Seguici su

Economia

Ecco perché è importante centralizzare i fondi di coesione Di Vincenzo Caccioppoli

Fondi europei: forse una gestione centralizzata è più efficace che quella decentralizzata, proprio per le regioni del Sud Italia

Pubblicato

il

Cancellare il ruolo e la partecipazione delle regioni e delle città al futuro della politica di coesione non è accettabile e “mina il progetto europeo”, ha messo in guardia a più riprese il presidente del Comitato europeo delle Regioni, Vasco Alves Cordeiro. Il presidente si riferisce all’idea fatta trapelare da fonti della Commissione, secondo cui esisterebbe un documento in cui sono esplicitate le idee per la nuova riforma della coesione (materia che sarà in capo al nostro Raffaele Fitto, in attesa di ricevere il via libera dalle audizioni del parlamento a Bruxelles).

Secondo il documento, la principale novità è l’idea di accorpare gli oltre 530 programmi – dalla coesione alla Pac – in un’unica cassa declinata attraverso diversi settori. Aree in cui i governi dovranno promuovere riforme per poter accedere alle risorse. Un modello di gestione dei fondi molto simile a quello del Recovery con cui si rischia – questo il j’accuse degli enti locali – di rinazionalizzare, e non decentrare, la spesa dei fondi di coesione.

La questione è una di quelle più delicate forse che dovrà affrontare il commissario designato Raffaele Fitto, che avrà la delega anche del grande piano di recupero e resilienza, anche se congiuntamente con il commissario all’economia Valdis Dombrovskis. Le regioni, soprattutto quelle italiane, hanno paura che la centralizzazione della nuova politica di coesione per gli anni 2028-2034, possa limitare il loro intervento su un importante fonte di finanziamento.

Ma è proprio dall’esperienza delle regioni meridionali nella gestione dei fondi negli anni passati, si evince come l’idea di centralizzare i fondi, come vorrebbe fare la presidente della commissione ( a cui probabilmente Fitto non si opporrebbe, anzi), possa essere effettivamente una buona soluzione per ottimizzare le risorse e migliorare la loro efficacia sui territori. Basti pensare che ad oggi (dati di fine Aprile 2024) su 74 miliardi di euro disponibili, previsti per la coesione del periodo 2021-2027, la spesa effettiva, in Italia, era ferma ad appena 621 milioni, lo 0,9% del totale. Ma se si guarda al precedente programma riferentesi agli anni 2014-2021, la situazione non cambia di molto, considerando che su 116 miliardi di euro disponibili, il nostro paese ne aveva spesi solo 36 (31,1 % circa).

È evidente allora che qualcosa non va nella attuale gestione di quella che è una delle principali componenti di finanziamento dell’Europa verso i territori svantaggiati, come quelli del sud Italia. Ci sarebbe poi da discutere poi anche sulle distribuzione di questi fondi, che spesso, smentendo la loro originaria natura, premiano i territori più ricchi, altra stortura che anch’essa potrebbe essere risolta con una maggiore razionalizzazione degli stessi fondi. Razionalizzazione che è stata appunto adottata con buoni successi proprio dal Next Generation Eu.

Ecco quindi che da tempo si parla di un possibile radicale cambiamento nella gestione dei detti fondi, a cominciare proprio dall’eccessivo numero dei programmi che compongono la coesione. Il periodo di programmazione 2021-2027 ha visto l’istituzione di fondi e strumenti aggiuntivi con obiettivi di coesione o obiettivi allineati. Oltre ai “classici” fondi strutturali e di investimento (FESR, FSE+ e Fondo di coesione (FC), sono stati aggiunti il ​​RRF, il Fondo per una transizione giusta (JTF) e il prossimo Fondo sociale per il clima (SCF).

Tutti questi fondi hanno obiettivi parzialmente sovrapposti ma sono disciplinati da regole diverse e seguono modelli di erogazione diversi. Il FESR, il FSE+, il FC e il JTF sono soggetti a regole comuni (il CPR), ma queste sono integrate da tre regolamenti specifici per i fondi. Tutti e quattro i fondi seguono un approccio di rimborso basato sui costi, mentre nel caso di RRF e SCF, le spese vengono rimborsate in base al raggiungimento di traguardi e obiettivi. Mentre il FC, l’RRF e lo SCF forniscono supporto agli Stati membri, l’ERDF e l’ESF+ forniscono supporto alle regioni NUTS2 e il JTS fornisce supporto alle aree NUTS3 ammissibili.

Questo panorama frammentato e complesso di fondi UE deve essere semplificato. Un’opzione radicale comporterebbe la riduzione di tutti questi fondi a un unico fondo di “coesione” gestito a livello centrale o, come proposto in un position paper da alcune regioni polacche, a un livello molto decentralizzato, vale a dire a livello NUTS2. Lo svantaggio di tali opzioni è che, pur condividendo obiettivi generali comuni, alcuni di questi fondi hanno scopi specifici diversi. Unirli in un unico fondo ridurrebbe la capacità dell’Unione di indirizzare le risorse UE verso obiettivi comuni specifici, come il supporto alla “giusta transizione” nelle regioni dipendenti dal carbone.

Un’opzione più promettente sarebbe quella di ridurre il numero di fondi, unendo quelli che hanno obiettivi ampiamente sovrapposti. Ad esempio, c’è un caso per unire i tre fondi sociali (ESF+, Just Transition Fund e Social Climate Fund) in un nuovo “Fondo sociale europeo” con un forte orientamento al clima. Oltre a ridurre il numero di fondi, c’è la necessità di armonizzare regole e procedure. Innanzitutto, tutti i fondi dovrebbero seguire lo stesso modello di erogazione. Questo potrebbe essere un rimborso basato sui costi sostenuti o un rimborso basato sul raggiungimento degli obiettivi (basato sulle prestazioni). In secondo luogo, le norme specifiche per i fondi dovrebbero essere ridotte al minimo e incluse come capitoli in un unico regolamento. Ciò faciliterebbe la combinazione di fondi diversi pur mantenendo l’assegnazione di stanziamenti per priorità specifiche.

Insomma, il grande piano di resistenza e resilienza potrebbe fare da modello ad un nuovo sistema di fondi di coesione. Come non pensare alle critiche feroci che nel nostro paese le Regioni e non solo scatenarono contro Raffaele Fitto, accusato di voler eccessivamente accentrare la gestione dei fondi. Ma alla fine quasi tutti, anche dalle opposizioni, hanno dovuto riconoscere i meriti dell’ex ministro degli affari europei, che aveva puntato, a ragione, propriosull’accentramento dei fondi e su una loro maggiore rimodulazione.

Ora il neo commissario Fitto, proprio alla luce della sua esperienza maturata, dovrebbe riuscire lì dove molti altri hanno fallito (o forse sarebbe meglio dire nemmeno ci hanno provato), e cioè nel complicatissimo compito di migliorare l’efficacia dei fondi di coesione, riformando dal profondo lo strumento, rendendolo più snello ed agevole e soprattutto agevolando la messa a terra dei progetti ad essi legati. Ed in questo caso i primi a rallegrarsene dovrebbero essere proprio le Regioni italiane, che sul tema spesa di fondi di coesione ahinoi sono sempre agli ultimi posti in Europa.


Telegram
Grazie al nostro canale Telegram potete rimanere aggiornati sulla pubblicazione di nuovi articoli di Scenari Economici.

⇒ Iscrivetevi subito


E tu cosa ne pensi?

You must be logged in to post a comment Login

Lascia un commento