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Hamas si affida solo a Trump: La curiosa richiesta per un cessate il fuoco a Gaza

Colpo di scena a Gaza: Hamas chiede un cessate il fuoco completo solo con le garanzie personali di Donald Trump. Una mossa che rivela profonda sfiducia e speranze inattese. Scopri le condizioni e le implicazioni di questa sorprendente richiesta.

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In un colpo di scena che ribalta gli equilibri diplomatici, Hamas ha lanciato una richiesta sorprendente : un cessate il fuoco completo nella Striscia di Gaza, ma solo con le garanzie personali del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Non un mediatore qualsiasi, non un’istituzione, ma la parola diretta dell’ex inquilino della Casa Bianca, secondo quanto riportato da quotidiano emiratino The National. Questa mossa getta una luce inquietante sulle dinamiche del conflitto e sulla percezione di affidabilità tra le parti in gioco.

Un alto funzionario di Hamas ha dichiarato senza mezzi termini: “Le garanzie che cerchiamo devono venire dagli americani – dal Presidente Trump personalmente, non da nessun altro“. Questa dichiarazione, rilasciata sabato dopo aver presentato una “risposta positiva” alla proposta di cessate il fuoco mediata da Stati Uniti, Egitto e Qatar, sottolinea una sfiducia profonda verso altri attori e una speranza, quasi disperata, riposta in una figura polarizzante come Trump. La posta in gioco è altissima: la fine totale della guerra e il ritiro israeliano da Gaza, condizioni irrinunciabili per il gruppo.

La proposta sul tavolo prevede una tregua di 60 giorni, con il rilascio di 10 ostaggi israeliani vivi e la restituzione dei corpi di altri 18, in cambio di oltre 1.000 prigionieri palestinesi detenuti da Israele. Un accordo complesso, che, sebbene Hamas abbia definito “positivo”, è ancora intriso di punti di contesa che minacciano di far deragliare tutto.

Tra le questioni più spinose vi è la richiesta di Hamas di ottenere la restituzione dei corpi di alcuni dei suoi leader uccisi, tra cui Yahya Sinwar e suo fratello Mohammed. Ma la vera miccia è la questione del ritiro israeliano: Israele parla di “ridispiegamento”, Hamas esige un “ritiro” chiaro e inequivocabile. La distribuzione degli aiuti umanitari è un altro nodo cruciale, con Hamas che insiste per il coinvolgimento di agenzie ONU riconosciute come UNRWA, anziché la Gaza Humanitarian Foundation.

A complicare ulteriormente il quadro, emergono clausole “non pubblicizzate”: la creazione di una zona cuscinetto di 1 km lungo il confine Gaza-Israele, priva di insediamenti o attività economiche, e la supervisione da parte di una nazione araba anonima per lo stoccaggio delle armi di Hamas. Tutte condizioni che aggiungono strati di complessità a una trattativa già fragile.

Donald Trump, dal canto suo, ha accolto la notizia con un cauto ottimismo, definendo la proposta una “proposta finale” e aspettandosi una risposta entro 24 ore. A bordo dell’Air Force One, ha commentato: “È un bene. Non mi hanno informato in merito. Dobbiamo farla finita. Dobbiamo fare qualcosa per Gaza.” Ha persino ventilato la possibilità di un “accordo su Gaza” la prossima settimana, pur riconoscendo la volatilità della situazione.

La fiducia esclusiva di Hamas in Donald Trump è un elemento che non può essere ignorato. In un conflitto dove ogni parola è pesata e ogni garanzia scrutinata, la scelta di riporre il destino di un cessate il fuoco nelle mani di un singolo individuo, per di più un ex presidente, è un segnale potente.  Evidentemente Hamas avverte in Trump l’unica figura che possa imporre un accordo agli israeliani e farlo rispettare, oltre a poter vantare un minimo di rispettabilità personale. 


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