Esteri
Il pugno di ferro della Cina sul tetto del mondo: Larung Gar e l’ombra sull’India
La Cina invia soldati per controllare Larung Gar, una sorta di grande università e centro di studi informale del Buddhismo tibetano. L’ennesimo tentivo di sinizzazione
Il “Tetto del Mondo”, il Tibet, terra ricca di antica spiritualità e di paesaggi mozzafiato, è sempre più sotto il pugno di ferro del governo cinese, che tenta di cancellare o cinesizzare le radici religiose ed etniche locali per fondere il tutto in una cina unica ed indefinita.
Questo controllo sempre più stretto è stato recentemente illustrato dalla militarizzazione di Larung Gar, la più grande accademia buddista tibetana del mondo, situata tra le montagne della provincia del Sichuan. Quello che un tempo era un vibrante centro di apprendimento e pratica religiosa è ora un punto focale della campagna cinese per sopprimere l’identità tibetana e affermare il proprio dominio, gettando una lunga ombra non solo sul Tibet ma anche sulla sicurezza della vicina India.
“China escalates its crackdown on Larung Gar, the world’s largest Tibetan Buddhist academy, deploying 400 troops, helicopters, and imposing new restrictions. Monks and nuns face residency limits, mandatory registration, and forced evictions. Tibetan culture and spiritual freedom… pic.twitter.com/ju7ddjCyo5
— Tibetan Buddhism (@BuddhismTibet) December 30, 2024
Larung Gar, fondato nel 1980, era un faro unico del buddismo tibetano. La sua estesa comunità monastica, che attirava migliaia di monaci, monache e praticanti laici, era una testimonianza del potere duraturo della spiritualità tibetana. Tuttavia, proprio questa vivacità divenne fonte di preoccupazione per il Partito Comunista Cinese.
Una divergenza intollerabile dalla Sinizzazione
Considerando Larung Gar un potenziale focolaio di resistenza e un simbolo dell’autonomia culturale tibetana, Pechino si è mossa sistematicamente per smantellarlo. Grandi demolizioni nel 2001 e tra il 2016 e il 2017 hanno visto migliaia di case rase al suolo e i residenti sfrattati con la forza. Il recente dispiegamento di 400 militari nel dicembre 2023, con tanto di sorveglianza in elicottero, segna un’inquietante escalation. Le nuove norme previste per il 2025, tra cui il limite di 15 anni di residenza per monaci e monache e l’obbligo di registrazione, sono state concepite per limitare ulteriormente la vita religiosa ed esercitare un maggiore controllo da parte dello Stato, in sostanza per diminuire l’influenza di Larung Gar e trasformarlo in un’ombra di se stesso.
Queste azioni fanno parte di una strategia più ampia e insidiosa: La sinizzazione. Questa politica, pietra miliare della politica statale cinese, mira ad assimilare i gruppi etnici non Han alla cultura dominante cinese Han. In Tibet, la sinizzazione si manifesta con la promozione del mandarino rispetto alla lingua tibetana, l’afflusso di coloni cinesi Han e l’imposizione di norme culturali cinesi, il tutto sopprimendo le espressioni dell’identità tibetana e della libertà religiosa. Sebbene la Cina giustifichi tutto ciò come un passo necessario per l’unità nazionale e lo sviluppo, in realtà si tratta di uno sforzo calcolato per cancellare il patrimonio culturale e spirituale unico del Tibet, una forma di cancellazione culturale su larga scala.
La militarizzazione di Larung Gar, quindi, non è un incidente isolato, ma un microcosmo della più ampia strategia cinese in Tibet. L’aumento della sorveglianza, gli sgomberi forzati e la presenza di personale armato in uno spazio sacro sono tutti elementi pensati per intimidire, controllare e infine assimilare. Questo approccio pesante ha conseguenze profonde, in quanto priva le istituzioni religiose della loro autonomia, interrompe la trasmissione delle conoscenze culturali e infligge profonde ferite psicologiche a una comunità già segnata da decenni di repressione.
Le implicazioni delle azioni della Cina in Tibet si estendono ben oltre i suoi confini, con un impatto particolare sulla sicurezza dell’India. L’accresciuta presenza militare lungo il confine già teso e conteso tra i due Paesi solleva lo spettro di un conflitto. Il ruolo storico del Tibet come zona cuscinetto sta rapidamente diminuendo, portando queste due potenze dotate di armi nucleari a una vicinanza più stretta e volatile. Inoltre, l’altopiano tibetano è la sorgente di importanti fiumi che sfociano in India.
La stretta della Cina sul Tibet le conferisce un controllo sempre maggiore su queste risorse idriche vitali, creando un potenziale punto di leva che potrebbe essere usato a scapito dell’India. Anche la possibilità di un aumento dei flussi di rifugiati da un Tibet più represso rappresenta una sfida per l’India, in quanto potrebbe mettere a dura prova le risorse ed esacerbare le tensioni sociali.
La Cina sta già progettando la più grande diga al mondo sul fiume Bramaputhra, in Tibet, una costruzione che influenzerà pesantemente l’ecologia e la sopravvivenza della regione indiana dell’Arunchal Pradesh e il Bangladesh, di cui vi scriveremo separatamente, e tutto questo, nonostante i tentivi di normalizzazione di Pechino, non può passare senza nessuna reazione da parte di Nuova Delhi.
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