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IL FIGLIO DELLA DETENUTA

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Nonno e nipote andavano al mercato sull’asino, e la gente commentava, severa, che stavano sfiancando la povera bestia. Il nonno allora scese e la gente giudicò uno screanzato il bambino che lasciava affaticare il nonno. Invertirono le parti e furono analogamente criticati. Infine scesero tutti e due, ma la gente rise: “Hanno l’asino e vanno a piedi!”
Si pensa a questa antica favola di Esopo a proposito di quella giovane donna che ha sfregiato o fatto sfregiare (è la stessa cosa, per la legge) l’ex fidanzato e che è stata condannata a un notevole numero di anni di carcere. Ora ha partorito e la giustizia forse le toglierà il figlio, per darlo in adozione o per darlo ai nonni, poco importa. L’opinione pubblica, naturalmente, non cessa di accapigliarsi sul caso, forse perché non sa che si tratta di qualcosa di molto banale, per i professionisti della materia. Non c’è assolutamente niente di nuovo. Infatti non è di questa specifica vicenda che si vuol parlare.
Ci sono problemi, come quello dell’asino, del nonno e del nipote, che non ammettono soluzioni giuste. Chi vive a piano terra ed ha una gatta, o si rassegna a farla sterilizzare o si rassegna a sopprimere i piccoli, a mano a mano che nascono. Chiunque abbia rispetto per gli animali, e soprattutto per una bestiolina cui si può voler bene come ad un membro della famiglia, comprende che l’alternativa è comunque dolorosa. Se la micetta fosse una persona, bisognerebbe scegliere fra il reato di lesioni gravissime (lo stesso della donna condannata a quattordici anni di carcere) e l’infanticidio, nulla di divertente. E tuttavia, che altre soluzioni ci sono?
Nel caso delle detenute con figli piccoli – problema che la gente sembra abbia improvvisamente scoperto – abbiamo sentito soltanto variazioni di pianto greco. Non si può mettere in carcere una donna che ha bambini fino a tre quattro anni o è incinta: ma poi abbiamo le zingare che rubano a tutto spiano, sotto gli occhi della polizia, perché appena arrestate e condannate sono rimesse in libertà. Allora, dice qualcuno, incinte o no, mettiamole in carcere, e che abbiano poi con sé i loro piccoli, almeno finché sono bimbetti. È previsto dalla legge penale attuale. Come, dei bambini in carcere? Che orrore. Allora mettiamo le madri in carcere e i figli li diamo ad altri da accudire. Che ignominia, che crimine separare un bambino da sua madre, addirittura nel periodo dell’allattamento. Allora scarceriamo le madri: e se poi tornano a rubare a ripetizione, per mestiere?
A questo punto si demanda la sentenza ai magistrati, i quali magari si fanno forti del parere di qualche esperto psichiatra, e a questo punto l’opinione pubblica – dal momento che sono scesi in campo dei professionisti di alto livello – si aspetta che la decisione adottata sia scientificamente incontestabile e approvata da tutti. Ma una tale soluzione non c’è e dal momento che in fin dei conti il giudice è obbligato ad adottare un provvedimento, si deve giungere ad una conclusione opposta a quella suggerita dai giornali: invece di prepararsi ad esclamare trionfanti “ve l’avevo detto”, se poi si dovesse vedere che ci sono grandi problemi per la madre, per il padre e soprattutto per il bambino, bisogna prepararsi a perdonare in ogni caso il magistrato.
Dobbiamo smetterla di pensare che, al posto dei protagonisti, applicando qualche vago principio della retorica nazionale, avremmo saputo fare di meglio. Ma la voglia di sdottoreggiare su ciò che si conosce poco e male sembra essere irresistibile. L’opinione pubblica è piena di generali che avrebbero vinto le battaglie che sono state perse, allenatori che, dopo l’eliminazione dal campionato, avrebbero saputo scegliere la formazione giusta. Profeti del passato a basso costo.
Gianni Pardo, [email protected]
18 agosto 2015


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