Attualità
Giorgio. L’ultimo comunista di Paolo Becchi
Martedì il Presidente (emerito) della Repubblica, intervenendo ad una manifestazione della Cna (la Confederazione nazionale dell’artigianato), in occasione del suo settantesimo anniversario, ha ribadito con forza e determinazione la necessità di un voto positivo sulla revisione costituzionale. Giovedì alla presentazione di un libro-leccata a lui dedicato nella sede della Enciclopedia Treccani di Roma è nuovamente intervenuto per ribadire: “la mia eredità politica è la riforma costituzionale … da cui dipende l’ avvenire del nostro Paese”, manifestando qualche preoccupazione, mannaggia, per il referendum che dovrebbe esserci in un momento non particolarmente felice per Renzi. Era un po’ che Re Giorgio non interveniva in pubblico ma ha voluto utilizzare queste ultime occasioni per ribadire che Renziin fondo è solo un esecutore e di essere lui il vero artefice della revisione costituzionale, confermando così di essere ancora il vero protagonista della scena politica.
Oggi ci siamo quasi dimenticati come e perché Renzi si trovi nel posto che abusivamente occupa dal febbraio del 2014. Sembra che nessuno ricordi più chi in realtà dal 2011 governa in modo del tutto illegittimo il nostro Paese, chi ha reso possibile e voluto l’ascesa di Renzi, chi ha spinto più di ogni altro per lo stravolgimento della nostra Costituzione, utilizzando il giovane rottamatore, dopo averci provato con Letta, vale a dire Giorgio Napolitano.
Ricordiamo ancora una volta cosa accadde alla fine del 2013. Il governo Letta era in difficoltà, e il progetto di revisione costituzionale voluto da Napolitano per soddisfare le istanze del “mostro buono” di Bruxelles, come lo chiama il grande intellettuale tedesco Hans Magnus Enzensberger, stava arenandosi: lo spettro della “crisi” ancora in agguato, un Governo cui tutti continuavano a chiedere di “cambiare passo”, un’opposizione intransigente, quella del M5s, in forte ascesa e convinta di vincere le elezioni europee e di costringere subito dopo Letta alle dimissioni. Forse sarebbe proprio andata così. Forse. Un futuro che Napolitano non poteva in alcun modo accettare: dopo essere riuscito, con un colpo di Stato organizzato con il sostegno della BCE, a costringere alle dimissioni Berlusconi per salvare l’Euro, non avrebbe certo rischiato una sciagura ancora più grande con il M5s. Già aveva faticato non poco ad eliminare Bersani, che sarebbe stato disponibile ad un accordo Grillo e aveva i voti per formare il governo. Ma Napolitano lo fermò, impedendogli di sottoporsi al voto di fiducia. Anche Letta però non funzionava, a causa di un’azione di governo sempre più debole che non faceva altro che far crescere i consensi per il M5s. Da qui la necessità di sostituire anche Letta, rivelatosi incapace di portare a compimento il progetto golpista iniziato nel 2011 e trovare un candidato che potesse concorrere con il M5s. È così che nasce Renzi. La fine del governo Letta non ha conosciuto una forma benché minima, di parlamentarizzazione della crisi. È Napolitano il sovrano che – schmittianamente – ha deciso sullo stato d’eccezione, così come nel caso dell’ ultimo governo Berlusconi.
Nasce così il Governo Renzi, il quale realizza subito il primo obbiettivo con le elezioni europee, nelle quali il Pd raddoppia i voti rispetto al M5s, vero sconfitto di quelle elezioni. Il primo pericolo era così scongiurato e tutte le forze potevano concentrarsi sulla legge elettorale e sulla revisione costituzionale, compito per il quale Renzi era stato chiamato a sostituire Letta da Napolitano. La mia ricostruzione potrebbe forse apparire romanzata, o come si usa oggi dire “complottista”. Eppure, di recente, il Ministro Boschi, rispondendo ad uno studente durante un incontro sulla cosiddetta riforma, non ha fatto che confermare tutto ciò: “L’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dopo l’esperienza del governo di Enrico Letta che sulle riforme costituzionali si era interrotto, nel conferire l’incarico a Matteo Renzi ha chiesto la formazione di un governo che avesse come obiettivo la legge elettorale e le riforme costituzionali”. E le ultime dichiarazioni rese in questi giorni da Napolitano confermano quanto vado ripetendo da tempo: Napolitano dal 2011 ha usurpato il ruolo di Presidente, da arbitro neutrale del conflitto politico è diventato il principale attore politico, e per questo avrebbe dovuto essere messo in stato di accusa per tradimento ed attentato alla Costituzione.
I diversi tasselli della storia stanno, a poco a poco, ricostruendosi. Il primo testo al riguardo apparve proprio su Libero (con il titolo Cronache di un colpo di stato fatto con molta sobrietà) il 12 gennaio del 2012, in un articolo diventato virale. Poi il mio libro sul Colpo di stato permanente uscito da Marsilio e le rivelazioni contenute in quello di Alain Friedman, il quale ha documentato come già nel giugno 2011, Napolitano avesse sondato Mario Monti, chiedendogli se sarebbe stato disponibile a prendere il posto di Berlusconi. La pubblicazione del testo di un’audizione del 7 dicembre 2011 di Paolo Savona (Ministro dell’Industria nel Governo Ciampi, Presidente della Banca di Roma) ha rivelato, inoltre, che nell’agosto 2011 l’allora Ministro Tremonti avrebbe confermato l’esistenza di un piano straordinario del governo per abbandonare l’Euro e tornare alla lira. Che l’Unione europea avesse il massimo interesse ad impedire ad ogni costo questo “piano B”, appare evidente. Non vanno in questo contesto dimenticate neppure le dichiarazioni di Zapatero che ha ricordato come, nel 2011, in occasione del G20 di Cannes, lui andò con «con il timore che potessimo (gli spagnoli) essere nel mirino dei sostenitori dell’austerità, ma l’obiettivo era l’Italia … Berlusconi e Tremonti subirono pressioni fortissime affinché accettassero il salvataggio del Fmi …. loro non cedettero e nei corridoi si cominciò a parlare di Monti». Infine, la Procura di Trani ha cominciato ad indagare sulle manovre di Deutsche Bank per alterare il prezzo dei titoli di Stato italiani, cominciate proprio nei mesi in cui fu avviata la crisi del debito italiano che portò alla caduta di Berlusconi.
Anche sulla “staffetta” Letta-Renzi, è uscita più di una indiscrezione – subito messa a tacere dalla stampa. Esemplari sono le intercettazioni che hanno visto coinvolti Renzi e il generale della guardia di finanza Adinolfi, in cui si dice che «bisogna passare» da Giulio, il figlio di Napolitano, «per arrivare» al Colle.
Sono scenari – che si aggiungono alla storia rimasta irrisolta del coinvolgimento di Napolitano nella “trattativa” Stato-Mafia – evidentemente inquietanti. Ma, al di là di essi, è la stessa attività pubblica di Napolitano a condannarlo: le continue interferenze sull’attività di Governo e Parlamento a partire dal 2011 con la formazione illegittima di “Governi del Presidente”, la predisposizione del programma di stravolgimento della Costituzione da lui imposto, per soddisfare le richieste dell’Unione sovietica, pardon europea, basterebbero a mostrare come il Presidente della Repubblica, abbia assunto un ruolo che la nostra Costituzione non gli attribuisce.
Nessuno è però riuscito a metterlo in stato d’accusa, a parte la farsa tentata dal M5s. Ma quello che più sorprende è che ancora oggi Napolitano continui a tessere la sua trama avvolto nel silenzio e nel mistero delle stanze del potere romano e ogni tanto compaia anche in pubblico per fare capire che è ancora lui il personaggio centrale. Nonostante sia Presidente (emerito) della Repubblica, egli continua di fatto a svolgere lo stesso ruolo golpista di prima: così come abbiamo due Papi, abbiamo anche due Capi dello Stato – uno per la forma, l’altro per il contenuto. E siamo certi che sta già escogitando qualcosa in vista del prossimo referendum che il vecchio comunista prima di tirare le cuoia (neanche lui ahimè è immortale) deve assolutamente vincere. Ma per vincere dovrà darsi da fare: Renzi può pure ignorare i rottamati del suo partito, cadaveri che ancora camminano, ma non potrà ignorare l’ordine di Napolitano: trasformare l’Italicum nel senso indicato a suo tempo dalla “Commissione dei saggi” da lui istituita (premio alla lista e soprattutto niente ballottaggio), per evitare che tutto il lavoro fatto finora finisca nel nulla, con il rischio persino di portare il M5s dopo Roma al governo dell’intero Paese. L’estate è appena cominciata e siamo certi che il “grande Inquisitore” è già all’opera per vincere la nuova sfida, magari aiutato dalla Consulta che potrebbe ad ottobre bocciare il premio di maggioranza e così riaprire i giochi proprio nel senso indicato dalla “Commissione dei saggi” di Napolitano.
Nessun tribunale purtroppo lo giudicherà per tutto quello che ha tramato e sta tramando, per aver tentato di distruggere l’ordine democratico nel nostro Paese, come invece è avvenuto in questi giorni in Germania con l’ultimo nazista sotto processo, Hubert Zafke, 95 anni, ex infermiere nazista di Auschwitz. No, l’ultimo comunista, vada come vada l’ultima sfida, potrà concludere i giorni che ancora gli restano da vivere nelle stanze del potere in cui è nato e da cui non è mai uscito. Ma il tribunale della storia lo ha già condannato: alle pene dell’inferno.
Paolo Becchi, Libero 10 luglio 2016
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