaccio scrive: “Se n’andò a Parigi e quivi ad udire filosofia naturale e teologia si diede”, notizia confermata dal Villani, secondo il quale – oltre a frequentare la Sorbona – il Poeta avrebbe frequentato anche l’antica e prestigiosa Università di Bologna: “Colla detta parte bianca fu cacciato e sbandito da Firenze e andossene allo studio di Bologna e poi a Parigi”.
Quando Dante aveva dodici anni suo padre concordò con la famiglia dei Donati il matrimonio con Gemma, figlia di ser Manetto Donati. I due convolarono a nozze molto probabilmente nel 1285 quando il Poeta aveva vent’anni, ed ebbero tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia. Quest’ultima divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, mentre si discute ancora oggi su un eventuale quarto figlio, Giovanni, ma non si hanno certezze a riguardo. Nella cornice politica fiorentina della fine del XIIIesimo secolo Dante era schierato dalla parte dei “Guelfi Bianchi” con a capo la famiglia dei Cerchi, mentre Gemma apparteneva alla famiglia più importante della fazione contrapposta dei “Guelfi Neri”, i Donati. Di Gemma non si conosce quasi nulla, neppure la sua data di nascita, tant’è che lo stesso Dante non ci ha mai fornito alcuna notizia sulla moglie, infatti neppure un verso è a lei dedicato e nessun riferimento è fatto nelle sue Opere. Per quanto riguarda la morte di Gemma, su alcuni testi è riportato che sarebbe defunta tra il 1329 ed il 1332 in quanto, nel 1329, avrebbe reclamato alle autorità fiorentine la sua parte di dote relativa ai beni confiscati al marito, tuttavia un atto notarile del 1332 la considera già morta. Altri, invece, danno alla morte di Gemma una data certa quale quella del 9 gennaio 1343.
Una volta sconfitti i Ghibellini (nella battaglia di Campaldino del giugno 1289), inflessibili sostenitori dell’imperatore e contrari a qualsiasi ingerenza politica della Chiesa di Roma negli affari di Stato, nella Firenze a cavallo tra il XIIIesimo ed il XIVesimo secolo convivevano due opposte fazioni denominate, appunto, “Guelfi Bianchi” e “Guelfi Neri”. Seppur entrambi sostenitori del potere temporale del Papa, i primi prevedevano delle limitazioni all’eccessiva ingerenza politica della Chiesa negli affari della Repubblica ed erano aperti alle forze popolari, mentre i secondi rappresentavano gli interessi delle famiglie più ricche di Firenze ed erano fanatici sostenitori del potere temporale del Pontefice, senza alcuna limitazione alle ingerenze di quest’ultimo negli affari dello Stato.
Nonostante una iniziale suddivisione del potere tra le due fazioni, in principio i “Guelfi Bianchi” ebbero la meglio, infatti, con l’entrata in vigore dei regolamenti di Giano della Bella (Ordinamenti di Giustizia promulgati tra il 1293 ed il 1295), l’antica nobiltà fiorentina fu quasi del tutto esclusa dalla politica permettendo ai ceti medi (soprattutto al ceto mercantile) di ottenere ruoli nella Repubblica a condizione di essere iscritti ad un’Arte, e Dante si iscrisse all’Arte dei Medici e Speziali. Non si conoscono con esattezza i ruoli politici ricoperti dal Poeta, ma le fonti ci riportano che egli fece parte tra il 1295 e il 1301 del Consiglio del popolo, del gruppo dei “Savi”, del Consiglio dei Cento e – dal 15 giugno al 15 agosto del 1300 – fu anche uno dei sei Priori, cioè i massimi rappresentanti delle Arti a cui ciascuno era immatricolato (i Priori erano i più alti esponenti del Governo della Signoria).
Nonostante fosse un “Guelfo Bianco” e quindi un sostenitore del potere temporale (seppur limitato) del Papa, Dante osteggiò sempre le ingerenze politiche di Bonifacio VIII. Quest’ultimo, nel 1300, inviò a Firenze il cardinale Matteo Bentivegna dei Signori d’Acquasparta in qualità di legato apostolico con il compito, solo apparente, di fare da paciere tra le due opposte fazioni, ma in realtà con l’incarico di ridimensionare il potere dei “Guelfi Bianchi” che in quel momento erano molto più potenti rispetto ai “Neri”. Dante, che in quel periodo rivestiva una carica pubblica, cercò di ostacolare il cardinale che mosse un esercito da Lucca (esercito lucchese) verso Firenze in aiuto dei Donati. L’esercito del cardinale fu bloccato alle porte del territorio fiorentino e i “Guelfi Bianchi” fortificarono la loro supremazia sui “Neri”.
Il declino politico di Dante iniziò quando, in qualità di membro del Consiglio dei Cento, fu tra i promotori del provvedimento che mi piace definire delle “teste calde”, consistente nell’allontanamento dei capi più accesi delle due opposte fazioni (teste calde appunto) che furono confinati ai due estremi della Toscana. Il provvedimento si rivelò inopportuno e dannoso, tant’è che i capi dei “Guelfi Neri” tornarono a Firenze provocando quasi un colpo di mano a danno dei “Bianchi”, i quali, nel frattempo, a causa di quello scellerato provvedimento si trovarono senza leader carismatici e d’azione. Dante attirò quindi verso di sé l’odio dei “Guelfi Neri” e la pesante diffidenza dei “Guelfi Bianchi”: da quel momento – su sua stessa ammissione – iniziò la sua rovina.
Dopo la sconfitta del cardinale Matteo d’Acquasparta nel 1300, Papa Bonifacio VIII chiese aiuto al Re di Francia Filippo IV denominato “Il Bello”, il quale, verso la fine del 1301 inviò a Firenze un esercito con a capo suo fratello, Carlo di Valois, con lo scopo ufficiale di redimere i contrasti tra Guelfi “Bianchi” e “Neri”. In realtà il compito di paciere, anche in questo caso, nascondeva il vero intento di Bonifacio VIII di voler fortemente ridimensionare il potere dei “Bianchi” a vantaggio dei “Neri”. Carlo di Valois entrò a Firenze il 1° novembre 1301 (giorno di Ognissanti) e la città inviò un’ambasciata a Roma composta da Dante Alighieri, Maso Minerbetti e Corazza da Signa per cercare una mediazione con il Pontefice. Mentre Dante si trovava a Roma trattenuto proprio dal Papa, Carlo di Valois – al primo pretesto – scatenò l’inferno in città e nominò Podestà di Firenze (il 9 novembre 1301) Cante dei Gabrielli di Gubbio (Cantuccio), nel rispetto delle indicazioni di Bonifacio VIII. Cantuccio, invece di cercare una soluzione pacifica per tentare una conciliazione tra le due opposte fazioni, iniziò una terribile persecuzione nei confronti dei “Guelfi Bianchi” che si risolse con la loro uccisione o con l’esilio. Dante, che nel frattempo si trovava a Roma (forse in viaggio di rientro verso Firenze), fu raggiunto dalle notizie che arrivavano dalla sua città e decise di non rientrare perché conscio che gli avrebbero fatto la pelle. Il 27 gennaio 1302 fu condannato al pagamento della pena pecuniaria di cinquemila fiorini, all’interdizione dai pubblici uffici e all’esilio per un periodo di due anni, ma non pagò la multa quindi il 10 marzo – con le accuse di baratteria, concussione, estorsione ed opposizione sediziosa alla politica papale – il Podestà di Firenze lo condannò a morte sul rogo e alla confisca dei suoi beni. Il Poeta non fece mai più ritorno nella sua città (il provvedimento di condanna a morte e confisca dei beni produsse effetti anche nei confronti dei figli maschi una volta divenuti maggiorenni, i quali raggiunsero il padre in esilio accompagnati dalla sorella, che essendo di sesso femminile non fu destinataria dei medesimi effetti).
La sua vita fiorentina è caratterizzata, oltre che dalle vicissitudini politiche, anche dall’amore per Beatrice Portinari (vedesi a tal proposito il III° speciale che ho scritto in occasione del 750esimo anniversario della nascita del Poeta), che andò in sposa al banchiere Mone de’ Bardi e alla quale è dedicata La Vita Nova.
Alighieri non volle però rassegnarsi alla sorte che la sua Firenze gli aveva destinato. A seguito di fallimentari colpi di mano del 1302, organizzò, in qualità di capitano dell’esercito degli esuli ed insieme a Scarpetta degli Ordelaffi, signore di Forlì e capo del partito ghibellino (presso il quale Dante fu ospite per un certo periodo durante il suo esilio), un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. Nella battaglia presso Castel Puliciano del 1303 si affrontarono da una parte gli esuli fiorentini appartenenti alla fazione dei “Guelfi Bianchi” alleati in quella circostanza con i “Ghibellini” di Forlì e capitanati da Scarpetta degli Ordelaffi, dall’altra i “Guelfi Neri” di Firenze con a capo il loro Podestà Fulcieri da Calboli: i “Guelfi Neri” sconfissero gli “Esuli Bianchi” ed il tentativo di rientrare a Firenze fallì.
Una volta in esilio Dante trovò l’ospitalità, oltre che di Scarpetta degli Ordelaffi di Forlì, anche di numerose corti e famiglie soprattutto nel Veneto, dove fu accolto dai Della Scala a Verona e a Padova dagli Scrovegni; quindi a Bologna e forse anche a Parigi (come sopra evidenziato), ed infine presso la corte di Guido Novello da Polenta a Ravenna dove morì tra il 13 ed 14 settembre 1321. L’opinione prevalente è che Dante fu inviato a Venezia, in qualità di ambasciatore, per redimere alcuni contrasti tra questa e Forlì. Si ritiene che la scelta dell’ambasceria ricadde su di lui in quanto amico degli Ordelaffi, signori di Forlì, e per le sue capacità politiche ed oratorie. Il Poeta, al ritorno da Venezia, contrasse la malaria durante il passaggio dalle paludose valli di Comacchio. Sulla morte di Dante (causata probabilmente dalla malaria), così come un po’ su tutta la sua vita, non si posseggono notizie certe, quindi non è possibile ad oggi fornire una risposta esaustiva sulle reali cause del decesso del Poeta. A Ravenna, ancora oggi, si trova la sua tomba.
Delle sue principali Opere si segnalano: La Vita Nova, la Commedia, il Convivio, il De Monarchia e il De vulgari eloquentia. Coloro che volessero disporre di un breve ma esaustivo riassunto del contenuto delle predette Opere, potranno leggere il mio libro intitolato: “Dante Alighieri e la cultura dell’Amore […]”, edito da GDS nel luglio del 2010.
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Un’ultima considerazione merita anche una diversa chiave di lettura dell’epoca storica in cui visse il Sommo Poeta: il Medioevo. Gli storici, ancora oggi, definiscono tale era come buia ed arretrata. Personalmente ritengo di dover dissentire con tale definizione in quanto, considerata la grandezza delle gesta e delle opere di alcuni uomini del tempo, l’oscurità e l’arretratezza non sono – in realtà – i sostantivi esatti per definire l’era medievale. Semmai sono i tempi d’oggi ad essere bui e senza meta. Il Medioevo ha espresso, oltre a Dante, personaggi dello spessore di San Francesco d’Assisi, Federico II di Svevia, Gioacchino da Fiore, Vittorino da Feltre, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Cino da Pistoia, Giotto, Piero della Francesca e tantissimi altri… E non è un caso che proprio con quest’ultimo [morto a Borgo del Santo Sepolcro (oggi Comune di Sansepolcro in provincia di Arezzo) il 12 ottobre 1492, giorno della scoperta dell’America] si chiuda il Medioevo: un’era grandiosa soprattutto nell’arte e nella letteratura, un’epoca senza la quale non esisterebbe ai giorni nostri la coscienza della straordinaria capacità dei singoli cui noi italiani dobbiamo la nostra “grande bellezza”.
E concludo.
Come ho già scritto più volte negli speciali dedicati al 750esimo anniversario della nascita di Dante, non possono esistere l’economia e il diritto se prima non esistono la letteratura, la poesia, la storia, la pittura, la scultura, l’architettura, la musica, i centri storici, il paesaggio collinare etc… le vere meraviglie d’Italia che rendono il nostro Paese – il più bello del mondo – unico e ineguagliabile.
Tuttavia, vedendo come ci trattano coloro che vivevano sugli alberi e ignoravano la civiltà quando Roma insegnava al mondo intero il suo diritto e la sua architettura, non posso che salutarvi con tre endecasillabi scritti dal Sommo Poeta che – meglio di qualsiasi commento – descrivono l’Italia di ieri e di oggi: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello” (Divina Commedia, Purgatorio Canto VI, vv. 76-78).
Giuseppe PALMA
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