Attualità
EURO O VITA DEI CITTADINI, E’ QUESTO IL DILEMMA (di Mario Mariotti)
Lo scopo di questo articolo non è quello di sindacare sulla correttezza o meno di come è stata gestita l’emergenza nazionale dal Governo e/o dalle Regioni, ma è quello di delineare una possibile via d’uscita dall’emergenza stessa. Emergenza sanitaria, ma anche economica.
Prima ci addentreremo in un breve excursus sullo “stato di salute” del nostro Sistema Sanitario Nazionale (SSN), poi andremo a trattare le possibili politiche economiche per ovviare alla crisi ventura.
Il nostro SSN era già sull’orlo del baratro, anche prima della diffusione del coronavirus. Il virus non ha fatto altro che evidenziare il sottofinanziamento al quale il SSN è sottoposto da anni, a causa del rigore dei vincoli di bilancio europei e delle politiche di austerità.
Nel 4° rapporto sulla sostenibilità del SSN della fondazione GIMBE, emerge che “Il finanziamento pubblico (al SSN) è stato decurtato di oltre € 37 miliardi, di cui circa € 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie ed oltre € 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica”.
Leggendo lo studio Anao-Assomed pubblicato il 4 febbraio, il rapporto “Lo Stato della salute in Italia” pubblicato lo scorso dicembre dall’Ufficio parlamentare del bilancio, il 4° Rapporto sulla sostenibilità del SSN della fondazione Gimbe, l’analisi del Centro studi della Federazione nazionale degli ordini degli infermieri (Fnopi) e “La finanza pubblica italiana. Rapporto 2018”, edito da Il Mulino, scopriamo che:
– gli ospedali sono diminuiti dai 1.165 del 2010 ai 1.000 del 2017: -14,6%;
– i posti letto si sono ridotti dai 244.310 del 2010 ai 211.593 del 2017: -16,2%;
– il numero di posti letto per 1.000 abitanti è passato dai 3,9 del 2007 (già sotto la media UE di 5,7) ai 3,2 del 2017. La Germania ne ha 8. Quasi il triplo. Mancano circa 70.000 posti letto. Quelli per acuti sono passati da 3,5 ogni 1.000 abitanti a 2.93 (-17%);
– abbiamo rinunciato a 42.888 lavoratori a tempo indeterminato tra il 2010 e il 2018, una riduzione del 6,2%. In alcune Regioni il taglio complessivo è stato del 16,3%. Le Regioni sottoposte a piani di rientro hanno dovuto ridurre personale medico e infermieristico rispettivamente del 18% e dell’11% tra il 2008 e il 2018;
– il numero di infermieri per 1.000 abitanti è di 6,5 contro gli 8,4 della media europea e i 12,9 della Germania. Mancano almeno 53.000 infermieri. In Campania ogni infermiere si deve fare carico di 17 malati. La media nazionale è di 11 pazienti per infermiere, quasi il doppio dei 6 pazienti per infermiere individuati in alcuni studi come la soglia che potrebbe ridurre del 20% il rischio di mortalità nelle corsie;
– l’età media dei medici è passata dai 43,5 anni del 2001 ai 50,7 del 2017, conseguenza del blocco del turn over;
– sono stati portati a termine 2 miliardi di euro di tagli al personale sanitario tra il 2010 e il 2018;
– abbiamo 2.545 euro di spesa pubblica pro capite per la salute contro i 5.289 della Norvegia e i 5.056 della Germania.
Un bollettino di guerra. Non ci sono altre descrizioni. Come se questi dati non fossero già di per sé preoccupanti aggiungiamo: 105 raccomandazioni per ridurre le pensioni e aumentare l’età pensionabile, 63 intimazioni a tagliare il sistema sanitario pubblico e a privatizzarlo, 50 indicazioni di riduzione dei salari, 45 suggerimenti di taglio alle protezioni sociali per disoccupati e disabili, 38 richieste di riduzione delle tutele dei lavoratori. È la lista dell’orrore delle richieste fatte dall’Unione Europea agli Stati membri tra il 2011 e il 2018 così come viene fuori dal rapporto commissionato dall’europarlamentare della Linke Martin Schirdewan e realizzato da Emma Clancy.
A fronte di questa situazione, vediamo cosa è stato fatto e cosa andrebbe fatto.
La Bank of China ha stanziato 100 miliardi di yuan, la FED ha tagliato i tassi di 50 punti, la Bank of Japan pensa a misure per favorire liquidità alle aziende, la Bank of England potrebbe imitare la FED e tagliare i tassi il prossimo 26 marzo.
L’Italia invece, è stata costretta a chiedere la carità (anzi, ora si chiama flessibilità) alla Commissione europea, su come spendere i propri soldi. Flessibilità accordata ma pur sempre nel Patto di Stabilità e Crescita. Ebbene si, cari lettori, l’Italia non è un paese sovrano. Mentre Cina, Giappone, Canada, USA, Regno Unito ecc possono decidere quando e quanta monete immettere nell’economia per costruire scuole, ospedali, strade e affrontare crisi inaspettate, l’Italia non può. E perché non può? Perché ha perso la sovranità monetaria, adottando l’euro, de facto, una moneta straniera che non può emettere. Di conseguenza non è libera di decidere quando e quante risorse stanziare. In tutto ciò il ministro Gualtieri ha dichiarato che “una volta passata l’emergenza, si procederà al consolidamento fiscale”, tradotto in parole povere austerità e ulteriori imposizioni di tasse. Assurdo.
Il fatto di non essere un Paese sovrano, ci ha costretti a stanziare solo 7,5 miliardi di euro, che oggettivamente sono pochi, sia per costruire strutture mediche ed assumere personale, sia per sostenere il tracollo economico a cui stiamo andando incontro. Alcune prime stime parlano di danni economici tra i 35 e i 70 miliardi di euro. Va anche ricordato che siamo contributori netti (ovvero versiamo più di quanto riceviamo), verso l’unione Europea per 155,22 miliardi di euro, versati dal 2000 al 2018. Con una cifra simile avremmo potuto costruire 500 ospedali, assumere 10 mila medici e 50 mila infermieri e sarebbero ancora avanzati 62 miliardi. Vi piace ancora l’Unione Europea?
Come se non bastasse, lo spread è tornato a salire. Ricordiamo che lo spread non è in relazione alla quantità di debito pubblico, ma prezza il rischio di svalutazione, ovvero una possibile uscita dall’euro di uno dei paesi aderenti, ed è la BCE, tramite la compra/vendita di titoli di Stato a controllarne l’andamento. Allo scoppio della crisi la Bank of China è intervenuta per calmierare i tassi di interesse. La BCE, se soltanto lo volesse (ma per statuto non può), potrebbe iniziare ad acquistare titoli di Stato sul mercato primario, calmierando i tassi di interesse e fungendo da prestatore di ultima istanza (perché le banche centrali a questo servono, come ci ricorda il principio di Bagehot).
L’Italia è dal 1981, con il divorzio Ministero del Tesoro – Banca d’Italia, che si è preclusa questo potere, rendendo così la Banca d’Italia un’autorità indipendente. Come dice Vladimiro Giacchè “avere una banca centrale indipendente, significare avere governi dipendenti dalla banca centrale”; e questo, oltre ad essere altamente non democratico, è anche molto pericoloso, come adesso sperimentiamo sulla nostra pelle.
Ed è soltanto ora che giungiamo al dilemma iniziale. O la BCE e la Commissione europea metteranno in campo misure straordinarie per far fronte all’emergenza sanitaria, o per l’Italia sarà un’ecatombe in termini di vite umane e in termini economici. Un helicopter money potrebbe essere una soluzione. Chiudere tutte le attività per 15/20 giorni, lasciando aperte soltanto farmacie, supermercati, e aziende produttrici di farmaci e macchinari medici, e accreditando una somma di 1000/1200 euro circa su tutti i conti correnti. Oppure la BCE (che ricordo dispone di fondi illimitati, perché la moneta si crea dal nulla), dovrebbe abbandonare i vincoli di bilancio e fornire ai Governi europei tutti i fondi necessari per gestire l’emergenza.
Se l’Unione Europea e la BCE non faranno così, allora l’Italia dovrebbe decidere se salvare l’euro o la vita dei propri cittadini. Allo stato attuale delle cose, un abbandono della moneta unica potrebbe rappresentare la nostra unica via di salvezza. Letta scriveva “morire per Maastricht”. Io spero vivamente non sia quella la decisione finale.
Matteo Mariotti
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