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Gas dal Congo e dall’Angola? Il viaggio turistico del duo Di Maio Cingolani (con ENI..) ci porta a casa niente di immediato

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Data la positività al covid del premier Draghi a farsi il safari a caccia di gas in Africa sono stati il dinamico duo Di Maio, il politico d’esperienza, e Cingolani, il ministro della transizione ecologica che per ora non ha fornito un Mw/h in più di energia all’Italia, bloccandone per la verità molti.

La visita si è concentrata su due paesi dell’Africa sub- sahariana ricchi di risorse energetiche e promettenti, Congo e Angola. Quanto gas hanno portato indietro da rigassificare nei nostri impianti? Per ora zero.

Vediamo i numeri: l’Italia ha importato nel 2021 ben 29,07 miliardi di mc di gas dalla Russia, con un bel deficit commerciale di 10 miliardi di euro.

  • l’Angola ne ha prodotto in un anno circa 11 miliardi di mc (2020), ma sicuramente ha contratti in corso che non può stracciare;
  • il Congo ne ha prodotti molti di meno, Sul 2019 ne ha prodotti poco più di quanto abbia estratto l’Italia.

Il che non significa che queste nazioni NON abbiano potenzialità di produzione di gas naturale. Semplicemente non le hanno ora. Ora ENI ha firmato un accordo per la costruzione di un impianto per la produzione di gas liquefatto in Congo, galleggiante, ma nella migliore delle ipotesi l’impianto sarà operativo nel 2023. inoltre non è un caso che ENI abbia anche molte concessioni estrattive  già attive, anche se per il petrolio, offshore in Angola.  Però oltre all’impianto, bisognerà anche estrarre il gas,  sicuramente presente, quindi investire nell’attività locale, investire anche in sicurezza, perché comunque siamo in paesi altamente instabili, anzi fra i più instabili al mondo. Se succede un colpo di stato che facciamo? Mandiamo l’esercito a difendere gli impianti? Non era allora più semplice farlo in Libia, o , magari evitare che Francia e USA destabilizzassero il paese?

La politica energetica italiana è ambiziosa, ma non dà nessun vantaggio nel breve periodo, richiederà forti investimenti e ci presenta il conto della stupida gestione della politica estera degli ultimi dieci anni, tutta a rimorchio del carro tedesco che, alla fine, si è rivelato portarci in un dirupo economico.

 

 

 


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