Attualità
Il filo rosso delle scatole cinesi nelle infrastrutture strategiche italiane
La Cina è una superpotenza mondiale: è un dato di fatto. Solo che per diventarlo – negli ultimi vent’anni almeno – non ha scelto la via militare, quanto quella finanziaria e commerciale. Che poi è una diversa espressione per dire: ha smisuratamente aumentato il proprio Pil in molti modi, in particolare con la stampa moneta diretta, senza dover passare dal suo debito. E quindi aumentando il suo potere imperiale fintech. Perché, per trovare gli sbocchi commerciali nel mondo di tale massa monetaria, la casta dei mandarini cinesi si era messa d’accordo con i banchieri della Federal Reserve per acquistare da loro tutti i titoli di Stato che non riusciva a smerciare. Questo accordo, apparentemente, adesso è caduto. Ma nel frattempo la Cina è diventata un potere arrivato a controllare, parzialmente, la proprietà della nostra rete elettrica di trasmissione nazionale, quella fisica, nonché quella del gas, parzialmente detenute dalla joint venture deep state-Cina.
Com’è possibile che la nostra rete elettrica nazionale sia andata in mani “cinesi”? Non sono beni strategici? Non rientrano nei beni comuni e nel demanio inalienabile? Per capire come sia successo, bisogna seguire il filo rosso delle “scatole cinesi”, è proprio il caso di dirlo.
Mentre la Francia ritardava le sue privatizzazioni di almeno 20 anni, riparandosi dietro l’articolo 346 dei Trattati UE che sancisce la neutralità dei regimi di proprietà degli Stati, l’Italia faceva la prima della classe a svendersi e svalutarsi. Il decreto legislativo del Presidente Scalfaro, nel 1999, o “decreto Bersani” (Governo D’Alema, Vice premier Mattarella, Ministro del Tesoro e delle Finanze Ignazio Visco, Ministro dello Sviluppo Bersani), dava seguito alle leggi sulle privatizzazioni degli anni novanta, e in attuazione della direttiva 96/92/CE che prescriveva la separazione della gestione dalla proprietà delle reti elettriche nazionali, trasferiva da Enel Spa, pubblica, a Terna Spa – controllata da Enel e creata per l’occasione – i diritti di proprietà della rete elettrica e a GRTN Spa, creata per l’occasione, la gestione della stessa rete.
Nel 2005 (Governo Berlusconi, Ministro delle Finanze Tremonti, Ministro dello Sviluppo Scajola, Ministro delle Infrastrutture Lunardi) Terna Spa veniva quotata in borsa ed essendo cambiate le norme europee, recupera la gestione della rete di cui detiene la proprietà, dalla GRTN che diventa GSE Spa: a questo punto verrebbe da chiedersi a cosa serva esattamente quest’ultima. In quell’occasione, il controllo di Terna Spa viene ceduto da Enel a Cassa depositi e prestiti SpA, con il 29.99% del capitale sociale, mentre le altre partecipazioni residue di Enel vengono regalate (bonus share) a favore di Assicurazioni Generali Spa e altre assicurazioni e banche!
Se già suona strano che la proprietà della rete elettrica di trasmissione nazionale passi a una società per azioni poi quotata in Borsa, dovrebbe suonare ancora più strano che la stessa società, che gode di una concessione in monopolio sulla rete elettrica, sulla sua gestione e il suo dispacciamento, possa ai sensi dell’articolo 4 del decreto Bersani operare non solo nel mercato regolato, ma anche in quello non regolato ed estero “a condizione che sia garantita la separazione contabile e amministrativa”. Per consociate, filiali e società della stessa galassia facenti capo alla stessa holding, è un’utopia. Nella pratica significa che esiste il rischio che con i soldi delle nostre tasse, lo Stato garantisca le operazioni finanziarie, lo shopping finanziario per il mondo, le attività di trading ad alta remunerazione con le nostre bollette e gli investimenti, le operazioni di rischio a nostre spese su una società, come Terna Spa, che è diventata una multinazionale. Idem per Snam Spa e Italgas che dovrebbero essere completamente pubbliche
Nel 2012 (Governo Monti, dopo il “golpe” a Berlusconi) si perfeziona il furto con la creazione di una holding di partecipazioni, CDP Reti Spa, con quote in Snam Spa (31.35%), Italgas (26.04%) e Terna Spa (29.1%). Terna a sua volta controlla al 100% Rete Srl e Terna Rete Italia Spa, cioè il mercato regolato. Quest’ultima partecipa nel capitale del non regolato Terna Interconnector Srl, per la connessione elettrica con i Paesi limitrofi. Ovvero, ripeto, con i nostri soldi, di tasse, bollette, investimenti e risparmi (CDP), affari garantiti alle società private del gruppo come Terna Interconnector o TernaPlus! E Terna è ormai una multinazionale presente in numerosi Paesi.
Ma adesso viene la chicca: la rete elettrica di trasmissione nazionale viene parzialmente ceduta alla Cina con un patto parasociale del 5 agosto 2014, sotto il Governo Renzi, con al Ministero per lo Sviluppo economico certa Federica Guidi, figlia dell’ex presidente di Confindustria Guidi, che dovette lasciare l’incarico per uno scandalo nell’ambito dell’indagine sullo smaltimento di rifiuti Eni di Viggiano poiché alcune intercettazioni la inchiodavano nel promettere al compagno l’introduzione nella legge di stabilità di un emendamento per favorire i suoi interessi, complice la ministro Boschi.
CDP Spa – che nacque nel 1850 come un ufficio del ministero del Tesoro com’è giusto che sia – nei Patti parasociali del 2014 poi modificati l’11 novembre 2016 (Renzi) cede il 35% di CDP Reti, veicolo di investimenti di CDP (59.102%), a State Grid Europe ltd, società con base a Londra, controllata della State Grid Investment Development LLC, con base a Hong Kong, completamente controllata a sua volta dal monopolio di stato cinese State Grid Corporation.
È una partecipazione “finanziaria”, mi dicono. Ma non è affatto così. È un diritto di proprietà sui nostri assets strategici, che come tutte le attività finanziarie finiscono sempre per trovare un sottostante a “raccolta”.
Se la matematica non è un’opinione il Ministero attraverso CDP e CDP Reti, controlla indirettamente l’11.57% di Terna, ma non è detto che la transitività funzioni in questo caso – altrimenti a cosa servirebbe prendersi la briga in questi anni di moltiplicare a iosa le persone giuridiche? – mentre le Fondazioni bancarie controllano indirettamente il 2.7% della rete elettrica. Fin troppo, per essere delle banche nelle nostre infrastrutture. Un 5% appartiene al fondo (avvoltoio) Lazard Asset Management LLC, di quelli che guidano il gioco ricattando tutti dietro le quinte, con la loro stampa moneta nelle banche dealer che controllano. E ritroviamo anche il prezzemolino Norges Bank, il fondo di investimento sovrano dello stato norvegese che redistribuisce in minima parte gli utili di petrolio e investimenti ai suoi cittadini. Noi, quando privatizziamo, invece svendiamo ad altri Stati. Privatizzazione sui generis. Siamo generosi, noi.
E infatti la Cina, o i mandarini cinesi in State Grid Corporation of China – attraverso Londra e Hong Kong – controllano la proprietà di un’infrastruttura essenziale, oserei dire vitale, come la rete elettrica nazionale, per una quota del 10,18% (il 35% di CDP Reti che controlla il 29.102% di Terna) a fronte dell’11.57% di controllo “pubblico” italiano. Ovvero di quella che dovrebbe essere la nostra infrastruttura, non cedibile, non alienabile, bene comune di proprietà degli italiani che dovremmo poterne usufruire i servizi in compartecipazione agli utili come azionisti privilegiati.
E invece ci ritroviamo con un colosso come la Cina che può spegnerci con un click, o ricattarci di farlo dietro le quinte.
Al momento del dunque – cioè ora – né gli acquedotti, né gli elettrodotti, né i gasdotti o le infrastrutture per stoccare il gas sono più nostre. E questo succede con i seguenti mezzi: avere permesso di cedere la gestione e la proprietà a società per azioni, averle quotate in borsa con i soliti fondi avvoltoi e/o sovrani di altri Stati, avere permesso di cedere a una Spa separata dallo Stato i diritti di proprietà sulle infrastrutture strategiche e la concessione in monopolio per gestirle, avere permesso questi patti parasociali.
Dove si prevede l’obbligo di inserire nel consiglio di amministrazione di Terna (ma misure simili vi sono per Snam e Italgas), su 5 membri, 2 designati dalla Cina, gli altri 3 da CDP Spa. Il Cda, che può decidere in materie importanti come il bilancio, lo Statuto, i membri di Snam e Terna, i diritti di voto, i dividendi, le riserve o altro, i possibili cessionari, circa i diritti di proprietà della nostra rete elettrica nazionale e del gas, deve farlo con il gradimento del monopolio cinese in partnership con la City di Londra e Hong Kong dei magnaccia occidentali che hanno persino un diritto di veto sulle cessioni di partecipazioni o acquisti in Snam e Terna, sull’ulteriore indebitamento e nelle operazioni con parti correlate di CDP Reti che non siano a condizioni di mercato, cioè a condizioni di aiuti di Stato e politiche.
Addirittura, al monopolio cinese è concesso il diritto, a partire dal 27 novembre 2018, di cedere le sue quote in Snam, Italgas o Terna, a concorrenti diretti, con un diritto di prelazione di CDP da esercitarsi entro 60 giorni alle stesse condizioni e allo stesso prezzo del concorrente! Lo vede anche un bambino che in questo modo il monopolista cinese può mettersi d’accordo con un concorrente per chiedere un prezzo esagerato, da imporre a CDP in un momento cruciale! Praticamente negli accordi si offre su un piatto d’argento il coltello dalla parte del manico ai cinesi, dando loro la possibilità di predare eventualmente il tesoretto di CDP, costituito dai risparmi degli italiani oltreché dalle nostre reti strategiche nazionali!
Demenziale. Non sarà mica per questo che aumentano le bollette di luce e gas proprio adesso?
Naturalmente il Cda può rifiutare la cessione a un concorrente diretto – ma con 2 cinesi su 5! – e solo se non presenta documentazione idonea del rispetto della separazione della proprietà con la vendita e la distribuzione o non rispetta i poteri speciali – e bisogna vedere che cosa vuol dire, non ho praticamente mai visto lo Stato italiano esercitarli – se è in una lista nera internazionale, tipo la Russia, o se non presenta un patrimonio solido.
Lo stesso vale per i 41,000 km di Rete di Trasporto Nazionale del Gas e di Rete Regionale del Gas che appartengono alla Snam la quale, per gli stessi calcoli di cui sopra, è controllata per il 10.97% dal monopolista cinese.
Nel 2015 (Governo Renzi, Ministro delle Finanze Padoan, Ministro dello Sviluppo Calenda, Vice ministro Sviluppo Bellanova, Ministro dell’Interno Alfano, Vice ministro Bubbico, Ministro delle Infrastrutture Delrio) Terna Spa ottiene per soli 757 milioni di euro (!!), 8.379 km supplementari di elettrodotti, 350 stazioni elettriche e contratti vari dalle Ferrovie dello Stato in smantellamento. Tanti altri regali al mercato!
Terna è il primo operatore “indipendente” in Europa per lunghezza di elettrodotti con 74.669 km di linee, 888 stazioni di smistamento, 1 centro nazionale di controllo, 3 centri di teleconduzione, 26 linee di interconnessione con l’estero, il cavo sottomarino più profondo del mondo.
Tutto questo è successo perché la proprietà delle reti è diventata un titolo di proprietà da negoziare in Borsa, per “attirare” gli investimenti esteri. Come se fossimo costantemente mendicanti mentre siamo la quarta potenza mondiale, i quarti detentori di riserve auree, e i primi in tante cose. O eravamo. Non certo i primi a difenderci e a difendere i confini di tutti i tipi di questo nostro Paese. O un certo modello culturale. Anche economico.
Il rinnovo dei patti parasociali poteva essere revocato il 4 agosto di quest’anno, con un preavviso di 6 mesi, ma il governo della “digitalizzazione” forzata e della Via della Seta, se n’è guardato bene. Anzi, il 4 marzo iniziavano i lockdown mentre aumentavano la posa di antenne 5G.
Si sappia che la “smart city” che a nostra insaputa, a nostro discapito, e sulle nostre spalle viene costruita a Milano come modello, a Torino, e in tutte le città d’Italia ha bisogno della rete elettrica per sviluppare il 5G. Engie, derivante dalla megafusione anti-concorrenza permessa nel 2008 da Bruxelles tra Suez (Rotschilds) e Gaz de France (Stato francese), sta piazzando lampioni a led ovunque nelle nostre città e nel belpaese, poiché saranno antenne 5G. Microsoft ha stipulato patti con Poste italiane, Snam e Italgas, per digitalizzare le infrastrutture di rete…
Il 5G serve a spianare la strada alla quarta rivoluzione industriale, come la chiamano al World Economic Forum, attraverso un “grande Reset”, che stiamo vivendo in pieno, grazie al “Cov-id” che serve a traghettarci – in modo brutale – alla moneta digitale (con l’aiuto della pandemia) e a costringere tutti a un vaccino che vuole essere una sorta di passaporto digitale mondiale cucito addosso, con i dati sanitari, anagrafici e finanziari in una unica app e/o “device” sulla pelle. Sembra fantascienza, eh? E invece, no.
Già è partito il common pass, voluto dalla Rockefeller Foundation che è una app sullo smartphone per certificare di essere negativi al tampone, e poi vaccinati: è già in sperimentazione in alcuni aeroporti e con alcune linee aeree.
E questo progetto di nuovo governo mondiale avviene attraverso la potenza di fuoco della Cina, che grazie alla sua stampa moneta diretta, ha potuto espandersi nel mondo ma solo in virtù di accordi con gli storici controllori della moneta che fino a ieri erano quelli del petrodollaro – e i loro sceicchi arabi – che stanno cambiando cavallo. Essi che scommettono sempre su due cavalli e lasciano sempre i piedi in due staffe, stanno utilizzando la testa della Cina per attuare questo disegno. Prendendo di mira l’Italia con Venezia come hub della Via della Seta, e utilizzarci come piede di porco per penetrare il resto dell’Europa. Anche tramite la City di Londra. Perché questo è il loro patto: le partnership nelle filiali delle multinazionali con azionisti anonimi che si inseriscono ai vari gradi gerarchici delle scatole cinesi. Che, in questo caso, si esprime con le due filiali a Hong Kong e Londra.
Questa è la posta in gioco, questo il filo rosso delle scatole cinesi. Siamo ancora in tempo per rendercene davvero conto?
Nforcheri ottobre 2020
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