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IL FUTURO CHE ATTENDE LA GRECIA? DIVENTARE UN PAESE BALTICO

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Due giorni fa il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, durante l’informativa alla Camera sulla crisi greca ha detto testualmente: “Un’uscita anche temporanea della Grecia dalla zona euro è stata evitata“, mossa che sarebbe stata secondo Padoan “disperata e imprevedibile, con conseguenze assai gravi soprattutto per la Grecia e per i paesi vicini non della zona euro“. “Si tratta ora di guardare avanti – ha spiegato il Ministro- la Grecia ha tre anni di tempo per una crescita sostenuta e sostenibile“.

Questa ultima affermazione merita un commento approfondito.

È notizia di ieri che la Direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha dichiarato che il Fondo non parteciperà al prossimo versamento di fondi alla Grecia, per l’ennesimo salvataggio, se non vi sarà una ristrutturazione del debito greco, o mediante un haircut sul debito, o mediante un’estensione delle scadenze ed un taglio degli interessi. Tutti i principali economisti, da Krugman a Stiglitz e persino il tedesco Sinn hanno dichiarato che il memorandum approvato dal Parlamento greco è un grave errore, perché perpetuerà un’austerità che ha fatto finora solo danni al Paese. Stiglitz in particolare ha affermato che “si continuerà ad imporre modelli che sono controproducenti, inefficaci e che produrranno ingiustizia e disuguaglianze. Continuare ad esigere della Grecia che arrivi ad un avanzo primario del 3,5% del PIL nel 2018 è non solo punitivo ma anche di una cieca stupidità. Quello che la Germania ha imposto a colpi di bastone è semplicemente inconcepibile.” . La soluzione per Sinn era l’uscita dall’euro della Grecia, per svalutare, ristrutturare e permettere di far riprendere l’economia. “Quasi tutte le crisi di credito nel mondo – ha affermato l’economista in un’intervista al quotidiano greco Ekathimerimi – vengono affrontate attraverso ristrutturazioni del debito e svalutazioni delle monete nazionali, e non vedo perché la Grecia dovrebbe essere un’eccezione. Il popolo greco, che attualmente sta soffrendo per la disoccupazione di massa, trarrebbe i maggiori benefici dalla svalutazione. Lo status quo beneficia solo i grandi investitori in Grecia e all’estero, gravando di ulteriori oneri il popolo greco.

Se queste sono le posizioni di importanti capo-economisti e premi Nobel sorprende la posizione di Padoan improntata all’ottimismo, che appare totalmente irragionevole e non giustificata. Ricordando che in un precedente articolo ho già avuto modo di fornire le cifre del crollo economico della Grecia, grazie ai due precedenti “salvataggi”, vediamo qual’è lo scenario di base:

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elaborazione Krugman su dati Eurostat

La Grecia ha già avuto una pesante svalutazione reale: il RULC (una specie di CLUP ponderato con la competitività relativa dei prezzi al consumo) è calato dal 2010 di oltre il 15%, aumentando di molto la competitività del lavoro, conseguenza del crollo dei salari. Attualmente il salario medio mensile per un impiego a 40 ore settimanali è di 684 euro, contro, ad esempio, i 1.458 della Francia, i 1.462 dell’Irlanda ed i 1.473 della Germania. Ma nonostante ciò l’import è sempre superiore all’export:

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Fonte: Word Bank e Eurostat

Il fatto è che la Grecia, per quanto possa essere conveniente produrre per il crollo dei salari, non è un Paese esportatore, non lo è mai stato, né mai lo sarà: come la Spagna lo Stato ellenico ha vissuto di domanda interna e, per reggere il peso delle importazioni, di trasferimenti dall’estero.

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Elaborazione Krugman su dati Eurostat

In tutti questi anni, grazie alle misure di austerity che hanno colpito soprattutto la spesa per welfare e servizi, la Grecia ha avuto un avanzo primario medio superiore al 5%, ovvero lo Stato ha incassato fiscalmente molto di più di quanto ha speso, al netto degli interessi. Il risultato di tutte queste manovre è che il debito è andato aumentando ed il PIL è calato:

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Con queste condizioni insistere nell’austerità e nell’avanzo primario (si chiede un 4,5% annuo costante) è una follia, che non solo non porterà alcuna crescita, ma men che meno sostenibile, come invece ritiene Padoan. L’ulteriore calo delle importazioni derivante dalla distruzione dei redditi, Monti style, non riequilibrerà la bilancia commerciale e l’ulteriore crollo dei consumi, che già il raddoppio dell’IVA dal 12% al 24% ha fatto precipitare, darà il colpo finale ai produttori ed ai commercianti locali, comprimendo ancora di più il PIL ed aumentando il rapporto D/PIL.

Però per alcuni, per quanto possa apparire incredibile, tutte queste valutazioni sono sciocchezze di un Paese molle ed abituato alle agiatezze: gli Stati baltici, ex sovietici. “Gli estoni proprio non capiscono il modo di vivere greco, Noi siamo sempre stati abituati a risparmiare e vivere frugalmente“, così ha dichiarato Merit Kopli, Caporedattore del principale quotidiano estone Postimees. Il Ministro delle Finanze lettone, Jānis Reirs, ha ribadito il concetto “i lettoni non capiscono i Greci“, mentre per il ministro delle finanze slovacco, Peter Kazimir, “è assolutamente impossibile” accettare un haircut del debito greco.

Dal loro punto di vista, ciò è comprensibile: in Lettonia il salario medio mensile per 40 ore settimanali è di 360 euro, in Estonia di 390, in Lituania addirittura di 300. Le pensioni poi farebbero la gioia dei nostri esponenti politici di Italia Unica: in Estonia la pensione minima è di euro 140,81, in Lituania di 94,63, in Lettonia di ben 64,03! La Slovacchia primeggia con una minima sociale, ma dopo almeno cinque anni di contributi, di euro 142,68 (i dati si trovano sul sito della previdenza sociale statunitense qui).

La Grecia quindi, agli occhi dei cittadini dei Paesi baltici, è una Nazione comunque benestante e per questo risultano incomprensibili le lamentele di Tsipras e degli altri politici greci. E probabilmente è proprio guardando a questi Paesi che il nostro Ministro Padoan ha dichiarato che allo Stato ellenico si prospettano tre anni di crescita “sostenuta e sostenibile”: le ricette della Troika porteranno infatti al raggiungimento di livelli salariali pari a quelli baltici e, dopo aver toccato il fondo – come peraltro è successo anche a quest’ultimi negli anni della crisi, con contrazioni del PIL dal 12% della Lituania, al 21% della Lettonia – la Grecia dovrà per forza risalire, con crescita del PIL anche di 3/4 punti percentuali, per la gioia di chi vede solo i numeri su una tabella e non le condizioni di vita, magari tralasciando quella della disoccupazione. Anzi, poiché la scomparsa della domanda interna farà scomparire anche le poche fabbriche e produzioni rimaste, una robusta serie di investimenti esteri ed acquisizione dei beni statali da parte di privati, per sfruttare la manodopera a bassissimo costo, stile Albania, ed approfittare della fortissima vocazione turistica, farà migliorare anche questo dato, trasformando il popolo greco in un esercito di operai e camerieri ed il Paese in una enorme fabbrica-cacciavite e meta di vacanza per i ricchi (per lo più tedeschi), senza però che degli utili così prodotti i greci vedano un euro. Ma i dati macroeconomici saranno migliorati.

Questo è il futuro che attende la Grecia. E non è stata neanche sotto il tallone dell’URSS…


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