Economia
Forti dissidi in commissione e non solo sulla riforma del bilancio Ue

La notizia riguardo a forti dissidi all’ interno della commissione sulla nuova riforma del budget circolava da giorni. Qualcuno addirittura era arrivato a parlare di un vero e proprio braccio di ferro tra la presidente e il suo potentissimo capo di gabinetto, e il vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto, in merito alla volontà da parte della presidente Ursula Von der Leyen di centralizzare in capo ai governi nazionali, la gestione dei fondi del nuovo budget pluriennale. Oggi è il grande giorno, in cui i dubbi in merito alla discussa riforma del bilancio europea, verranno dipanati, almeno per il momento, poi la riforma dovrà passare il vaglio degli stati membri e quindi quello del parlamento europeo.
Secondo un documento riservato, visionato dalla autorevolissima rivista Politico, la von der Leyen nelle ultime ore avrebbe fatto una serie di concessioni nel tentativo di placare due membri del suo team agli estremi opposti dello spettro politico: appunto Fitto e la vicepresidente socialista rumena Roxana Mînzatu (si proprio quella dell’ormai celebre video sul kit di sopravvivenza in caso di guerra nucleare). Un’alleanza trasversale contro la proposta della presidente, che troverebbe l’appoggio in parlamento, sia dei popolari che dei socialisti. Una situazione che per un Von der Leyen già indebolita dalla mozione di censura presentata la settimana scorsa, sarebbe diventata insostenibile. Proprio la necessità di mantenere il delicato equilibrio in senso al suo esecutivo, e le grandi proteste da parte non solo delle Regioni, ma anche di ben 19 stato europei, devono aver convinto (oltre al pressing di Fitto, che, avrebbe ormai assunto, secondo fonti autorevoli, un ruolo di grande rilievo all’interno del comitato esecutivo della Ue) Ursula Von der Leyen a fare un deciso passo indietro.
La proposta originale della commissione, infatti, prevedeva di rivoluzionare la gestione dei fondi europei, attraverso una drastica semplificazione, imitando lo schema del PNRR. Ogni governo nazionale avrebbe avuto una propria dotazione e le erogazioni sarebbero dipese dal raggiungimento di obiettivi, target e traguardi. L’idea, come detto, aveva già scatenato mesi di proteste da parte di 19 Stati membri, 149 regioni e persino del partito politico di centro-destra di Ursula von der Leyen, il PPE, che sosteneva che un piano del genere avrebbe eroso l’autonomia regionale e penalizzato ingiustamente gli enti locali per le decisioni prese a livello nazionale.
Al centro di tutto ci sarebbe una radicale riorganizzazione dei due maggiori programmi di spesa dell’Unione: la Politica Agricola Comune (PAC) e i Fondi di Coesione, destinati alle regioni più povere dell’Unione. In pratica la commissione europea avrebbe voluto dotare ogni stato membro, di un unico fondo, al posto dell’attuale sistema frammentato in oltre 530 programmi di finanziamento. «Dalle grandi metropoli, ai piccoli Comuni, fino alle località più rurali: la politica di coesione è a tutti gli effetti una politica territoriale, il che significa che il suo disegno e sviluppo devono essere a capo delle amministrazioni locali» aveva detto proprio a Fitto, la presidente del comitato delle regioni europee (che raggruppa 149 regioni europee) Kata Tutto, la settimana scorsa a Bruxelles, duramte la riunione del comitato delle regioni, alla presenza del vicepresidente esecutivo italiano. L’idea era che dare potere alle capitali nazionali avrebbe incentivato il completamento delle riforme e la riduzione della burocrazia. Tuttavia, i critici hanno affermato che avrebbe solo aggravato le disparità esistenti all’interno dei singoli paesi, emarginando le regioni dal processo.
Ora la nuova bozza dovrebbe in parte tornare alla vecchia gestione, dove almeno una parte consistente dei fondi (sicuramente quelli legati alla coesione, su cui Fitto avrebbe dato un contributo fondamentale, per far cambiare idea alla Von der Leyen) era gestita a livello regionale. L’idea è quella, insomma, di non allontanarsi dalla cosiddetta “formula di Berlino” fino ad ora adottata per la gestione dei fondi di coesione, che assegnano una quota importante dei fondi alle regioni sottosviluppate dell’Unione. Ai primi di luglio, l’organismo di controllo della spesa dell’Unione, la Corte dei conti europea (CCE), aveva criticato duramente il modello di finanziamento COVID. La Commissione “si è auto esonerata dalla gestione finanziaria del bilancio dell’UE e ha trasferito tutta la responsabilità ai paesi dell’UE”, ha dichiarato a Euractiv il presidente della CCE, Tony Murphy.
Anche il Parlamento ha respinto l’idea. “Non possiamo accettare un processo in cui il Parlamento viene informato solo dopo che sono state prese decisioni chiave o in cui gli viene chiesto di convalidare risultati che non ha contribuito a definire”, ha dichiarato ad aprile il co-responsabile della posizione di bilancio degli eurodeputati, Siegfried Mureșan, aggiungendo che l’approccio basato sui piani nazionali potrebbe violare i trattati UE. E poi c’è la grande questione legata ai fondi per l’agricoltura, che sta nuovamente mettendo in agitazione il mondo agricolo, pronto nuovamente a scendere in piazza, in caso la commissione presentasse una riforma che facesse rientrare la Pac in un grande fondo unico, che conterrebbe tutti i programmi di finanziamento della Ue.
Gli agricoltori hanno ottenuto la protezione dei loro 291 miliardi di euro di sostegno diretto al reddito nel prossimo bilancio, ma hanno visto il loro fondo regionale di 96 miliardi di euro completamente assorbito. Nel bilancio precedente, la coesione era suddivisa tra 226 miliardi di euro di fondi di sviluppo regionale (FESR), 99 miliardi di euro di finanziamenti sociali (FSE+), 48 miliardi di euro per investimenti in ambiente e infrastrutture nelle regioni più povere dell’UE e 8,5 miliardi di euro per sostenere le regioni maggiormente colpite dalla transizione verde, il Fondo per una transizione giusta (JTF). La discussione è ancora aperta e fino all’ultimo ci sarà tempo per miglioramenti e limature, ma la questione della creazione di un fondo unico potrebbe avere subito modifiche sostanziali, soprattutto sotto la spinta di Fitto e il presidente dei popolari Manfred Weber, che da tempo sembra trovarsi ormai molto più a suo agio con il commissario italiano, che non con la presidente del suo stesso gruppo politico.
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