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IL CORAGGIO

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Sprung, Risiko 

È nozione comune che al mondo ci sono i coraggiosi e i codardi. E ognuno dovrebbe chiedersi a quale categoria appartiene. La risposta non è semplice. Infatti rifiutarsi di affrontare un serio pericolo per uno scopo futile non è vigliaccheria, è buon senso; al contrario, se il motivo è valido, fermarsi dinanzi ad un piccolo pericolo è da vigliacchi. Il guaio è che, sia la valutazione del pericolo sia quella del motivo, sono soggettive: il codardo troverà mille ragioni per essere tale, l’audace si sentirebbe pressoché disonorato se non affrontasse ogni rischio in cui è coinvolta la sua autostima.

Inoltre, per i pericoli fisici, vi è l’interferenza dell’istinto. Se la ragione dice che saltando dal quinto piano non ci si può far male perché sotto è stata predisposta una rete che frenerà perfettamente la caduta, molti non se la sentiranno lo stesso di buttarsi. La paura di cadere dall’alto è profondamente radicata nell’essere umano ed è indipendente dalla ragione. Durante gli incendi, quando i pompieri stendono il telone, alcuni malcapitati esitano a gettarsi giù, anche se l’alternativa è quella di essere bruciati vivi.

Quando la materia è del tutto opinabile, l’unica salvezza è la statistica. Dal momento che la gente considera da coraggiosi buttarsi da cinquecento metri col paracadute, farlo è da coraggiosi. E poco importa che questo sport possa essere meno rischioso di altri. Mentre fa passare per sciocchi e vigliacchi la paura dell’aeroplano, usato ormai da milioni di persone.

Nel conto del coraggio e della codardia bisogna mettere l’informazione. Qualcuno può sembrare coraggioso perché non sa il pericolo che sta correndo, mentre un altro può sembrare eroico mentre sta facendo qualcosa che sa del tutto priva di rischi. Solo dopo aver considerato tutti questi fattori si può decidere, con qualche speranza di accettabile approssimazione, chi è coraggioso e chi è vigliacco. In particolare, nel giudicare gli altri, bisogna tenere conto del contesto in cui agiscono. Una donna maltrattata dal marito che esita a separarsi per paura del giudizio dei parenti o del paese in cui abita, manca di coraggio. Sacrifica la propria libertà e perfino la propria integrità all’opinione di un prossimo conformista. Viceversa, se in Arabia Saudita una donna oppressa pensa di ribellarsi non è coraggiosa, è imprudente: in una società in cui tutti – le altre donne, gli uomini, i media, la religione e perfino le leggi – sono contro di lei, rivoltarsi condurrà soltanto a crearle problemi e sofferenze ancora maggiori.

Qui si inserisce una vecchia obiezione: se tutti subiscono l’oppressione, l’oppressione non finirà mai. Giusto. Ma da un lato la storia procede inesorabilmente e chissà che un giorno anche l’Arabia Saudita non si avvicini agli standard di libertà occidentali. Dall’altro – anche se può sembrare un calcolo meschino – è comprensibile che non si desideri vedere la propria figlia fustigata in pubblico per aver voluto lanciare la moda della minigonna a Riyad. Chi sale sul ring e sa già che i guantoni dell’altro eccedono nel peso, che l’arbitro gli darà sempre torto e che la partita è truccata, deve buttarsi per terra al primo pugno e farsi dichiarare k.o. Per semplice buon senso.

L’argomentazione può essere applicata a Silvio Berlusconi. Se egli reputa di essere un perseguitato dalla giustizia italiana; se è sicuro dell’accanimento delle Procure della Repubblica nei suoi confronti; se è convinto che esista un partito dei magistrati che si serve illecitamente dei suoi poteri per eliminarlo, non deve salire sul ring. Soprattutto se molti spettatori sono tanto ingenui da credere che la partita sia onesta e l’arbitro super partes. In queste condizioni accettare battaglia è da incoscienti o, peggio, da presuntuosi.

A suo tempo Montanelli l’aveva avvertito: “Ti distruggeranno”. E anche se Berlusconi è riuscito a resistere e a fare una carriera storicamente indimenticabile, il buon senso avrebbe voluto che combattesse finché la cospirazione contro di lui non fosse arrivata ad attuare il suo piano. Dunque sarebbero andati bene vent’anni di assoluzioni, non luoghi a procedere, prescrizioni e amnistie. Viceversa, nel momento in cui la Giustizia italiana si alza, butta via la bilancia per correre più velocemente e gli infligge una condanna definitiva, Berlusconi avrebbe dovuto prendere un aereo e lasciare l’Italia per sempre. Sarebbe stato vigliacco? No. Avrebbe tenuto conto della realtà. Il fatto che oggi insista a dichiararsi innocente, a dire che sarà assolto, in sede europea o di revisione, è contraddittorio: corrisponde ad avere fiducia nella giustizia.

A meno che combattere  – da vincente o da vittima – non lo diverta più di quanto non divertirebbe molti di noi.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

28 novembre 2013

 

 

 


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