Economia
Energia, burocrazia e mancanza di incentivi finanziari cantano il De Profundis all’industria tedesca
La produzione industriale tedesca stagna da un anno, superata dall’Italia. Scholz cerca supporto da Biden, ma la Germania mostra declino economico e dipendenza dagli USA
Perfino Bloomberg non si tira più indietro e fa suonare la campana a morto per l’industria tedesca. Proprio ieri mostravamo come la produzione industriale tedesca non veda un valore positivo ormai da un anno, tanto che perfino l’Italia, una terra nemica dell’imprenditoria, è riuscita a mostrare dei risultati migliori di Berlino.
Ora Scholz è in visita a Biden, nel tentativo di portargli un supporto in un momento politicamente difficile e di risvegliare l’attenzione sull’Ucraina, ma non sono più le visite della Merkel, che arrivava con il portafoglio pieno e un’industria forte e rombante. Ora invece si presenta quasi come un mendicante, con un paese invecchiato e ben lontano dai lustri del recente passato. Oggi Scholz va con il cappello in mano, sia chiedendo soldi per l’Ucraina, sia chiedendo un taglio ai contributi industriali americani che stanno portando alla rilocalizzazione delle industrie tedesche oltre oceano.
La produzione industriale è ben lontana dai massimi del 2017, come si può notare dal seguente grafico che la mette in evidenza, dando valore 100 al 2015:
Le ragioni della debacle industriale tedesca
Tre sono le ragioni principali della crisi dell’industria tedesca:
- Competizione con gli USA: i sussidi governativi negli USA stanno guadagnando slancio sullo sfondo dell’incapacità della Germania di fare qualsiasi cosa per contrastarli. Inoltre Washington fornisce energia a costi molto più contenuti rispetto a quello che accade in Germania o in Europa, e il gas costa una frazione di quanto costa nella UE;
- Competizione con la Cina, che cessa anche di essere un “insaziabile” importatore di prodotti tedeschi, ma, dop averli copiati, migliorati e sviluppati, ne è diventata il principale concorrente, spiazzando Berlino sui mercati internazionali;
- Perdita della fonte energetica russa a basso costo, che ha colpito i settori ad alta intensità energetica. berlino aveva un vantaggio competitivo rispetto gli altri paesi europei derivante dalle forniture energetiche russe. Con Nord Stream lo aveva spinto al massimo, ma ora a goderne sono Cina e India, mentre gli USA hanno fonti interne molto convenienti
Tutto questo sullo sfondo della “paralisi” politica in Germania, della carenza di manodopera e del degrado del sistema educativo. Gli imprenditori tedeschi hanno ben chiara la situazione e mettono energia, burocrazia e costo del lavoro fra le principali motivazioni per cui è necessario lasciare la Germania e investire altrove, come mostra Bloomberg:
Un problema energetico enorme
L’energia è diventata il vero dramma dell’indusria tedesca, che confidava fortemente su settori energivori come l’industria chimica e pesante. I sussidi vengono gradualmente eliminati e i prezzi dell’energia per l’industria sono più che raddoppiati e sono ora tra i più alti dell’UE e stanno crescendo più rapidamente che nella maggior parte dei paesi.
solo l’Italia ha un’industria più penalizzata dal punto di vista energetico, ma da noi la chimica è ormai secondaria e le industrie più energivore si sono spesso arrangiate. L’industria italiana è, nel tempo, diventata più leggera, proprio per l’abnorme peso del costo energetico, legato a 30 anni di politiche sbagliate. La Germania è o meglio era, molto fondata sulla chimica, basti pensare a Bayer e BASF, ma questa ora sta pensando di andare altrove.
Industria addio
Anche se il movimento al ribasso avviene a velocità diverse a seconda delle aziende e dei settori industriali con alcuni siti che chiudono la produzione, in altri riducono i volumi, in altri si trasferiscono in altre regioni, la produzione registra una tendenza al ribasso costante del -1,6% m /me -3,0% a/a . In media, l’industria è diminuita dell’1,5% nel 2023, .
Nelle industrie ad alta intensità energetica, la produzione è diminuita a dicembre del 5,8% m/me del 10,2% a/a; da dicembre 2021 il calo è stato del 22,5%.
Sebbene questo settore non abbia dimensioni critiche (circa il 17% della produzione), il problema è piuttosto che le tendenze nel settore nel suo insieme sono persistentemente negative. A questo proposito, l’industria tedesca sta diventando in qualche modo simile a quella giapponese, dove la rapida crescita si è interrotta negli anni ’90, il picco di produzione si è registrato ancora nel 2007, dopodiché la produzione è diminuita di circa il 30% ai livelli degli anni ’80, compresi .H. sullo sfondo della penuria energetica dovuta a Fukushima e alla chiusura delle centrali nucleari.
La differenza è che comunque il Giappone ha compensato il calo dell’export e dell’industria con grandi programmi di investimento pubblici e che, dopo qualche anno di chiusura, ora ha ripreso a investire nel nucleare e ha appena dato il via alla riapertura di alcuni reattori. Al contrario Berlino continua a spingere su una conversione energetica costosa e per la quale non ha le basi necessarie, diventando quindi sempre più dipendente dall’importazione, costosa dall’estero.
Con questi governi l’industria tedesca non va da nessuna parte.
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