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Energia, bollette e realtà economica: perché sospendere l’ETS è oggi una necessità di Antonio Maria Rinaldi*

Bollette alle stelle? Non servono bonus, ma coraggio. L’analisi di Antonio Maria Rinaldi spiega perché sospendere subito il sistema ETS europeo è l’unica via per salvare stipendi e imprese dalla speculazione finanziaria “green”.

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Il dibattito pubblico sulle bollette energetiche continua a muoversi lungo binari prevedibili: bonus, sconti temporanei, compensazioni ex post. Misure che attenuano marginalmente l’impatto sui bilanci familiari e aziendali, ma che non intervengono sulla causa strutturale dell’aumento dei prezzi. Eppure, allo stato attuale, esiste un intervento capace di incidere immediatamente e in modo significativo sul costo dell’energia: la sospensione del meccanismo europeo ETS (Emission Trading System).

L’ETS nasce come strumento di politica ambientale con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO₂ attraverso un sistema di “cap and trade”. In teoria, un meccanismo efficiente. In pratica, soprattutto negli ultimi anni, si è trasformato in un fattore moltiplicativo dei costi energetici, con effetti diretti e automatici sulle bollette di famiglie e imprese.

Le imprese produttrici di energia sono obbligate ad acquistare certificati di emissione (EUA), il cui prezzo è cresciuto in modo esponenziale. Questo costo non rimane confinato nei bilanci aziendali, ma viene integralmente trasferito ai consumatori finali, indipendentemente dal loro comportamento energetico o dalla reale disponibilità di alternative tecnologiche. L’ETS agisce così come una imposta indiretta sull’energia, priva di progressività e di qualunque selettività sociale.

Il risultato è un paradosso: uno strumento pensato per orientare la transizione ecologica finisce per penalizzare maggiormente i soggetti economicamente più fragili e le piccole e medie imprese, che non dispongono né di capacità finanziarie né di strumenti di copertura per assorbire l’aumento dei costi. L’effetto macroeconomico è altrettanto evidente: maggiore inflazione, compressione del potere d’acquisto, erosione della competitività industriale europea.

A ciò si aggiunge una distorsione sempre più evidente. I certificati ETS sono diventati un asset finanziario negoziabile, oggetto di operazioni speculative da parte di operatori che nulla hanno a che fare con la produzione energetica o con la riduzione delle emissioni. Il prezzo della CO₂ risponde ormai più alle dinamiche dei mercati finanziari che agli obiettivi ambientali, con il risultato di amplificare la volatilità e di aggravare l’incertezza per imprese e investitori.

In un contesto segnato da tensioni geopolitiche, riallineamenti delle catene globali del valore e crescente competizione internazionale, perseverare in un meccanismo che aumenta artificialmente il costo dell’energia in Europa equivale a indebolire strutturalmente il sistema produttivo continentale. Il rischio di deindustrializzazione non è teorico, ma concreto, come dimostrano le crescenti delocalizzazioni verso aree a minore costo energetico.

Sospendere temporaneamente l’ETS non significa rinnegare gli obiettivi climatici. Significa, al contrario, ricondurli a un orizzonte di sostenibilità economica e sociale. Nessuna transizione può avere successo se viene percepita come un fattore di impoverimento collettivo. E nessuna politica ambientale può reggere se entra in conflitto frontale con la tenuta del tessuto produttivo.

Dal punto di vista dell’efficacia, non esistono oggi strumenti alternativi in grado di produrre lo stesso impatto immediato. Bonus e sussidi hanno un costo elevato per la finanza pubblica e un effetto temporaneo. La sospensione dell’ETS, invece, agirebbe a monte, riducendo direttamente il costo di produzione dell’energia e trasmettendo il beneficio lungo l’intera filiera economica.

La transizione ecologica resta un obiettivo strategico irrinunciabile. Ma perseguirla ignorando la realtà economica significa comprometterne la stessa credibilità. In questa fase storica, sospendere l’ETS non è un arretramento ideologico, bensì una scelta di pragmatismo economico. È il primo passo per riformare un sistema che, così com’è, rischia di trasformare una necessaria trasformazione ambientale in un fattore di crisi sociale e industriale.

Ridurre davvero le bollette non richiede slogan o misure emergenziali. Richiede il coraggio di intervenire là dove il problema nasce. E oggi quel problema ha un nome preciso.

* ex membro Commissione ECON del Parlamento europeo

Domande e risposte

Che cos’è esattamente l’ETS e perché incide sulle bollette?

L’ETS (Emission Trading System) è un sistema creato dall’UE che fissa un tetto alle emissioni di gas serra. Le aziende devono possedere un certificato per ogni tonnellata di CO₂ emessa. Se non ne hanno a sufficienza, devono comprarli all’asta. Il problema è che il prezzo di questi certificati è salito vertiginosamente. Le aziende energetiche, per non andare in perdita, trasferiscono questo costo aggiuntivo direttamente sulle bollette dei consumatori finali, trasformando un meccanismo ambientale in una tassa occulta.

Perché i “bonus” non sono sufficienti a risolvere il problema?

I bonus e i sussidi sono misure “ex post”: intervengono cioè dopo che il prezzo è già aumentato, cercando di rimborsare parzialmente i consumatori. Hanno due difetti: sono temporanei e gravano pesantemente sul bilancio dello Stato (quindi sulle tasse future). Sospendere l’ETS, invece, agirebbe “ex ante”, impedendo al prezzo dell’energia di salire alla fonte. Sarebbe una misura strutturale che riduce i costi di produzione senza necessariamente aumentare il debito pubblico per finanziare sussidi a pioggia.

Sospendere l’ETS significa abbandonare la lotta al cambiamento climatico?

No. Sospendere temporaneamente l’ETS è una misura di salvaguardia economica in una fase di crisi. L’obiettivo è evitare che la transizione ecologica causi la deindustrializzazione dell’Europa e l’impoverimento delle famiglie. Se le imprese chiudono o delocalizzano in paesi senza regole ambientali, l’inquinamento globale non diminuisce, ma l’economia europea muore. Una transizione vera deve essere socialmente sostenibile; forzare la mano con prezzi artificialmente alti rischia solo di creare rigetto sociale verso le politiche ambientali.

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