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Il sistema ticinese per l’assistenza sociale, un esempio per l’Italia (di Andrea De Palo)

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Tutti possiamo facilmente immaginare, ma quasi nessuno ci pensa mai, i sacrifici fatti da una persona che ha una grave disabilità, e dalla sua famiglia, per potersi inserire e per poter restare nel mondo del lavoro.

La necessità di aiuto quotidiano che può rendersi necessaria è estremamente elevata e dispendiosa (soprattutto in termini di energie e sacrificio). Chi non dovesse averne idea, provi a pensare solo a chi, magari, ha bisogno di aiuto per le attività quotidiane della vita durante la mattina o per arrivare al lavoro.

Questo è la punta di un iceberg, caratterizzato da una moltitudine di bisogni e di necessità, che variano da persona a persona

Proprio nell’ottica di voler favorire l’integrazione lavorativa e sociale delle persone con disabilità, al fine di contrastare emarginazione ed isolamento, segnalo due tematiche su cui, a mio parere, auspico un intervento urgente da parte del Governo, nell’ambito della legislazione sulle disabilità:

A livello Regione, almeno per quanto di mia conoscenza in Lombardia, le persone disabili che lavorano sono penalizzate, poiché il tetto isee di 20.000 euro di fatto esclude tutte quelle patologie che, seppur a carico di persone in grado di svolgere un’attività lavorativa, necessitano di un caregiver.

Tale limite rende inutilizzabili le misure B1 e B2.

Il Canton Ticino prevede un “assegno di assistenza”: il requisito richiesto è esercitare un’attività lucrativa nel mercato del lavoro regolare per almeno dieci ore alla settimana.

Questo assegno per l’assistenza è calcolato in funzione del tempo necessario per le prestazioni d’aiuto di cui l’assicurato ha regolarmente bisogno in ogni aspetto della propria vita e attività. Nel calcolo è dedotto quanto già “coperto” da altre prestazioni (assegno per grandi invalidi, supplemento per cure intensive per i minorenni, cure di base dell’assicurazione malattie obbligatoria ecc.).

 

In Italia l’assegno ordinario di invalidità è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore di coloro la cui capacità lavorativa è ridotta a meno di un terzo a causa di infermità fisica o mentale.

INPS concede l’assegno ordinario di invalidità ai lavoratori:

dipendenti;

autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri);

iscritti alla gestione separata.

Può richiedere l’assegno chi, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, abbia la capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo e che abbia maturato almeno 260 contributi settimanali (cinque anni di contribuzione e assicurazione) di cui 156 (tre anni di contribuzione e assicurazione) nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda.

Non è richiesta la cessazione dell’attività lavorativa.

L’art. 1, al comma 2, della legge 222/1984, cita testualmente ” Sussiste diritto ad assegno anche nei casi in cui la riduzione della  capacità lavorativa, oltre i limiti stabiliti dal comma precedente, preesista al rapporto assicurativo, purché vi sia stato successivo  aggravamento o siano sopraggiunte nuove infermità. ”

Tuttavia, è prassi consolidata per l’INPS, respingere buona parte delle richieste di assegno ordinario di invalidità richieste dalle persone collocate come “categoria protetta” e con grave disabilità, proprio basandosi sul concetto di vizio/rischio precostituito.

Ben sappiamo che la ratio, stabilita dalla Corte Costituzionale, dovrebbe essere un’altra:

A parte tutte le riserve, che pur sono state da più parti formulate sulla pretesa di equiparare il rischio delle assicurazioni sociali a quello delle assicurazioni private, va osservato che la ricordata disciplina normativa, come intesa dalla giurisprudenza ordinaria, non trova adeguata giustificazione.

Invero, un’alea é pur sempre presente nell’ipotesi in esame, e consiste precisamente nella eventuale modificazione della situazione preesistente per effetto di un’ulteriore riduzione della capacità di guadagno. É possibile, in altri termini, un fatto nuovo che aggravi la condizione in cui si trovava il lavoratore all’inizio del rapporto e renda, a seconda dei casi, insostenibile ovvero ancor più onerosa la già delicata situazione del lavoratore minorato.

Quando ciò avvenga non é certo rilevante l’entità dell’aggravamento, dato che comunque la capacità di guadagno risulterà ridotta oltre il limite stabilito dalla legge e pertanto ricorrerà necessariamente la condizione a cui la legge stessa subordina l’acquisto del diritto a pensione.

In proposito é appena il caso di osservare che la riduzione della capacità di guadagno non è qualche cosa di fisso ed immutabile, ma ha una propria dinamica, per cui può variare in meglio o in peggio, e la stessa legge (nel secondo comma del cit. art. 10) prevede appunto la perdita della pensione in caso di miglioramento se la capacità di guadagno cessi di essere inferiore al limite stabilito dalla norma predetta.”

Urge perciò una modifica dell’ art. 1, al comma 2, della legge 222/1984, che tuteli il lavoratore con grave disabilità (superiore 75%), che già vede compromesse le sue prospettive di carriera in virtù dei pregiudizi che da sempre caratterizzano il collocamento delle persone con disabilità nel nostro Paese.

Potrebbe essere modificato così:

” Sussiste diritto ad assegno anche nei casi in cui la riduzione della  capacità lavorativa, oltre i limiti stabiliti dal comma precedente, preesista al rapporto assicurativo, purché vi sia stato successivo  aggravamento o siano sopraggiunte nuove infermità, o per il lavoratore con invalidità uguale o superiore al 75%, anche preesistente al rapporto assicurativo, un fatto nuovo che aggravi la condizione in cui si trova il lavoratore e renda, a seconda dei casi, insostenibile ovvero ancor più onerosa la già delicata situazione del lavoratore stesso.”

 

Sentenza e guida al sistema svizzero sono a disposizione dei lettori che lo richiedano


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