Attualità
Gli esperti della LUISS bocciano Renzi ( di C. Alessandro Mauceri)
Uno stato può fallire? Sì, ed è già successo molte volte nella storia. Il primo caso, secondo alcuni storici, risalirebbe addirittura al IV secolo a.C., in Grecia e interessò alcune poleis (città-stato) che facevano parte della Lega di Delo. Da allora, di casi simili se ne sono verificati decine. Anche nel secolo scorso i casi di fallimento di stati non sono stati rari (la Germania, ad esempio, nel XX secolo è andata in default ben tre volte: nel 1932, nel 1939 e nel 1948).
E nei giorni scorsi, il 20 Febbraio, ricorreva l’anniversario del fallimento della nazione Austriaca (1811). A causare quella crisi fu il fallimento di molte banche. Un default causato dal crollo dei titoli, da una crisi dei prodotti agroalimentari e dalle eccessive spese per le guerre. Non è un caso se il caso dell’Austria venne seguito gravi crisi anche in Francia, in Russia e in Gran Bretagna.
Le cause, quasi sempre, le cause sono state le stesse. Ogni volta, a causare il fallimento di uno stato sovrano è stato l’eccessivo deficit pubblico, ovvero alla differenza tra le entrate statali, generalmente derivanti da varie forme di tassazione, e le uscite pubbliche (quella che oggi viene chiamata spesa pubblica): tutte le volte che le prime non sono riuscite a coprire le seconde (più le spese per la copertura degli interessi sul debito pubblico già presente), l’esito è stato lo stesso.
E, allora come oggi, spesso i tentativi di arginare il problema non hanno avuto l’effetto sperato. A poco sono servite le misure fortemente restrittive e le riduzione drastiche della spesa pubblica. In passato (e ancora oggi) tutte queste misure hanno solo peggiorato la qualità dei servizi pubblici, ad aumentare la pressione fiscale e a ridurre gli stipendi pubblici, i salari e le pensioni (causando austerità).
Chi dice quando uno stato è “fallito”? Per strano che possa sembrare, non lo dice nessuno: lo stato di default viene stabilito dal mercato obbligazionario. La forte contrazione della domanda di titoli porta ad un’esplosione verso l’alto dei relativi tassi di rendimento (basti pensare a ciò che è avvenuto e sta avvenendo ancora oggi in Grecia dove i rendimenti sono arrivati al 25%, un tasso altissimo). Alla fine, non riuscendo a reperire liquidità nelle proprie casse, lo stato è contretto a prendere atto del proprio fallimento. Ma questa è solo una conseguenza, un effetto secondario: nel 99per cento dei casi, i mercati finanziari dicono che uno Stato è fallito molto tempo prima della dichiarazione ufficiale.
Tutte ragioni che dovrebbero far scattare un campanello d’allarme agli italiani. Specie dopo la pubblicazione di una relazione firmata da nove economisti della LUISS (Carlo Bastasin, Lorenzo Bini Smaghi, Franco Bruni, Marcello Messori, Stefano Micossi, Franco Passacantando, Fabrizio Saccomanni e Gianni Toniolo) e intitolata “Euro-zona, la responsabilità dell’Italia”. (http://sep.LUISS.it/sites/sep.LUISS.it/files/EuroItalia.pdf). Una analisi breve ma completa della politica economica imposta agli italiani dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
Poche pagine ma ricche di dichiarazioni pesanti e, forse proprio per questo, delle quali, stranamente, pochissimi hanno parlato. Il testo riporta la data del 21 gennaio, ma è stato reso pubblico solo pochi giorni fa. L’analisi degli esperti approfondisce ciò che è avvenuto negli ultimi quattro anni (da quando Mario Draghi disse che avrebbe fatto “qualunque cosa fosse necessaria” (whatever it takes) per salvare l’euro). Questi esperti di finanza (alcuni dei quali vicinissimi al presidente della Bce, Mario Draghi – Lorenzo Bini Smaghi è stato membro del direttivo della Bce e Fabrizio Saccomanni ha ricoperto l’incarico di ministro del Tesoro) hanno invitato il governo a far chiarezza sui conti pubblici affermando che se non lo farà a subire il bail-in non saranno le banche, ma tutto il debito pubblico della Repubblica.
Pesanti le critiche. Gli economisti parlano di “intricati sistemi di governance”, di una “Commissione europea” che “non è in grado di fungere da sostituto per continuare ad accentrare il coordinamento” e, per quanto riguarda la gestione dell’economia in Italia, di “uno scenario in cui il rapporto tra debito e Pil non scenderebbe in misura significativa; non è anzi escluso che tale rapporto possa riprendere a salire, in particolare se si verificassero – come è probabile, dati gli andamenti macroeconomici di inizio anno – un rallentamento dell’economia globale e un tasso di crescita della nostra economia inferiore a quello previsto dalla legge di stabilità 2016”.
Una bocciatura a 360 gradi e senza mezzi termini. E con una previsione tutt’altro che rosea per il prossimo futuro: “L’andamento del debito italiano è uno degli elementi più critici per la stabilità dell’euro-area. Il rapporto tra debito e Pil è, d’altronde, la chiave di volta nel nuovo sistema di governante economica europea”. “La sfiducia nella capacità italiana di ridurre il rapporto debito/Pil scoraggia il ricorso a pratiche di condivisione dei rischi”, si legge nel rapporto.
In altre parole, gli economisti hanno scritto a chiare lettere che, se il modo di gestire l’economia italiana da parte del governo non cambierà, e in breve tempo, le conseguenze per l’Italia potrebbero essere le stesse che si verificarono nella nazione Austriaca nel 1811. Anche in Italia il bail-in delle banche potrebbe trasferirsi allo stato: “Se il funzionamento del ‘Single Resolution Fund’ rimanesse prevalentemente nazionale per molti anni, le nuove regole europee incentrate sul cosiddetto bail in potrebbero accentuare, anziché attenuare, il legame tra rischio bancario e rischio sovrano. Tale legame sarebbe poi rafforzato, con impatti ingovernabili, dall’inserimento di regole di ristrutturazione automatica del debito pubblico di un paese in difficoltà finanziaria. La possibilità di cadere in forme non gestite di default rischierebbe di auto-realizzarsi, proprio come è successo nei momenti più drammatici della crisi degli ultimi anni”.
Secondo gli esperti della LUISS il governo sta sbagliando e, continuando così, potrebbe portare il paese al fallimento. I professori dell’ateneo romano non hanno usato eufemismi: secondo loro, Renzi sta guidando il paese nella direzione sbagliata. A cominciare dalle Leggi di Stabilità che hanno avuto “finora modesti effetti sui consumi privati, mentre gli investimenti non accennano a ripartire”. Per contro hanno fatto crescere il deficit pubblico. Ma non basta, “manca un forte segnale di ripresa dell’azione riformatrice nel risanamento dei conti pubblici”: le clausole di salvaguardia (che ammontano a circa 35 miliardi) dovrebbero essere compensate da tagli alla spesa pubblica e soprattutto agli sprechi. Invece, il governo ha ridotto i servizi (basti pensare a quello che sta avvenendo nella sanità pubblica), ma non è intervenuto riducendo gli sprechi delle pubbliche amministrazioni.
E, ancora, il premier dovrebbe mostrare segnali di buona volontà come le privatizzazioni “tese a ridurre l’aumento nominale del debito”, non vendere i beni di famiglia (ovvero parti rilevanti di quote azionarie delle migliori società compartecipate. Questo anche al fine di scongiurare l’apertura di una procedura di infrazione per deficit eccessivo (“violazione del rispetto degli obiettivi di medio termine”) da parte di Bruxelles. Un evento che potrebbe essere l’inizio della fine per le finanze del Bel Paese.
Anche la patrimoniale, da tempo minacciata dal governo come modo per aumentare a qualunque costo le entrate, nella relazione è definita come “interventi di natura straordinaria che riducono il profilo del bilancio pubblico”.
Un’analisi a tutto campo e una bocciatura severa firmata da alcuni tra i maggiori economisti in Italia. Una critica a tutto campo delle scelte fatte dal “governo del fare”, e dei rischi legati alle scelte impopolari e pressanti sotto il profilo economico, imposte agli italiani dagli ultimi direttivi. Sacrifici che, finalmente, anche gli accademici (sebbene con grande ritardo) riconoscono essere stati assolutamente inutili e controproducenti.
L’unico a non essersene accorto sembrerebbe essere proprio il premier (e il suo entourage). Resta da vedere se il governo vorrà prendere atto della situazione in cui trova l’Italia (anche a seguito delle sue imposizioni) e delle conseguenze negative che stanno avendo scelte arbitrarie e scientificamente prive di ogni giustificazione. O se, in caso contrario, l’Italia sarà destinata ad aggiungersi alla nazione Austriaca e alla lista dei paesi falliti a causa delle scelte dei propri governi …..
C.Alessandro Mauceri
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