Analisi e studi
Ecco come cadono – una ad una – le accuse contro Salvini. Una difesa tecnica a cura di P. BECCHI e G. PALMA
Articolo di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero del 29 agosto 2018
A farsi scattare una foto con Renzi ci vuole un attimo. A costruire accuse infondate nei confronti del ministro dell’interno pure. E’ il caso del PM di Agrigento Luigi Patronaggio, il quale ha aperto un fascicolo nei confronti del vicepremier Matteo Salvini sul caso della nave Diciotti. I reati contestati – seppur non ancora formalmente – dovrebbero essere sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio.
Nessuno dei tre trova fondamento. Eccoli smontati uno ad uno.
Il sequestro di persona è la contestazione più assurda. Presupposto previsto dall’art. 605 del codice penale è la privazione della libertà personale. In tal caso il ministro non ha assunto alcun atto che mirasse a tale privazione, bensì ha soltanto evitato lo sbarco dei migranti per ragioni di sicurezza nazionale ed ordine pubblico, ragioni che trovano fondamento nel Testo Unico di Pubblica Sicurezza e, nel caso specifico, nell’emergenza immigrazione cui l’Italia è sottoposta ormai da diversi anni. In tal caso, secondo alcune ricostruzioni apparse sui giornali in questi giorni, a Salvini verrebbe contestato il fatto che il cosiddetto “fermo” si sia protratto per oltre 48 ore. Contestazione del tutto priva di fondamento. Il “fermo” è un atto tipico delle forze di pubblica sicurezza, sul quale esercita un controllo ed una decisione a posteriori il magistrato ordinario. Nel caso Diciotti, invece, Salvini non ha posto in essere alcun “fermo” in senso tecnico, il quale tra l’altro non sarebbe neppure di sua competenza. Altra falla che questo capo di imputazione presenta è data dal fatto che Catania potrebbe essere considerato non porto di approdo, ma di transito nel qual caso l’accusa di sequestro di persona cadrebbe completamente per mancanza dell’elemento oggettivo del reato.
Seconda contestazione, del tutto risibile, è l’arresto illegale. Qui c’è poco da dire. Il ministro dell’interno non ha posto in essere alcun atto che determinasse l’arresto dei migranti. L’art. 606 del codice penale punisce infatti il pubblico ufficiale che procede ad un arresto abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni. Ma qui non c’è stato proprio nessun arresto. Del resto, i due reati (arresto e sequestro) sono incompatibili, in quanto l’uno esclude l’altro.
Infine l’abuso d’ufficio, un reato quasi impossibile da dimostrare in quanto i ministri – nell’esercizio delle loro funzioni – godono di ampio potere discrezionale proprio perché il loro operato risponde all’obbligo di dover fare l’interesse esclusivo della Nazione, esattamente come recita la formula del giuramento prevista dalla legge per il Presidente del Consiglio e per i ministri. L’autorità giudiziaria, visto anche il principio della separazione tra i poteri dello Stato, non ha alcuna competenza nel determinare se una scelta di un ministro sia o meno conforme all’interesse nazionale.
Insomma, siamo di fronte ad un conflitto tra norme penali e norme amministrative. Da un lato il codice penale e dall’altro – in primis – il Testo Unico di Pubblica Sicurezza, da un lato l’agire comune e dall’altro l’agire del ministro dell’interno che ha il compito di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale. Il problema si risolve facilmente. Il vicepremier Salvini ha agito in qualità di ministro della Repubblica, quindi dovrà rispondere di “reati ministeriali” e non di “reati comuni”. I reati ministeriali sono definiti tali in quanto giudicati dal Tribunale dei Ministri, cioè da quella sezione specializzata della magistratura ordinaria che giudica il Presidente del Consiglio e i ministri per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, quindi la decisione non potrà che tenere conto del conflitto tra norme di cui si diceva sopra. Conflitto che determina l’estraneità del ministro Salvini ai reati che gli sono contestati in quanto ha agito sia per la tutela dell’ordine pubblico che per conseguire l’interesse esclusivo della Nazione, questioni – tutte – sulle quali nessun Tribunale ha competenza a giudicare.
Una cosa è però certa. La magistratura sta cercando di fermare il processo democratico del Paese. C’è, a nostro avviso, una coordinazione tra le dichiarazioni di Fico e il successivo intervento della magistratura. Si voleva far cadere questo governo, spaccando il M5s, per sostituirlo con un governo di “sinistrati” con l’appoggio di una frangia consistente di parlamentari pentastellati, ma non si sono fatti bene i conti e il colpo di mano è fallito. Vedrete, il caso ora verrà archiviato. L’obiettivo era solo politico: far saltare il governo. Nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica la magistratura intervenne col sostegno popolare. Nel passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica lo sta facendo contro il volere del popolo. La differenza non è da poco.
Il caso verrà archiviato, perché è fallito l’obbiettivo politico che si intendeva perseguire. E invece di indebolire Salvini lo si è ulteriormente rafforzato. I cittadini italiani devono però sapere che il codice penale punisce il reato di “attentato contro i diritti politici del cittadino” (art. 294) e la “violenza o minaccia ad un corpo politico” (art. 338). Se è vero che la legge è uguale per tutti, anche i giudici dovrebbero esserne soggetti.
Articolo di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero del 29 agosto 2018
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