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Frattura nel Golfo: Riad e Abu Dhabi ai ferri corti nello Yemen. È la fine della Coalizione Araba?

Yemen nel caos: Riad bombarda i carichi di armi emiratini a Mukalla. La frattura tra Arabia Saudita ed Emirati è ormai guerra aperta. Cosa rischia il mercato del petrolio e perché Abu Dhabi sta replicando il “modello Sudan” ai confini del Regno.

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Quella che doveva essere una “tempesta decisiva” per arginare l’influenza iraniana si sta trasformando in una tempesta perfetta interna al Consiglio di Cooperazione del Golfo. La notizia, che filtra ormai senza troppi complimenti dalle cancellerie mediorientali, è di quelle che fanno tremare i polsi non solo ai diplomatici, ma anche ai trader di materie prime: l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sono, di fatto, in guerra per procura nello Yemen.

Non siamo più di fronte a semplici divergenze tattiche o a scaramucce diplomatiche da risolvere davanti a un tè alla menta. Siamo passati alle vie di fatto, con caccia che si alzano in volo e ultimatum che scadono. Ma cosa sta succedendo tra le due monarchie sunnite, un tempo alleate di ferro? E perché l’attivismo di Abu Dhabi, che abbiamo già visto all’opera in Sudan con le RSF, sta destabilizzando l’intera regione?

Due visioni, un solo campo di battaglia

Per capire la gravità della situazione, bisogna guardare oltre la nebbia della guerra civile yemenita. Il conflitto, iniziato nel 2015 per rimettere in sella il governo legittimo contro gli Houthi, ha subito una mutazione genetica.

Da un lato abbiamo Riad. La visione saudita è “terra-centrica”: l’Arabia Saudita condivide un confine lungo e poroso con lo Yemen. Per la famiglia reale saudita, la priorità è la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale dello Yemen e la prevenzione della nascita di uno stato fallito o ostile (leggi: Houthi o separatisti incontrollabili) alle porte di casa. Le province orientali di Hadramout e al-Mahra sono considerate il “cortile di casa”: qualsiasi instabilità lì è una linea rossa, poiché quelle zone sono vitali per progetti futuri di oleodotti che bypassino lo Stretto di Hormuz.

Governatorati dello Yemen

Dall’altro lato c’è Abu Dhabi. La visione degli Emirati è “marittima” e commerciale. Agli EAU interessa poco dell’unità dello Yemen; il loro obiettivo è il controllo dei porti, delle rotte commerciali e delle risorse strategiche. Per questo hanno creato, finanziato e armato il Consiglio di Transizione del Sud (STC), un movimento separatista che vuole riportare in vita lo Yemen del Sud (pre-1990). Controllare Aden, Socotra e Mukalla significa controllare l’accesso al Mar Rosso e all’Oceano Indiano.

Ecco una sintesi delle divergenze strategiche:

L’Escalation di Dicembre: Bombe su Mukalla e Ultimatum

La tensione latente è esplosa alla fine di dicembre 2025. Non si tratta più di scaramucce verbali, ma di azioni militari dirette che segnalano una rottura profonda.

La coalizione a guida saudita ha effettuato attacchi aerei notturni sul porto di Mukalla.  Questa città è una zona sotto influenza del STC. La giustificazione di Riad è stata brutale e diretta: bisognava distruggere un “carico massiccio di armi e veicoli da combattimento” appena sbarcato da navi provenienti dal porto emiratino di Fujairah. L’accusa è pesantissima: gli Emirati avrebbero disabilitato i transponder delle navi per contrabbandare armi ai separatisti, violando gli accordi e minando l’autorità del governo che ufficialmente dovrebbero sostenere.

La risposta politica non si è fatta attendere. Rashad al-Alimi, capo del Consiglio di Leadership Presidenziale (l’uomo di Riad nello Yemen), ha calato l’asso:

  • Dichiarazione dello stato di emergenza per 90 giorni.

  • Imposizione di una no-fly zone e blocco navale totale, eccetto per le navi approvate dai sauditi.

  • Annullamento formale dell’accordo di difesa con gli Emirati Arabi Uniti.

È l’equivalente diplomatico di uno schiaffo in pieno volto. Il governo yemenita ha intimato alle forze emiratine di lasciare il paese entro 24 ore, accusando Abu Dhabi di dirigere le offensive del STC per indebolire lo Stato. Sebbene il Ministero della Difesa emiratino abbia annunciato il ritiro delle unità antiterrorismo, il STC rimane ben armato e fedele ai suoi patroni e finanziatori.

Dichiarazioni del governo saudita circa gli eventi in Yemen e l’invito all’EAU al ritiro

Il “Modello RSF”: L’attivismo sfrenato degli Emirati

Per chi legge Scenarieconomici, questo modus operandi non suonerà nuovo. L’attivismo degli Emirati Arabi Uniti non si limita allo Yemen, ma risponde a una strategia di proiezione di potenza che va ben oltre le capacità demografiche del piccolo stato del Golfo.

Lo abbiamo visto in Sudan, dove Abu Dhabi è il principale sponsor delle Rapid Support Forces (RSF) del generale Dagalo (Hemedti). Anche lì, la logica è la stessa: finanziare una milizia paramilitare potente, in contrasto con l’esercito regolare, per assicurarsi il controllo delle risorse (l’oro e il petrolio sudanesi) e l’influenza politica, fregandosene della stabilità istituzionale del paese. In Yemen, il STC è la “RSF” locale: una forza proxy ben addestrata, usata per garantire che gli interessi emiratini prevalgano, anche a costo di smembrare la nazione ospitante.

È una politica estera spregiudicata, che trasforma gli alleati in rivali. L’Arabia Saudita, che si vede come il “fratello maggiore” e custode della stabilità regionale, non può tollerare che il “fratello minore” emiratino giochi con il fuoco nel suo cortile di casa, minacciando le province orientali dove si trovano le riserve petrolifere e gli sbocchi strategici di Riad. Un contrasto piuttosto raro, ma significativo, fra due potenze che normalmente sono alleati, ad esempio nei confronti dell’Iran. Vedremo se

Le conseguenze economiche: Petrolio e OPEC

Questa frattura non rimarrà confinata nelle mappe militari, ma avrà ripercussioni sui ticker di borsa. Arabia Saudita ed Emirati sono i due pilastri dell’OPEC. Una loro discordia politica si traduce quasi sempre in una discordia sulla politica energetica.

  • Coesione OPEC a rischio: Se Riad e Abu Dhabi non si parlano, o peggio si combattono per procura, la capacità del cartello di imporre quote di produzione e sostenere i prezzi del greggio viene meno. Gli investitori lo sanno e i mercati regionali hanno già mostrato segni di nervosismo.

  • Sicurezza delle rotte: La lotta per il controllo dei porti yemeniti aggiunge incertezza alla sicurezza del transito nel Bab el-Mandeb, già provato dagli anni di attacchi Houthi.

Difficilmente ci sarà una rottura decisiva, ma, sicuramente, i rapporti fra le due parti ne risentiranno anche nel settore del petrolio. Il rispetto delle quote e , soprattutto , la loro determinazione verrà a riscontrare questi contrasti.

Il paradosso della “Squadra di Soccorso”

Per usare una metafora chiara: la Coalizione Araba è come una squadra di pompieri arrivata in una casa in fiamme (lo Yemen post-2014). Invece di spegnere l’incendio principale appiccato dagli Houthi, i due capi squadra (Riad e Abu Dhabi) hanno iniziato a litigare su chi si prenderà la camera da letto e chi la cucina una volta spento il fuoco. Il risultato? Hanno smesso di buttare acqua sulle fiamme e hanno iniziato a prendersi a pugni, mentre l’incendio divampa e minaccia di far crollare l’intero edificio sulle loro teste.

Mentre sunniti e separatisti si scannano a sud, a nord gli Houthi, sostenuti dall’Iran, osservano e ringraziano. La frammentazione del fronte avversario è il miglior regalo che potessero ricevere, consolidando la loro posizione senza sparare un colpo. E per l’Arabia Saudita, il sogno di un confine meridionale sicuro si allontana sempre di più.


Domande e risposte

Perché gli Emirati Arabi Uniti sostengono i separatisti del sud se erano alleati dell’Arabia Saudita? Gli interessi degli EAU sono geostrategici ed economici, non ideologici. Abu Dhabi mira a diventare una talassocrazia, controllando i porti chiave dal Golfo al Mar Rosso (come Aden e Socotra). Un Yemen del Sud indipendente e debole, dipendente dagli Emirati, garantisce questo controllo meglio di uno Yemen unito e forte sotto l’orbita saudita. Inoltre, gli EAU diffidano dei movimenti islamisti (come l’Islah) spesso vicini al governo sostenuto dai sauditi.

Quali sono i rischi economici globali di questa rottura tra Riad e Abu Dhabi? Il rischio principale riguarda il mercato petrolifero. Arabia Saudita ed EAU sono i pesi massimi dell’OPEC. Una frattura politica può portare a disaccordi sulle quote di produzione: se gli Emirati decidessero di “correre da soli” aumentando l’estrazione per finanziare le proprie ambizioni, il prezzo del greggio potrebbe crollare, danneggiando i piani di bilancio sauditi (Vision 2030). Inoltre, l’instabilità nello Yemen minaccia la sicurezza fisica delle rotte energetiche nel Bab el-Mandeb.

Cosa c’entra il Sudan con la crisi in Yemen? Il Sudan e lo Yemen mostrano lo stesso schema operativo degli Emirati (il “Playbook di Abu Dhabi”). In entrambi i casi, gli EAU finanziano milizie paramilitari (RSF in Sudan, STC in Yemen) contro le forze armate regolari o i governi centrali, per assicurarsi risorse (oro, porti) e influenza, destabilizzando i paesi. Questo dimostra che l’azione in Yemen non è un caso isolato, ma parte di una strategia regionale aggressiva che ora si scontra direttamente con gli interessi di sicurezza nazionale sauditi.

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