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Esteri

Il conflitto Arabia-Iran si riverbera anche in Sudan, e a farne le spese sono i civili

In Sudan il governo è armato dall’Iran, le Forze di Supporto Rapido dagli Emirati, ma le armi arrivano un po’ da ovunque. A farne le spese sono i civili, ma questa non è che la solita guerra per procura fra poteri mediorientali

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Spesso noi abbiamo una visione superficiale del Medio Oriente, che non coglie le profonde differenze che distinguono i vari paesi di quel mondo. Un turco non è un arabo, che a sua volta non è un iraniano, o peggio un persiano. Queste  diverse etnie sono profondamente separate e spesso ostili fra di loro, oltre che ad essere percorse da ulteriori differenziazioni interne.

Solo andando più in profondità possiamo comprendere come mai Israele, dopo tutto, abbia ancora delle relazioni non completamente ostili con il mondo arabo e come in molti quadranti i poteri di queste aree si affrontino direttamente, come, ad esempio, in Sudan. 

Il conflitto in Sudan riflette le divisioni mediorientali

Il sole del deserto batteva implacabile su Omdurman, la città gemella di Khartoum, capitale del Sudan, dall’altro lato del fiume Nilo. In un edificio di questa città, che fu anche teatro della sconfitta del Mahdi da parte degli anglo-egiziani nel XIX secolo  governativo, un gruppo di ufficiali dell’esercito sudanese mostrava ai giornalisti del Washington Post un trofeo di guerra: un drone catturato alle Forze di Supporto Rapido (RSF), il gruppo paramilitare rivale.

Drone degli Emirati catturato in Sudan

Non era un semplice drone. Era la prova tangibile di un gioco di potere internazionale che stava alimentando il conflitto, trasformando il Sudan in un campo di battaglia per procura. Le munizioni del drone, fabbricate in Serbia, portavano etichette che indicavano come destinatario il Comando Logistico Congiunto delle Forze Armate degli Emirati Arabi Uniti. Un indizio inquietante che confermava i sospetti di un coinvolgimento diretto degli Emirati nella guerra civile sudanese.

Il Sudan Conflict Observatory, un’organizzazione finanziata dal Dipartimento di Stato americano, aveva seguito per mesi i movimenti aerei nella regione. I loro dati parlavano chiaro: decine di voli sospetti dagli Emirati al Ciad, con destinazione finale le basi delle RSF in Sudan. Un flusso costante di armi che alimentava la macchina da guerra di Hemedti, il leader delle RSF, un uomo ambizioso con un passato da mercenario e un presente da signore della guerra.

Ma perché gli Emirati, un paese ricco e apparentemente stabile, si intromettevano in un conflitto così lontano dai loro confini? Le ragioni erano diverse. Il Sudan, con la sua posizione strategica sul Mar Rosso, rappresentava un crocevia fondamentale per le rotte commerciali che rifornivano i porti degli Emirati. Inoltre, il governo di Abu Dhabi temeva il ritorno al potere in Sudan di fazioni islamiste, un’eventualità che avrebbe potuto destabilizzare l’intera regione. E non dimentichiamo gli interessi economici: gli Emirati avevano investito pesantemente in Sudan, soprattutto nel settore dell’oro e dell’agricoltura.

Due lati del Golfo Persico contrapposte in Africa

Dall’altra parte del conflitto, l’esercito regolare sudanese, guidato dal generale Burhan, non era rimasto a guardare. Privato del sostegno dell’Egitto, un tempo alleato storico, Burhan aveva stretto un patto con l’Iran, la potenza sciita che vedeva nel Sudan un’opportunità per estendere la sua influenza nel Corno d’Africa. Droni Mohajer-6, artiglieria e munizioni iraniane affluivano negli aeroporti sudanesi, trasportati da aerei con un passato di traffici di armi verso la Siria.

Resti di un

Resti di un drone iraniano catturati in Sudan

In questo confronto sono stati registrati almeno sette voli di aerei iraniani, teoricamente civili, ma che decollavano da superfici militari, ediretti in Sudan. evidentemente per trasportare armi da consegnare all’esercito, l’altro lato del campo di battaglia.

In mezzo a questo traffico di armi cosa c’è? Il popolo del Sudan., In questo scenario di ingerenze e trame internazionali, la popolazione sudanese pagava il prezzo più alto. Migliaia di morti, città distrutte, un’intera generazione traumatizzata dalla violenza. La carestia incombeva su un paese un tempo granaio dell’Africa.

 


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