Euro crisis
IL CANCRO DELLA GRECIA
Notizia, in italiano, ha un’etimologia collegata a “noto”, “conosciuto”. In altre lingue si sottolinea invece la novità del dato. “News”, in inglese, è evidentemente “le cose nuove”, e “nouvelle”, in francese, significa sia “notizia” che “nuova”, Del resto, anche in italiano, non diciamo forse: “nessuna nuova, buona nuova”?
Se si viene a sapere che una persona importante ha il cancro, la cosa è scritta sui giornali e costituisce una notizia. Un paio di giorni dopo però non se ne parla più perché la cosa non è più nuova. Anche se ciò non impedisce che quel terribile male continui a progredire. La notizia non c’è più, il dato sì.
In questi giorni, in Italia, ci si occupa molto del solito cortile politico, delle nomine del cda della Rai, della riunione sotto il numero 112 dei vari 115, 118 ecc., mentre della Grecia, ben più importante, si parla appena. Magari si cita il crollo della Borsa, che però era previsto. E tuttavia la questione greca non è per niente risolta.
Del resto come potrebbe esserlo? Coloro che guidano l’Europa, come rimedio ai problemi, conoscono soltanto quei provvedimenti che i problemi li hanno causati. L’euro ha finito col creare disastri? Bisogna ribadire la propria incrollabile fiducia in esso. L’ “austerity” ha fatto peggiorare la situazione dei Paesi deboli? Bisogna rinforzarla. L’economia di alcuni Paesi agonizza? Bisogna aumentare tasse e imposte. In queste condizioni, aspettarsi che Atene si risollevi e prenda in considerazione l’idea di rimborsare i debiti è fuori dalla realtà.
Nei giorni di fine giugno molti si auguravano l’uscita della Grecia dall’euro. Naturalmente non si pensava che quella decisione avrebbe prodotto in quel Paese una nuova età dell’oro. Addirittura si sapeva che avrebbe potuto creare problemi all’intera eurozona, a cominciare dalla rinunzia anche teorica a ricuperare qualcosa della grande massa di denaro “prestato” ad Atene. Ma probabilmente era un prezzo che conveniva pagare perché, per una volta, la decisione avrebbe costituito la soluzione e non un ennesimo rinvio del problema.
Non si è avuto questo coraggio. L’edificio dell’Europa è ancora e sempre in piedi ma, si direbbe in francese, è “en porte-à-faux”, come una costruzione che non scarica il suo peso verticalmente, è continuamente in tensione e non può resistere a lungo.
Quanto all’Italia, è innegabile che la nostra crescita è così lenta, che di questo passo ci vorranno vent’anni per uscire dalla crisi, come ha detto il Fondo Monetario Internazionale. E poiché le previsioni economiche si rivelano spesso sbagliate anche in un tempo molto minore di vent’anni, quella previsione significa soltanto che, al presente, non si vede in che modo l’Italia potrebbe risollevarsi. Di fronte ad una tale prospettiva, ci si può contentare dell’ottimismo istituzionale del Presidente del Consiglio?
E se questo vale per noi, che dopo tutto non siamo con l’acqua alla gola come la Grecia, che dire di quell’infelice Paese? Gli stessi miliardi che qualche giorno fa sono stati dati ad Atene sono serviti soprattutto a pagare i debiti in scadenza a fine giugno e il venti luglio. Il creditore, non volendo ammettere che il debitore non può più pagare, gli dà i soldi per farlo. Ma così si prolunga soltanto la finzione del debito.
Se il modello economico-sociale greco non cambia radicalmente (e come potrebbe?) è ovvio che fra qualche tempo si ripresenterà il dilemma fra espellere la Grecia dall’euro o foraggiarla all’infinito. In violazione delle regole comunitarie e della volontà dei contribuenti, innanzi tutto tedeschi.
Purtroppo, non abbiamo nessuna speranza. Ad un certo momento si era potuto pensare che Tsipras, col coraggio della gioventù, avrebbe avuto la forza di porre un termine a questa agonia. Il suo Paese non gliene sarebbe stato grato, naturalmente, e l’avrebbe stramaledetto come il politico che aveva imposto alla Grecia la prova più severa della sua storia recente. E tuttavia si sarebbe dimostrato un grande: perché avrebbe avuto il coraggio di fare il bene del suo Paese, accettandone sul momento l’ingratitudine e sperando nel giudizio dei posteri. Invece Tsipras ha preferito apparire come il (finto) salvatore dei suoi concittadini ed ha rinviato ad una data ulteriore il confronto con la realtà.
A Napoli, per dire che fare qualcosa suonerebbe sgradevole, dicono che “pare brutto”. All’intera Europa “pare brutto” accettare che i grandi ideali di cui tutti si sono riempiti la bocca per decenni si siano sgonfiati; che il progetto europeo è morto; che l’euro non può durare. E per questo si va avanti rattoppando una barca in cui si aprono sempre nuove falle.
Se siamo stanchi del diluvio di notizie sulla Grecia, riposiamoci pure, ma non dimentichiamo che il problema non è stato risolto. Ciò cui non pensiamo non cessa per ciò stesso d’esistere.
Gianni Pardo, [email protected]
5 agosto 2015
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