Attualità
Gli scandali della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ovvero la fiera del conflitto d’interesse
Un recente Report del ECLJ, il centro europeo per la legge la giustizia, riportato da Valeurs Actuelles, mette in evidenza quanto la Corte di Giustizia dei Diritti dell’Uomo abbia perso in buona parte la sua funzione di tutela dei diritti umani e sia diventata un organo percorso da profondi conflitti di interesse e facilmente influenzabile sia da paesi in cui la democrazia e i diritti sono messi un po’ da parte, sia da ONG controllate da grandi capitalisti, Soros in testa. Vediamo alcuni casi clamorosi, e se volete firmare contro questi conflitti di interesse potete farlo a questa pagina.
Prima parte Il paziente inglese che però era polacco. Il caso è stato riportato freddamente dalla stampa britannica e polacca con le iniziali “RS”. Nel novembre 2020, RS, di nazionalità polacca, ha avuto un infarto nella sua casa in Inghilterra. Trasferito in stato vegetativo nel reparto di terapia intensiva di un ospedale di Plymouth, alla fine è uscito dal coma e respirava anche senza ventilazione artificiale. Tuttavia, i medici britannici, ritenendo che non vi fossero prospettive di recupero, decisero, nel suo “miglior interesse”, di abbandonarlo alla morte interrompendo l’idratazione.
In Polonia, la sua famiglia ha lottato per riportare il figlio e il fratello nella sua terra natale e per fornirgli cure dignitose. Il governo polacco sta esortando la controparte britannica a rispettare il “diritto alla vita” di RS, un cattolico praticante che, secondo la sua famiglia, è fermamente contrario all’eutanasia. I vescovi polacchi hanno persino annunciato che avrebbero pagato per il suo rimpatrio. Non è stato fatto nulla. La domanda presentata dalla famiglia di RS alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) è stata respinta. Con una firma sommaria e arbitraria, il destino di RS è stato segnato e la morte per disidratazione è stata pronunciata. È stata la sentenza di un solo giudice, il bulgaro Yonko Grozev, a far precipitare questa decisione. Alla fine il diritto di RS a vivere è stato giudicato inferiore al diritto di ucciderlo.
Seconda Parte: il giudice che non voleva essere espulso. Yonko Grozev è un giudice bulgaro. Ha co-fondato e diretto per vent’anni il Comitato di Helsinki del suo Paese, prima di diventare leader della Open Society di New York. Dopo la pubblicazione del primo rapporto del Centro europeo per il diritto e la giustizia (ECLJ) di Grégor Puppinck, il ministro della Giustizia bulgaro ha menzionato pubblicamente la possibilità di licenziare Yonko Grozev nel marzo 2020, ricordando però che la decisione spettava alla CEDU – che però non lo ha fatto.
Da allora, il governo bulgaro ha chiesto la ricusazione di Yonko Grozev, ogni volta che l’avvocato dei ricorrenti ha agito per conto del famoso Comitato di Helsinki fondato da Grozev. Nonostante l’esistenza di un evidente conflitto di interessi, la CEDU ha respinto queste richieste. A questo proposito va notato che la CEDU, che richiede ai tribunali nazionali di motivare le loro decisioni di rifiuto, non ha giustificato essa stessa il suo rifiuto di espellere Grozev. Come mai?
Il giudice Grozev ha quindi giudicato cause difese dalla ONG da lui stesso fondata, e le ha vinte, condannando ogni volta la Bulgaria a pagargli qualche migliaio di euro di spese. Naturalmente, si può aver fondato e gestito un’organizzazione per vent’anni e poi opporsi a un avvocato che lavora per quell’organizzazione su un caso specifico. Tutto è possibile. La questione non è se un determinato giudice sia stato o meno imparziale – perché è impossibile dimostrarlo – ma se il caso sia stato deciso senza che l’imparzialità della Corte fosse ragionevolmente dubbia. Questo ovviamente non è il caso quando un giudice decide una causa intentata o sostenuta dalla ONG che ha fondato, diretto o con cui ha precedentemente collaborato.
Secondo il conteggio dell’ECLJ, tra il 2020 e il 2022 si sono verificati 54 conflitti di interesse di questo tipo. Di questi, 18 riguardavano cause della Grande Camera, ovvero la giurisprudenza più importante della Corte europea. Si tratta di un numero ancora maggiore rispetto agli anni precedenti, quando la Corte di giustizia europea ha contato 88 casi tra il 2009 e il 2019.
Qualche volta Groznev ha rinviato ad altra corte le decisioni sulla propria ONG, ma solo perché l’eventuale sentenza sarebbe stata in contrasto con una propria sentenza precedente. Attenzione che le decisioni della CEDU non sono banali e fanno giurisprudenza e precedente legali in casi quali il diritto d’asilo, i diritti sessuali, le condizioni di detenzione, cioè i diritti dell’uomo in senso stretto.
Terza parte: il curriculum del “Maestro” Pavli. Quando un avvocato acquisisce questa qualifica? Nel suo curriculum vitae inviato al Consiglio d’Europa, così come sulla stampa e sul sito web della CEDU, Darian Pavli dichiara di essere un avvocato senior, ma senza specificare a quale ordine è stato ammesso, né in quale anno, contrariamente alla prassi di questa professione altamente regolamentata. Dopo una verifica”, osserva il rapporto dell’ECLJ, “l’ordine degli avvocati di New York afferma che il signor Pavli non è mai stato iscritto all’albo, anche se ha lavorato in quella città per la Open Society. Lo stesso vale per gli altri ordini degli avvocati americani che è stato possibile intervistare.
Per quanto riguarda l’Ordine degli Avvocati albanese, il suo Paese d’origine, si è rifiutato categoricamente di certificare che Pavli fosse iscritto all’albo degli avvocati, con la motivazione che si tratterebbe di una questione di vita privata, “mentre accetta di farlo nel caso di altre persone”, continua il rapporto, notando che il suo status di avvocato non è mai esplicitamente menzionato nei casi in cui egli stesso afferma di aver partecipato in tale veste. Insomma alla CEDU nessuno verifica i curricula che vengono dati per scontati. Inoltre la volontà di mettere tutti gli stati sullo stesso piano fa si che un avvocato ucraino sia messo sullo stesso piano di un giudice tedesco o di un professore francese o italiano, ma sappiamo che il sistema giudiziario è diverso, i diritti sono diversi, le qualidiche sono diverse, come diverse sono l’etica e la correttezza dei vari sistemi. Eppure tutto questo viene ignorato.
Quarta parte: Viva l’Albania. L’Albania è un caso da manuale per le Open Society Foundations (OSF); è in questo Paese che ha investito di più (in rapporto al numero di abitanti). Il motivo è semplice: è un Paese piccolo (3 milioni di abitanti), povero, instabile, corrotto – e quindi molto vulnerabile alle cosiddette “influenze”. Si può facilmente creare un’influenza abnorme con la frazione dell’investimento necessario per un paese come la Francia o la Spagna.
In Albania, l’OSF ha sostenuto l’opposizione liberale (composta da molti discendenti di ex leader comunisti) contro il presidente conservatore in carica; l’OSF è ora molto vicina al governo Rama e ha ampiamente sostenuto la sua riforma del sistema giudiziario, che ha avuto anche l’effeto di consentire al governo al potere di “epurare” un sistema dagli oppositori e di prenderne il controllo. Come possiamo considerare allo stesso livello paesi con tradizione giuridica profonda come Francia, Italia, Olanda e paesi dove il sistema è controllato facilmente se va bene dalla politica, se va male da qualcuno al di fuori della politica stessa. Eppure per la CEDU sono tutti uguali.
Quinta parte: Amici e cugini. Torniamo al caso Palvi. Pavli beneficia di stretti legami con il governo del suo Paese. Il giudice albanese della CEDU è il cugino del primo ministro Edi Rama, il che ci porta a interrogarci, come minimo, sulla sua indipendenza dal governo albanese. Così, Pavli ha giudicato alla CEDU i ricorsi che contestano una riforma del sistema giudiziario che lui stesso ha concepito in Albania e che, secondo l’opposizione, rafforza il potere di suo cugino. Sokol Berberi, albanese e giudice supplente (o ad hoc) al CED, membro della commissione di Venezia che supervisiona le costituzioni europee, ha stretti legami con il governo, essendo il cognato del ministro degli interni Fatmir Xhafaj, che poi ha dovuto dimettersi perché coinvolto in uno scandalo legato alla criminalità e al traffico di droga. Del resto suo fratello Agron Xhafaj, è sospettato di essere un trafficante internazionale..
Però non c’è solo l’Albania. In Ucraina, la giudice Ganna Yudkivska ha fatto parte della CEDU dal 2010 al 2022, mentre il marito, Georgii Logvynskyi, ha scalato le posizioni politiche una dopo l’altra: membro del partito Fronte Popolare Ucraino, deputato, consigliere del Ministro della Giustizia e persino vicepresidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE), l’organo che elegge i 46 giudici che compongono la Corte. Nel 2020, il marito del giudice ucraino è stato oggetto di un’indagine dell’Ufficio nazionale anticorruzione ucraino (Nabu). È sospettato di aver sottratto 1,8 milioni di euro attraverso un accordo su un caso da lui stesso portato alla CEDU. L’indagine è ancora in corso, ma è ostacolata dallo status diplomatico della moglie.
Sesta parte: la Cancelleria è super partes? Da quando la Corte costituzionale polacca ha vietato l’aborto eugenetico, il Paese è stato preso di mira dalle reti di attivisti pro-aborto, che hanno bombardato la CEDU con questi “casi di contenzioso strategico” volti a costringerla ad allentare le sue norme sull’aborto. Decine di istanze standard sono state presentate da donne, alcune delle quali non sono nemmeno incinte, che hanno dichiarato di temere di non poter abortire se, in caso di una futura gravidanza, il bambino dovesse avere una disabilità… Un’argomentazione fornita ex novo da avvocati che lavorano per Federa, l’organizzazione polacca per la pianificazione familiare, ma anche per la Fondazione Helsinki, dopo essere stati avvocati presso la CEDU.
Una di queste domande è registrata con il nome di “M. L. contro Polonia”. Il caso non è ancora stato deciso dalla CEDU, ma viene seguito con attenzione perché la sua decisione potrebbe ribaltare da sola la politica conservatrice pro-vita della Polonia. “M.L.”, aiutata da Federa e ampiamente finanziata dalla Open Society Foundations, ha chiesto alla CEDU di condannare la Polonia per non aver potuto abortire il figlio affetto da sindrome di Down, “costringendola” a recarsi nei Paesi Bassi a proprie spese. Questo caso, sostenuto da varie ONG pro-aborto, sarà forse giudicato da giudici appartenenti a queste stesse organizzazioni. Ma non è tutto, perché il caso potrebbe già essere nelle mani di avvocati del registro della CEDU che sono membri di queste ONG o che hanno preso pubblicamente posizione contro il divieto di aborto eugenetico. Alla faccia del diritto alla difesa.
La Cancelleria , che è un anello fondamentale nell’amministrazione della giustizia presso la CEDU, è anche infiltrato dalle ONG e dalle loro reti di attivisti, che potrebbero essere in grado di dare una mano ai loro ex colleghi. Marcin Sczaniecki, ad esempio, è un avvocato polacco del registro della CEDU. Prima di essere assunto a Strasburgo, lavorava per la Fondazione Helsinki a Varsavia. Come membro della cancelleria, è responsabile della stesura delle sintesi dei casi e delle sentenze sulla base delle quali i giudici delibereranno. Ovviamente la sua discrezionalità è enorme.
Settima parte: i Comitati di Helsinki. Chi difende due pakistani coinvolti in attività terroristiche e sottoposti a procedura di espulsione dal territorio rumeno? Un “Comitato di Helsinki”. Chi sostiene due giornalisti che sono stati banditi dal Parlamento ungherese per aver effettuato registrazioni illegali e aver sconfinato in aree non consentite? Un “Comitato di Helsinki”. Chi sostiene, in nome del “miglior interesse del bambino”, un minorenne condannato per vari reati, anche di carattere sessuale, che la soluzione migliore è un istituo ad hoc? Un altro “Comitato di Helsinki”. Chi sostiene un giudice polacco licenziato nell’ambito di una riforma giudiziaria nel suo Paese, perché i suoi membri ritengono che ciò indebolisca l’indipendenza della magistratura? Sempre un “Comitato di Helsinki”.
Dietro questo nome, che sa di Guerra Fredda, si nascondono i “comitati per il controllo del rispetto dei diritti umani”, il cui nome fa riferimento agli accordi di Helsinki del 1975, con i quali l’Occidente aveva ottenuto dall’URSS un certo numero di garanzie sulla sicurezza degli individui e sui diritti umani. “Era una struttura anticomunista molto utile all’epoca, ma ha perso la sua ragion d’essere dopo la caduta del Muro”, spiega un avvocato. Un tempo federati nella Federazione internazionale di Helsinki per i diritti umani (il primo comitato fu costituito a Mosca nel 1976, il secondo in Cecoslovacchia nel 1977 e il terzo in Polonia nel 1979), sono ora organizzati su base nazionale, essendo la Federazione stata sciolta nel 2007. Questi comitati sono stati rilevati da enti filantropici, soprattutto americani, che hanno dato loro un nuovo orientamento, più banalmente “progressista”. In effetti, oggi sono molto attivi e i loro membri o ex membri popolano le camere della CEDU, discutendo da una parte e giudicando dall’altra, sempre nella stessa direzione: i diritti dell’individuo contro qualsiasi tipo di regola o norma ritenuta “conservatrice”.
La CEDU deve essere salvata? In un momento in cui le corti nazionali dei principali paesi europei sono garantite dalla democrazia, anzi spesso sono la riserva indiana di una visione progressista teorica e lontana dalla realtà, ci sarebbe da chiedersi che senso abbia il mantenimento di questa istituzione, soprattutto quando non ne è più garantità la terzietà e l’indipendenza da ogni influenza, soprattutto da quella dei ricchi gruppi di potere.
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