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Analisi e studi

#Gregoretti: Salvini come Danton, ma con un finale diverso (di Giuseppe Palma)

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Era il marzo del 1794 quando il governo francese, nelle vesti del tremendo Comitato di Salute Pubblica con a capo Robespierre, mandava a processo il leader politico degli “indulgenti” Georges Jacques Danton. Un processo-farsa fondato su accuse del tutto ingiuste per eliminare un avversario politico, capo indiscusso della Rivoluzione, divenuto ormai troppo ingombrante per le ambizioni dittatoriali di Robespierre e dei giacobini. In un’aula parlamentare terrorizzata dalle minacce del “Demonio Verde”, i deputati votarono per la ratifica dell’arresto dell’ “Uomo del 10 agosto” e di altri deputati a lui vicini.
Portato alla sbarra con i suoi amici, la voce di Danton tuonava dall’aula del Tribunale rivoluzionario e giungeva nelle strade di Parigi. Ad un certo punto il Comitato di Salute Pubblica temette che Danton, da accusato, potesse diventare accusatore. Per zittirlo, Saint-Just dovette obbligare la Convenzione nazionale – cioè il Parlamento – ad approvare un decreto che consentisse ai giudici di mettere gli imputati a tacere nel corso del processo. Per questo il 5 aprile Danton e i suoi amici finirono sulla ghigliottina. Dopo meno di quattro mesi lo seguirono i suoi stessi carnefici, tra cui Robespierre e Saint-Just.

La storia, seppur in modi differenti, si ripete sempre. E sempre si ripetono gli errori degli uomini. Nessuno finirà sulla ghigliottina questa volta, ma è del tutto evidente che il processo a Salvini sul caso Gregoretti sia un modo per eliminare il leader dell’opposizione attraverso l’uso politico della giustizia. Mutano i tempi e le modalità, ma non la strategia. Quella è rimasta immutata.
È dal 1992 che una certa sinistra, con l’aiuto di una parte politicizzata della magistratura, tenta l’eliminazione degli avversari politici che non riesce a sconfiggere nelle urne. È toccato a Bettino Craxi e a Giulio Andreotti nella Prima Repubblica, a Silvio Berlusconi nella Seconda. Ora è il turno di Matteo Salvini, che a differenza dei malcapitati predecessori non può tuttavia essere accusato di reati che prendono la “pancia” del popolino. Craxi fu accusato di finanziamento illecito ai partiti, Andreotti di associazione a delinquere di stampo mafioso, Berlusconi di tutto e di più.

Per Salvini l’accusa è quella di sequestro di persona per aver impedito – da Ministro dell’Interno – lo sbarco della nave Gregoretti, salvaguardando l’interesse nazionale e facendo ciò per cui era stato eletto. Il Senato, di cui Salvini è membro, è dunque chiamato ad esprimere autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni di ministro. La maggioranza giallo-rossa commetterà lo stesso errore della Convenzione nazionale nel 1794 e del Parlamento italiano nei confronti di Craxi nel 1992-93? Comunque vada, qualunque fosse la decisione del Senato e poi della magistratura, questa volta non voleranno monetine come alcuni militanti dell’ex Pci fecero con Bettino Craxi, infatti l’accusa nei confronti del leader della Lega rappresenta un colpo basso non solo al capo dell’opposizione, ma soprattutto ai milioni di elettori che a maggio dell’anno scorso consentirono alla Lega di laurearsi nelle urne come primo partito nazionale. La maggioranza degli italiani è con Matteo Salvini: un consenso popolare di cui non beneficiarono, nell’ultimissimo periodo, né Craxi né Andreotti e neppure Berlusconi.

Salvini assume dunque il ruolo di Danton, mentre la maggioranza di governo il volto e le ambizioni di Robespierre. Il Tribunale rivoluzionario è invece interpretato da una certa magistratura giustizialista e giacobina. L’obiettivo del centrosinistra è quello che qualche giudice di ideologia amica condanni l’ex ministro dell’Interno ad una pena superiore a due anni di reclusione perché sia reso incandidabile in Parlamento e non possa ricoprire alcun ruolo di governo (Legge Severino). È pur vero che occorre giungere ad una sentenza che passi in giudicato, cioè definitiva (servono anni), ma è altrettanto vero che prima o poi arriva. Vedesi Berlusconi.

Ma l’esito, stavolta, sarà differente. Salvini non sarà condannato. Quantomeno in ultima istanza, cioè giunti all’ultimo grado di giudizio, la Corte di Cassazione non se la sentirà mai di confermare una eventuale sentenza di condanna nei confronti di chi, esercitando le funzioni di ministro dell’Interno, ha difeso i confini della Repubblica e l’interesse nazionale. Nel frattempo si terranno nuove elezioni e Salvini andrà a Palazzo Chigi. A scomparire, questa volta, saranno solo i giacobini. I ladri di democrazia del governo giallo-rosso.
Strano quel Paese in cui la maggioranza parlamentare, fingendosi democratica, tenta di eliminare il leader dell’opposizione.

Giuseppe PALMA

(Il lettore potrà approfondire l’argomento “uso politico della giustizia” attraverso la consultazione di questi due miei libri: “Il Fiore e la Lama“, Gds, 2011: https://www.amazon.it/fiore-lama-Giuseppe-Palma-ebook/dp/B00DQ47UQY/ref=mp_s_a_1_1?keywords=il+fiore+e+la+lama&qid=1579006400&sr=8-1 ; e “La Rivoluzione francese e i giorni nostri“, Gds, 2013: https://www.ibs.it/rivoluzione-francese-giorni-nostri-ebook-giuseppe-palma/e/9788867821921)

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(Ladri di democrazia. La crisi di governo più pazza del mondo, di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, Giubilei Regnani editore: http://www.giubileiregnani.com/libri/ladri-di-democrazia/)

 

 


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