Economia
Il “Dilemma” da 16 Miliardi di Dollari che assilla Meta: i profitti più importanti della sicurezza?
Un’inchiesta svela come il colosso di Zuckerberg incassi cifre enormi da inserzioni fraudolente, bloccando solo i casi estremi. Politica USA sul piede di guerra.

C’è una domanda da 16 miliardi di dollari che aleggia nei corridoi di Menlo Park, e la risposta potrebbe non piacere affatto agli utenti dei social network. Secondo un recente studio ripreso dal New York Post, Meta (la casa madre di Facebook) ospiterebbe la stragrande maggioranza delle truffe sui social media. Il motivo? I critici puntano il dito contro una vecchia legge del mercato: il profitto viene prima della tutela del consumatore.
Non si tratta di semplici illazioni, ma di numeri che emergono da documenti interni ottenuti da Reuters. Sembra che Meta avesse proiettato ricavi per 16 miliardi di dollari derivanti proprio da annunci truffaldini lo scorso anno. Una cifra monstre, pari a circa il 10% del fatturato totale.
Il meccanismo del “Pay to Play”
La dinamica descritta dagli esperti è, per usare un eufemismo, inquietante dal punto di vista della concorrenza e della trasparenza. Pare che l’azienda banni gli inserzionisti solo quando i sistemi rilevano una probabilità di frode pari o superiore al 95%. E per tutti quegli annunci che ricadono in una zona grigia, o che sono “solo” altamente sospetti?
Invece di bloccarli, Meta applicherebbe tariffe pubblicitarie più alte a questi acquirenti dubbi. Un sistema che i critici hanno ribattezzato “pay to play”: se paghi di più, puoi continuare a operare sul filo del rasoio.
Erin West, ex procuratore della California, è stata lapidaria nell’analizzare questi documenti:
“Sapere che Facebook ne è consapevole e lo tollera – e che, di fatto, richiede commissioni aggiuntive ai peggiori trasgressori – è vergognoso… la pratica in sé è scandalosa, sbalorditiva, inaccettabile.”
I numeri del fenomeno
Per comprendere la portata del problema, è utile osservare i dati forniti da SafelyHQ, società specializzata nella segnalazione di frodi. Ecco una sintesi della situazione:
Dominio del mercato delle truffe: Facebook viene citato nell’85% delle segnalazioni di truffa che identificano una piattaforma specifica.
Volume delle denunce: Sono state raccolte oltre 50.000 denunce verificate.
Stima reale: Secondo il CEO Patrick Quade, i 50.000 casi documentati implicano un numero reale di vittime nell’ordine delle decine di milioni.
Quade sottolinea come questo non sia un caso di “cherry-picking” (selezione mirata di dati sfavorevoli), ma il sintomo di un fallimento sistemico confermato dagli stessi documenti di Meta.
L’algoritmo che “conosce” la vittima
L’aspetto forse più insidioso riguarda la profilazione. Brian Kuhn, una delle vittime citate, ha perso denaro acquistando dischi da una falsa vendita su Facebook, notando con inquietudine quanto l’annuncio rispecchiasse i suoi gusti. Anche Betty, un’altra utente truffata con cosmetici contraffatti, ha evidenziato l’efficacia del targeting: “Ti piace una cosa, o fai un commento, e subito appaiono questi annunci… Sono falsi, ma all’inizio non riesci a distinguerli”.
È qui che il meccanismo economico si inceppa a danno del consumatore: l’algoritmo non distingue tra un venditore onesto e uno truffaldino, ma “intrappola” il cittadino basandosi sulle sue preferenze, offrendolo su un piatto d’argento al miglior offerente, anche se quest’ultimo è un criminale.
La reazione politica e la difesa di Meta
La politica americana sta iniziando a muoversi. I senatori Josh Hawley e Richard Blumenthal hanno richiesto un’indagine federale, definendo la pratica di far pagare di più gli annunci sospetti come una sorta di perversa “tassa sulla truffa”.
La risposta di Meta, affidata al portavoce Andy Stone, è quella di rito: “Combattiamo aggressivamente le frodi e le truffe… I truffatori sono criminali persistenti”. Tuttavia, i report interni del 2025 sembrano contraddire questa narrazione, ammettendo che l’azienda era coinvolta in un terzo delle truffe di successo negli USA e che, ironia della sorte, era “più facile pubblicizzare truffe sulle piattaforme Meta che su Google”.
La volpe e il pollaio
Esperti di Consumer Reports sostengono che la protezione legale offerta dalla Sezione 230 (che manleva le piattaforme dai contenuti pubblicati dagli utenti) debba essere ridotta, specialmente per gli annunci a pagamento. Come conclude amaramente Quade: “La ‘volpe’ non sta nemmeno facendo la guardia al pollaio: sta chiedendo un pedaggio affinché altre volpi possano entrare indisturbate”.
In un’economia di mercato sana, chi trae profitto da un’attività illecita dovrebbe esserne responsabile. Al momento, sembra che nel mondo dei social network viga un regime di immunità molto redditizio.
Domande e risposte
Perché Meta non blocca immediatamente gli inserzionisti sospetti? Secondo i critici e i documenti trapelati, esiste un forte disincentivo economico. Le pubblicità truffaldine generano circa 16 miliardi di dollari l’anno, una fetta consistente del fatturato. Inoltre, Meta applica tariffe più elevate agli inserzionisti considerati “a rischio”, trasformando la gestione del rischio in una fonte di profitto aggiuntiva (il cosiddetto “scam tax”), bloccando solo chi ha una probabilità di frode quasi certa (95%).
Cosa sta facendo la politica per arginare il fenomeno? Negli Stati Uniti, senatori come Josh Hawley e Richard Blumenthal stanno spingendo per un’indagine federale. Il punto centrale del dibattito riguarda la “Sezione 230”, una norma che protegge le piattaforme web dalla responsabilità per i contenuti pubblicati da terzi. L’obiettivo dei legislatori è limitare questa protezione nel caso di inserzioni pubblicitarie a pagamento, rendendo le piattaforme responsabili per ciò che promuovono a scopo di lucro.
Come agiscono queste truffe sugli utenti? Le truffe sfruttano la sofisticata profilazione algoritmica di Meta. Se un utente mostra interesse per un certo tipo di prodotto (dischi, cosmetici, ecc.), l’algoritmo gli propone annunci mirati. Le vittime riferiscono che queste inserzioni sono spesso molto ben realizzate e in linea con i loro gusti personali, rendendo difficile distinguere un’offerta legittima da una frode finché non è troppo tardi.







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