Attualità
Impoverimento dei lavoratori USA: ecco perché anche i vostri redditi scenderanno
La stagnazione dei salari della classe media e operaia USA dagli anni ’70 rispetto all’aumento della produttività è oggetto di studio da tempo. L’impoverimento della classe media lavoratrice viene spiegato in maniere diverse e spesso divergenti, per ragioni politiche facilmente immaginabili. I neoliberisti e i conservatori in particolare negano questo impoverimento. In realtà dalla metà degli anni ’70 ad oggi il fenomeno è molto vistoso, e il grafico qui sotto lo descrive bene. In sintesi:
- Tra 1980 e 2013 la produttività reale per ora lavorata (output al netto dell’inflazione di beni e servizi) è cresciuta del 61.9%.
- Il salario del 90% dei lavoratori è aumentato solo del 15.2%.
- Il reddito dell’1% della popolazione è aumentato del 137.7%.
Tentiamo in questo articolo di dare una spiegazione organica e senza ipocrisie.
Il gap salari-produttività
Fino alla fine degli anni ’60 i salari USA seguivano sostanzialmente una legge che rifletteva le dinamiche di mercato, la teoria neoclassica della distribuzione della Produttività Marginale. La teoria sostiene che in un mercato competitivo il prezzo o il compenso di ogni fattore della produzione tendono ad essere pari alla loro produttività marginale. In parole povere: il valore aggiunto dato dalla crescente produttività viene suddiviso in maniera proporzionale tra capitale e lavoro. I salari fino allinizio o metà degli anni 70 crescevano in misura pari all’aumento della produttività generale dell’economia. Se la produttività cresceva del 3%, sia i salari degli operai che la remunerazione del capitale crescevano del 3%.
Dagli anni ’70 si è osservato un divaricamento: le classi lavoratrici hanno visto il loro potere d’acquisto stagnare o ridursi, le élites al contrario hanno visto crescere reddito e ricchezza. Nel nostro esempio se la produttività cresceva del 3%, ai lavoratori andava l’1% e alle élites il 5%.
Il gap produttività-salari USA è questo in sintesi: l’aumento di produttività degli ultimi 40 anni non è finito in tasca ai lavoratori. È finito quasi tutto nelle tasche dell’1% più ricco e potente sotto forma di salari, bonus e dividendi azionari. È noto che i CEO più pagati in USA sono quelli che danno le paghe più basse ai loro lavoratori, come quelli di WalMart e Kellogg’s. Il rapporto tra reddito dei CEO e reddito dei lavoratori USA è passato da 1:50 nel 1980 a 1:331 nel 2013, come illustra il grafico seguente.
Questo gigantesco trasferimento di reddito dalle classi lavoratrici alle élites non è figlio del destino cinico e baro, piuttosto è avvenuto grazie a politiche deliberate. Politiche fondate sul credo neoliberista, divenuto così pervasivo da entrare stabilmente perfino nella cultura dei cosiddetti progressisti, sia in USA che in Europa.
Queste politiche hanno agito in USA su tre assi:
- Allentamento delle politiche di piena occupazione
- Varo di leggi che hanno ridotto i diritti dei lavoratori e il loro potere contrattuale: dai salari minimi alla contrattazione decentrata
- Perseguimento della globalizzazione in modi che hanno danneggiato tutti i lavoratori: immigrazione di manodopera straniera e delocalizzazione in paesi poveri o a fisco ridotto.
È interessante il parallelo con le politiche UE abbracciate sia dal centrodestra che – in misura paradossalmente più energica – dal centrosinistra europeo. Da noi si traducono nelle cosiddette “riforme strutturali” invocate senza posa da FMI, OCSE, UE; nelle politiche di favorimento dell’immigrazione che hanno in Merkel e nel PD i maggiori sponsor europei; nel QE della BCE che accresce le diseguaglianze e arricchisce le élite finanziarie.
Si osserva facilmente che in Europa queste politiche neo-liberiste (o meglio, pro-oligarchie e pro-capitale) hanno gli stessi obiettivi e producono gli stessi effetti: perdita del potere d’acquisto delle classi medie e lavoratrici e arricchimento crescente delle élite.
Analizziamo i tre assi, notando per inciso che per ognuno si registra una propaganda incessante che tende a far passare le perdite di diritti e la globalizzazione rispettivamente come riforme fatte nell’interesse dei cittadini e come un fatto ineluttabile, se non desiderabile. Purtroppo è il contrario.
Politiche di piena occupazione
Al contrario degli USA e della Fed le banche centrali europee (con l’eccezione dell’UK) non hanno nella loro missione e nei loro statuti la piena occupazione. In Europa non sono mai esistite politiche simili. La BCE privilegia la stabilità dei prezzi, sacrificando a questa sia l’inflazione programmata che la crescita economica.
Diritti dei lavoratori
In Italia abbiamo avuto il ben noto Jobs Act renziano, un esempio di manipolazione della comunicazione. Diritti cancellati e protezioni soppresse venduti come conquiste dei lavoratori. Quando gli incentivi all’assunzione “a tempo indeterminato” finiranno, resterà soltanto il diritto dei datori di lavoro di licenziare.
Anche in Francia Valls sta cercando di introdurre una riforma della Loi du Travail, il loro Statuto dei lavoratori, giudicato troppo protettivo. La Commissione UE sta facendo un tifo scoperto per l’approvazione senza modifiche della Loi El Khomri, il Jobs Act francese, anche se sotto la pressione delle proteste Valls ha dovuto annacquare le misure più controverse. La Commissione UE, la BCE (ricordate la lettera del 2001?) nonché FMI ed OCSE sembrano ossessionati dalla questione: le protezioni dei lavoratori vanno soppresse, i salari ridotti in nome della competitività. Come ha fatto osservare qualcuno se questo principio avesse una qualche fondatezza il Bangladesh sarebbe un paese ricchissimo, all’avanguardia mondiale.
Globalizzazione
L’arrivo massiccio di manodopera poco qualificata in Italia ed Europa presenta molte analogie con l’immigrazione in USA dal 1970-80 in poi. Nonostante gli stereotipi, in USA l’immigrazione rimase limitata a 195.000 arrivi all’anno di media tra 1920 e 1970. Il cambiamento della legge sull’immigrazione nel 1965 portò l’immigrazione da 250.000 a oltre 1 milione di arrivi all’anno. Per dare un esempio delle dimensioni attuali dell’immigrazione, oggi in California è necessario costruire una nuova classe scolastica ogni ora, 24 h e 365 giorni all’anno. Il costo è supportato dagli autoctoni che pagano 1.200 $ all’anno in più di tasse a causa dell’immigrazione di massa.
Sembra incredibile, ma oggi il 60% della crescita demografica USA è costituito dall’immigrazione. L’immigrazione contribuisce attualmente alla popolazione USA per oltre 2.45 milioni di persone all’anno: 1.7 milioni immigrati legali e illegali più 750.000 nascite annue da donne immigrate. Le posizioni pro-immigrazione in USA sono sostenute – non a caso – da ricchi mecenati che non esitano a finanziare associazioni e pagare campagne di stampa. Soros è solo uno dei tanti sponsor dell’immigrazione di massa, il più visibile forse ma non certo l’unico. L’immigrazione di massa sta arricchendo i pochi e impoverendo i molti, questa è la chiave di lettura più logica dell’impegno dei ricchi americani a favore dell’immigrazione.
Conclusione
Tra le cause della riduzione dei salari USA l’immigrazione di massa è una componente chiave. La competizione accresciuta tra lavoratori determina il drastico calo del potere di contrattazione e lo schiacciamento dei salari verso il basso. La moderazione salariale ottenuta con la combinazione di disoccupazione+immigrazione e delocalizzazione+riduzione dei diritti dei lavoratori libera grosse porzioni di reddito per le oligarchie. La politica si incarica di fornire gli strumenti legislativi. L’informazione controllata dalle oligarchie presenta il tutto come un efftto ineluttabile del progresso o una conquista dei lavoratori con effetti benefici per tutti. La Neolingua di Orwell non è mai stata tanto attuale.
Ogni somiglianza con quanto accade oggi in Italia non è affatto casuale.
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