Attualità
Il dramma dei profughi è il dramma della cattiva gestione della “cosa pubblica”. (di Claudio Pisapia)
Da alcune parti si continua a sostenere e purtroppo in maniera insistente che l’immigrazione sia una necessità. Non solo quindi un’azione umanitaria o un aiuto cristiano ma anche un modo per migliorare il nostro stesso futuro.
Perché dicono, queste persone e le statistiche, che ci stiamo spopolando, andiamo incontro ad una specie di collasso demografico che porterà ad un correlato collasso del sistema tributario italiano e europeo. Infatti causa diminuzione della popolazione attiva, cioè cittadini in età lavorativa, bisogna compensare con persone/lavoratori che arrivano da fuori (secondo il ben noto schema per cui mi servono lavoratori da tassare per poter erogare le pensioni).
Ora, quanti migranti sono giunti in Italia nel 2016 desiderosi di lavorare e pagare le tasse per assicurarci il futuro pensionistico? Dal sito del Ministero dell’Interno risultano, al 31 marzo 2016, 111.081 presenze totali e a quanto sembra dai vari interventi TV, pochissimi desiderosi di rimanere con noi. La maggior parte ha in mente mete molto più nordiche e ci considera, più o meno, quelli che li aiutano ad attraversare il mediterraneo, li rifocillano e poi li fanno arrivare alla frontiera più vicina.
Nello stesso momento qual è la situazione in Italia? Abbiamo più o meno un livello di disoccupazione intorno al 11,5%, mentre quella giovanile viaggia intorno al 40%, siamo incapaci di trovare lavori stabili per gli italiani, cioè lavori che non abbiano una parola dopo, come diceva Massimo Troisi. Il mai dimenticato comico, a fine anni ’70, parlava infatti di “lavoro a cottimo”, “lavoro nero”, “lavoretto”, “lavoro minorile” constatando l’impossibilità per i napoletani di trovare un lavoro senza una parola dopo, oggi è evidente che la situazione si è estesa a tutta la penisola. Oggi abbiamo infatti il jobs act o il lavoro a tutele crescenti, che sono sempre lavori con una parola di troppo e che, tradotto, significa lavoro con meno diritti, che ti tocca farlo per più ore e più anni e ti rendono di meno pensionisticamente parlando.
Quindi abbiamo bisogno di lavoratori stranieri in un Paese con così alti livelli di disoccupazione e tanto lavoro precario? e quali sarebbero i lavori che italiani non vogliono più fare? Gli ultimi avvenimenti di cronaca ci hanno restituito la realtà delle campagne del Sud, dei pomodori o della frutta solitamente riservate nella nostra mente agli extracomunitari, piene di nostre donne e mamme a lavorare in condizioni indegne e che a volte muoiono e sempre soffrono nel silenzio dello Stato e dei media. Gli italiani sono costretti ad accettare di tutto pur di tirare avanti, trovandosi persino a competere in lavori del genere, con manodopera a basso costo straniera.
Dunque, di cosa stiamo parlando? Del fatto che una parte della nostra classe politica ci chiede di accogliere i migranti in quanto fonte di ricchezza per il futuro, ma non abbiamo lavori da dargli in quanto noi stessi ne siamo alla disperata ricerca. E come accogliamo poi queste vantate risorse? Tenendoli indegnamente per mesi in strutture inadeguate, e questo non è bello nei loro confronti, oppure in alberghi di ottimo livello, e questo non è bello per quegli italiani che contemporaneamente non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena.
In molti casi famiglie straniere riescono ad avere la precedenza nelle assegnazioni di case popolari o ad accedere giustamente a cure ospedaliere ma, non altrettanto giustamente, prima e a costi inferiori di tanti italiani, che magari dormono in macchina causa austerity o per perdita di lavoro o chiusura azienda per mancanza di credito, e questo per loro, ancora, non è bello. Alla fine gli occhi del popolo non riescono più a distinguere gli svantaggiati, cosa che probabilmente riesce meglio alle classi più abbiente o cosiddette elitarie.
Del resto non sono certo tra quelli che non ritengono importante dare assistenza, desidero talmente tanto che nel mondo non ci siano profughi che se fossi un governante “ripudierei la guerra” in tutte le sue forme, mi adopererei affinché queste potessero non esistere più. E lo farei non parteggiando per la Russia o gli USA, ma nemmeno per la Francia quando decide di bombardare in Mali o insieme all’UK la Libia o l’Iraq. Probabilmente interromperei le relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita che continua a bombardare lo Yemen e a finanziare il terrorismo internazionale. Direi no a priori a tutto questo e rifiuterei anche accordi con la Turchia per rispetto degli esseri umani che dico di voler difendere.
“Si fossi re” eviterei di sostenere governi fantoccio o inadeguati in luoghi lontani dal mio Paese, di dare appoggio alle multinazionali che spadroneggiano in quei luoghi, di partecipare a operazioni di dubbia gendarmeria internazionale, di mandare soldi che alimentano il sistema del debito e della sudditanza. E “si fossi foco” arderei il debito e utilizzerei i soldi che spendiamo in questa falsa accoglienza per mandare lì i nostri ricercatori, esperti, uomini e donne in grado di sostenere e mandare avanti reali progetti di cooperazione e sviluppo di questi Paesi. Il tutto controllato dallo Stato e rendicontato ai cittadini attraverso una apposita commissione parlamentare (possibilmente composta da cittadini votati con legge costituzionalmente valida).
Del resto che tradizione di accoglienza abbiamo in Italia? Non siamo gli Stati uniti che nel tempo sono riusciti ad integrare tanti stranieri perché avevano un Paese da riempiere, terre da coltivare e industria da sviluppare. Non dimostriamo nemmeno la loro intelligenza nell’accogliere e attirare cervelli da sistemare per lo sviluppo futuro della ricerca come invece fanno i Paesi nordici, anzi lasciamo partire i nostri causa mancanza cronica di fondi. Oggi nessuno vuole accogliere più e tendono a chiudere le frontiere, ma davvero noi abbiamo la storia e il diritto di puntare il dito contro gli altri Paesi europei che cominciano a cambiare idea sull’immigrazione?
Stiamo agendo male, facciamo confusione tra diritti degli italiani e necessità dell’accoglienza, tra razzismo e stanchezza. Si dà fiato all’insofferenza a causa della mala gestione dei centri di accoglienza, o troppo abbandonati o troppo lussuosi, ma evidente frutto di poca programmazione e nessuna visione. I politici del momento fanno proclami e spot ma lasciano i problemi alle Regioni, ai comuni, ai Sindaci, ai Prefetti, denotando incapacità sempre più palese.
Abbiamo un sistema di welfare sempre più scadente, che richiede sempre più partecipazione economica da parte dei cittadini ma si pretende di dare sanità gratis ad altri, e questo esaspera. Le famiglie sono abbandonate, non ricevono sostegni adeguati, sgravi fiscali o altri aiuti e quindi sono costrette a non fare figli e il politico immagina di sostituire questa mancanza con immigrati che a loro volta costano e quando e se lavoreranno avranno gli stessi bassi stipendi degli italiani, quindi contributori di scarso livello. Ma qui il politico ci vede la pigrizia delle italiane nel fare figli!
Non ci sono soldi per dare almeno la scuola gratis alle famiglie italiane fino alla terza media, ma ci chiedono di addossarci il costo della mensa per eventuali immigrati. Il politico pensa che con stipendi più bassi, meno diritti, pensioni ridotte e ricevute a 75 anni l’italiano debba comprendere.
Possiamo guardare le cifre e capire che non ci sono invasioni, i numeri reali in merito a immigrati e arrivi sono perfettamente gestibili, ovviamente in un Paese che funzioni. Il problema non sono gli immigrati ma la loro gestione che viene fatta da incompetenti in un Paese allo stremo per lo stesso motivo. Ma per la pancia del Paese, quando le cose vanno male, bisogna sempre cercare un colpevole, possibilmente facile da individuare come quando ha un colore diverso.
100.000 oppure 150.000 persone potrebbero essere gestite con facilità e serenità in un Paese però che riuscisse contemporaneamente ad assicurare una vita dignitosa ai suoi cittadini. Ospedali, scuole e servizi sono diventate delle chimere, in alcune Regioni in maniera più evidente che in altre, e in questa infrastruttura si immettono esseri umani in maniera dilettantesca e improvvisata. Assistiamo a imbarazzanti casi di inerzia politica come quello di Via Cupa a Roma dove persiste una tendopoli tra le auto che faticano a circolare, o il Palaspecchi di Ferrara, città che vede anche un immigrato colpire una poliziotta e il giorno dopo lo vede rimesso in libertà senza nemmeno una parola dell’onnipresente Boldrini, forse perché non è successo il contrario. Tutto questo è semplicemente soffiare sul fuoco. Ma il punto è che non è colpa degli immigrati.
Il politico non ha visione, oggi, per cui il cittadino è costretto a sostituirlo. Ma è necessario che il cittadino non si faccia abbagliare, non si distragga con un falso nemico e non perda il suo tempo a fare manifestazioni di piazza. Concentrarsi sul problema: cioè il politico inefficiente e inefficace. Quello senza visione che distrugge le risorse in loco per cercarle altrove, che non crea nuovo lavoro ma aumenta le persone disponibili per quelli vecchi. Aumenta dunque la competizione a scapito dei reali interessi del Paese, mette gli uni contro gli altri mentre la soluzione sarebbe semplice. Basterebbe sostenere realmente le nostre famiglie, fare in modo che possano crearsi e svilupparsi in un contesto accogliente, cooperativo e solidale, in questo modo anche più disposta ad accogliere.
Dare spazio ai nostri giovani, dare soldi allo sviluppo e alla ricerca almeno quanto fanno gli altri. E poi prevedere un’accoglienza che sia realmente umanitaria, non pasticciata, antagonista, foriera di drammi interni nel rispetto delle esigenze di chi lavora e paga le tasse ma anche di chi un lavoro non riesce a trovarlo ed è in difficoltà.
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